Torna al forum! |
Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Versione stampabile +- Blood Memories Forum (http://www.bloodmemories.it/forum) +-- Forum: Realm of the Elderlings (http://www.bloodmemories.it/forum/forumdisplay.php?fid=7) +--- Forum: I Mercanti di Borgomago (http://www.bloodmemories.it/forum/forumdisplay.php?fid=9) +--- Discussione: Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon (/showthread.php?tid=1342) |
Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Umbra - 20-12-2014 Mille giorni fa o quasi ho scritto un pezzo su Paragon e Kennit e mi rendo conto solo ora che, fra problemi del sito e personali, non l'ho mai postato. Ecco quindi una mia riflessione sul veliero Paragon e il Capitano Kennit. Ovviamente, contiene spoiler su I MERCANTI. Spero vi piaccia e stimoli una discussione. Ringrazio Tintaglia, la Matta e soprattutto Mercor per alcuni consigli che mi hanno dato su una prima versione del pezzo. Il passato può impedire il futuro?
Kennit e Paragon fra identità frammentate e ripetizione dei torti subiti. Mercanti di Borgomago - trilogia completa [leggi]
1. Premessa e piano d’indagine. Il Capitano Kennit e il veliero vivente Paragon sono fra i personaggi più amati della produzione di Robin Hobb, e non a caso: il loro rapporto e le loro azioni trasmettono un profondo senso di umanità e le loro scelte e i loro travagli li rendono vivi e presenti nella mente dei lettori ben oltre le pagine scritte. Parte integrante del loro fascino risiede nella complessità del rapporto che condividono, attraverso il quale è possibile esaminare le principali tematiche dell’intera opera di Robin Hobb. Ci pare infatti che in nessun altro personaggio / coppia di personaggi della produzione hobbiana siano contestualmente presenti tutti gli spunti di riflessioni maggiormente cari all’autrice, dall’interazione fra vita e morte al ruolo del destino fino alla condanna dello stupro e il rilievo della fiducia reciproca. Nella vicenda di Paragon e Kennit tutti questi aspetti sono sovrapposti in strati serrati e spesso intersecanti, che non possono essere districati da chi non conosce a fondo la vicenda del Ciclo dei Mercanti di Borgomago. Pertanto nel presente saggio darò per scontata la conoscenza di questi romanzi e non indugerò nell’esposizione dei fatti relativi alla vita di Kennit e Paragon se non dove strettamente necessario. Esaminare un tema affascinante non garantisce un’analisi ugualmente scorrevole e piacevole, e il rischio è particolarmente grande quando ci si confronta con una scrittrice del calibro di Robin Hobb e si deve ricorrere a numerose citazioni, qui comunque ridotte all’osso, soprattutto se estranee al Ciclo di Borgomago. Proverò comunque a rendere al meglio le emozioni e le idee che ho tratto dalla lettura delle vicende di Paragon e Kennit. 2. Un personaggio e due nomi: il problema dell’identità. Come sanno tutti i lettori della Hobb, Kennit nasce Ludluck (LaSuerte) ma decide di nascondere, anche al lettore, il suo nome. Il nome, nel mondo della Hobb, porta infatti in sé un potere notevole, fissando l’identità di una persona in confini ben precisi: “Il suo nome era una magia che lo circondava e lo definiva” (La nave della magia, cap. 8). Per questo motivo l’attribuzione del nome è una faccenda tanto delicata nei Sei Ducati e i Draghi tengono nascosto il loro nome agli umani; per questo motivo cambiando nome si cambia anche identità, o almeno si prova a farlo. Il Capitano Kennit non vuole essere un Ludluck perché non vuole essere una vittima: suo padre è stato ucciso da Igrot, lui stesso è stato stuprato e sottoposto a sevizie dal comandante pirata. Kennit prova vergogna per quanto gli è stato fatto e decide di rinnegare il proprio nome, decide di uccidere il Ludluck che è in lui e rinascere come Capitano Kennit, meglio, Re Kennit delle Isole dei Pirati, Kennit il Fortunato. Tutti coloro che hanno conosciuto Kennit Ludluck sono periti (da ultimo il cuoco di Igrot, ucciso da Kennit in La nave della pazzia, cap. 2), il nome proprio “Kennit” non è conosciuto a Borgomago e può quindi sopravvivere, il cognome Ludluck invece no, deve essere seppellito. È questo il pensiero di base, l’ossessione che muove le azioni di Kennit nella prima fase della sua vita e che lo perseguiterà fino alla morte. Paragon ha invece un nome e, come tutti i velieri viventi, con il nome ha un’identità conferitagli dai Ludluck attraverso le morti che lo hanno risvegliato. Al di sotto del nome e della vernice sulla sua polena, però, ben altre due identità lottano per emergere, quelle dei Draghi il cui bozzolo costituisce la struttura del veliero vivente. L’equilibrio del Paragon è particolarmente delicato: finché un membro della famiglia Ludluck è con lui, riesce a mantenere salda la propria identità di veliero Ludluck, in assenza si perde in sogni di serpenti e draghi (“È questo che mi diede Kennit, e che mi manca di più: un senso di identità, un senso di parentela. Quando lui era a bordo, non avevo dubbi su chi ero”; così La nave del destino, cap. 24). È necessario a questo punto domandarsi cosa crea l’identità per Robin Hobb. La risposta è breve, ma non per questo semplice: l’identità è creata dal sangue e dalla memoria, nell’affascinante interdipendenza fra i due concetti tanto enfatizzata dalla scrittrice. Kennit e Paragon condividono entrambi, e quindi condividono la medesima identità: Kennit “non voleva toccare la nave a mani nude, eppure era lì. Collegato di nuovo. Vincolato da sangue e ricordi” (La nave del destino, cap. 21). I due hanno infatti in comune il sangue Ludluck – uno per discendenza, l’altro attraverso le morti che l’hanno risvegliato – e il bagaglio delle esperienze comuni. Non solo i due condividono i ricordi accumulati nel periodo trascorso insieme, ma Paragon deliberatamente assume su di sé i ricordi più forti e orribili di Kennit, in uno scambio di memorie che diventa uno scambio d’identità (“Pensi che io ami Vivacia? Come potrei? Paragon, lei non è sangue del mio sangue. Cosa possiamo dividere? Ricordi? Impossibile. Li ho già affidati tutti a te. Possiedi il mio cuore, nave, come sempre. Io amo te, Paragon. Solo te. Nave, ti appartengo, e tu appartieni a me. Tutto ciò che sono, o ero, è chiuso dentro di te. Ancora sicuro e segreto”; La nave del destino, cap. 21). I due crescono insieme come un cucciolo di cane e un cucciolo di uomo erano cresciuti nello stesso periodo nei Sei Ducati (vedi sul punto il nostro Nasuto e il cucciolo che Fitz era), ma a differenza di Nasuto e Fitz essi condividono il sangue e non hanno di per sé delle identità stabili; Paragon è infatti un frutto di sovrapposizioni innaturali e sconosciute con ben due Draghi all’interno, Kennit è stato sconvolto dalle brutalità subite e odia il proprio nome. Le loro identità sono instabili, a causa delle loro scelte e dagli eventi in cui si sono trovati senza averlo voluto. Ognuno di loro ha bisogno dell’altro per sapere chi è: il legame si intensifica quando Paragon per ben due volte mantiene in vita artificialmente il bambino lacerato, prendendo il suo spirito all’interno del proprio legno magico e fondendo seppure per breve tempo le due identità (La nave del destino, cap. 40). I due non riescono a vedersi come separati, soprattutto Paragon ha bisogno di Kennit per rafforzare i confini del proprio io e far tacere i Draghi: Paragon vuole essere solo Paragon, ma ha bisogno di Kennit per questo. Al contrario, Kennit non vuole essere più un Ludluck, e per fare ciò si deve sbarazzare di Paragon, in un’azione che in realtà è in parte un suicidio, in parte un abbandono (“Tracci linee che non esistono. È questo che non capisci, Ambra. Quando parli a Paragon, parli ai ricordi umani conservati dentro di me. Quando Kennit e io ci uccidemmo, fu il nostro suicidio”; La nave del destino, cap. 27). Paragon è consapevole di essere solo una parte di un’identità più grande che divide con Kennit (“Non c’era nessun confine tra Kennit e me”; La nave del destino, cap. 40), ma lo stesso si può dire del pirata, per quanto odi ammetterlo (“L’altra metà della sua anima era ancorata in quell’insenatura”; La nave del destino, cap. 21). Kennit e Paragon non sono un caso isolato nella letteratura fantastica di personaggi apparentemente diversi ma in realtà da considerarsi in maniera unitaria. Come ha argomentato Ursula Le Guin, gli stessi Frodo, Sam, Smeagol e Gollum sono in realtà un unico personaggio – o meglio, solo considerandoli un unico personaggio possono essere compresi pienamente (si vedano in proposito i saggi contenuti nella raccolta Il linguaggio della notte). Nel caso di Paragon e Kennit, però, l’espediente narrativo da elemento stilistico diviene elemento dell’intreccio: i due sanno di essere un’unità inscindibile, in quanto il sangue dei Ludluck scorre in entrambi e in quanto Paragon è stato intriso del sangue di Kennit morente più volte, e da tale consapevolezza discende un equilibrio precario e mutevole, destinato a durare soltanto finché i due sono insieme. Appare allora logico a Kennit, che vuole strapparsi di dosso contemporaneamente la sua ascendenza Ludluck e gli affronti subiti, uccidere una parte di sé – Paragon – per andare avanti con un’altra identità, come una persona nuova. Nemmeno per un attimo Kennit dubita che con Paragon muoia una parte di sé, ma ritiene che un’identità mutilata possa servirgli a lasciarsi alle spalle il proprio io detestato. Come afferma il veliero vivente, “Nessuno vuole che la sua identità muoia. Io volevo solo fermare tutto il resto. E l’unico modo era mettere la morte fra il mondo e me” (La nave del destino, cap. 27). In realtà non si può uccidere una parte di sé stessi e non pagarne le conseguenze, come ricorda Wintrow a Kennit: “Non puoi semplicemente scartare parti di te perché sono dolorose. Riconoscile e vai avanti” (La nave dei pirati, cap. 8). Kennit bramerà sempre il ritorno di Paragon – ed infatti cercherà un succedaneo in Vivacia – e la sua identità non sarà mai intera, e quindi mai in pace. Anzi, l’Amuleto che porta il suo viso è la dimostrazione insieme della sua dipendenza dal legno magico ma ancora di più della frammentabilità della sua anima; nell’Amuleto vive infatti una sola identità, quella del Drago il cui bozzolo ha fornito il legno magico, che lotta incessantemente per non assorbire parte dell’identità di Kennit: “Non sono mai stato creato per alcun dovere verso di te [...] Né la mia vita dipende dalla tua” (La nave dei pirati, cap. 17). L’Amuleto ha la faccia di Kennit ed è costantemente in contatto con la vena pulsante del sua polso (La nave della magia, cap. 1), eppure combatte costantemente per rifiutare di fondere la propria identità con quella del pirata: “Hai messo il tuo viso su di me e dalla mia bocca viene la tua voce. Sono legato a te. Ma il legno ricorda. Non sono te, Kennit. E giuro che non diverrò te” (La nave in fuga, cap. 14). L’Amuleto sa tutto di Kennit (La nave dei pirati, cap. 2), può fare domande a Kennit che nessuno oserebbe fare, forte della stessa faccia e degli stessi pensieri e ricordi del pirata, ma nel profondo lo disprezza: (“Odio sapere che aiutandoti divento parte di te”; La nave dei pirati, cap. 2). Di più, l’identità dell’Amuleto in piccola parte permea anche Kennit, riuscendo così più volte a manipolare il pirata, a fargli compiere quelle scelte individuali che lui da solo non sa più fare (“Non porto forse il tuo viso? Chiediti questo. Sei tu che nascondi il drago, o è il drago che nasconde te?”; La nave del destino, cap. 7). Paragon, dal canto suo, senza la presenza costante di Kennit perde la propria identità, o meglio, la stessa si frammenta: Kennit non era un mero stabilizzatore dell’identità di Paragon, ne era una parte integrante, e perdendo questa l’io-Paragon perde terreno rispetto ai due Draghi. Ne deriva la follia della nave: dentro Paragon non può prevalere l’io-Drago perché a sua volta frammentato in due – e infatti in Paragon non ci sarà mai l’emersione di un’identità unitaria e draghesca come Folgore – ma al contempo lo stratificarsi di ricordi Ludluck che formava l’io-Paragon non è più in grado di fornire risposte al veliero vivente, che impazzisce dilaniato dalle identità dentro di sé (“Ce l’ho un’identità con artigli e denti, così’ piena di tormento e furia che farei a brandelli il mondo se solo servisse a far cessare tutto!”; La nave dei pirati, cap. 20). Privo di un’identità stabile in quanto non integra, Paragon si chiede: “Chi sono? Cosa sono? Domande con così tante risposte da essere futili. Le pondero da decenni, e non ho mai trovato una risposta” (La nave del destino, cap. 21). Kennit è Paragon e Paragon è Kennit: la separazione fra i due – voluta da Kennit per uccidere una parte di sé – crea due corpi separati ma incompleti, incapaci non solo di essere felici, ma anche di autodeterminarsi, in continua ricerca l’uno dell’altro. Paragon cercherà sempre l’autodistruzione, Kennit sarà condannato a ripetere le azioni che ha subito, quasi avesse assorbito l’identità di Igrot. Solo la morte riunisce Kennit a Paragon, ora con gli occhi azzurri del capitano. Di nuovo intero, Paragon può autodeterminarsi e decidere chi essere – non Kennit, non un veliero Ludluck, non un Drago, ma solo e semplicemente Paragon: “Non poteva morire senza di me. Non più di quanto io potessi vivere davvero senza di lui. Dovevo riprenderlo. Finché non sono stato di nuovo intero, ero vulnerabile. Non potevo chiudermi agli altri. Ogni sangue versato sul mio ponte era un tormento per me” (La nave del destino, cap. 40). Solo così Paragon capisce chi è e accetta che il dolore è solo una componente della sua vita, non l’essenza della sua identità (“Il dolore era solo una parte di tutto ciò. Ho avuto altre vite prima di questa, e mi appartengono come questa. Posso prendere tutti i miei passati, tenerli e determinare il mio futuro. Non devo essere ciò che altri hanno fatto di me, Brashen. Posso essere Paragon”; La nave del destino, cap. 31). La vicenda dell’identità frammentata è presente anche in altri passi della produzione hobbiana, soprattutto nel rapporto fra chi possiede lo Spirito ed il proprio compagno animale. Anche in questi casi vi è il pericolo di confondere le due identità e di crearne una sola. Per questo i praticanti dello Spirito raccomandano di scegliere da adulti compagni adulti, quando l’identità è in entrambi ben formata. In Kennit e Paragon questo non è stato possibile per la giovane età del primo e il risveglio recente del secondo, e quindi le due identità sono irrimediabilmente fuse, entrambe infelici, entrambe votate all’autodistruzione. 3. L’incapacità di lasciarsi alle spalle il passato e il rifiuto della vita. Lo stupro ripetuto che subisce da Igrot è la molla che spinge Kennit ad abbandonare parte della propria identità, cioè ad uccidere Paragon e nascondere il proprio nome, crescendo come Capitano Kennit delle Isole dei Pirati (“Non si poteva cambiare il passato. Quel ragazzo torturato e umiliato doveva essere messo a tacere. [...] Paragon doveva morire. Non c’era scelta. E questa volta Kennit doveva accertassi che morisse davvero”; La nave del destino, cap. 21). Kennit si vergogna di essere stato stuprato e teme di perdere rispetto e accettazione se qualcuno verrà a sapere cosa gli è successo; come spiega Paragon, “I ricordi devono morire. Se nessuno li conserva più, si può vivere come se non fosse mai successo. Kennit mi diede i suoi ricordi, e io dovevo morire con loro. In modo che uno di noi potesse vivere libero” (La nave del destino, cap. 22). Con questo atteggiamento, Kennit dimostra di vivere nel passato, di essere imprigionato nel passato. Fra i tanti personaggi di Robin Hobb che subiscono uno stupro, Kennit è l’unico che non riesce a vincere la vergogna per quello che ha subito, e ne rimane schiacciato. Althea alla fine della Trilogia riuscirà ad ammettere di avere subito uno stupro, così come Serilla ricostruirà la propria identità e un proprio ruolo a Borgomago dopo lo stupro subito dai Chalcediani, e lo stesso avevano fatto e faranno i protagonisti di altre opere della Hobb. In generale l’autrice suggerisce che il passato dovrebbe essere incapace di condizionare il futuro: “Non puoi semplicemente scartare parti di te perché sono dolorose. Riconoscile e vai avanti” sembra essere il suo motto (La nave dei pirati, cap. 8). Non solo le azioni più turpi non condannano un personaggio che può sempre scegliere di riscattarsi (come ad esempio fa Sedric, in aperto contrasto invece con il trend più recente nella letteratura fantastica che sembra negare il perdono e che vede il passato come un nemico che prima o poi raggiunge tutti; vedi ad esempio Terry Brooks, Witch wraith e Joe Abercrombie, Red Country), ma anche le sventure più tremende, le sofferenze più impensabili, lo stupro e la tortura non possono spezzare definitivamente l’identità di una persona, che ha sempre la possibilità di ricominciare in qualche maniera, di continuare a vivere. Come ha modo di affermare Ronica, “La vita non è una corsa per ripristinare il passato [...]. Nessun evento della vita è tanto terribile da non poterlo superare [...]. Quel terribile evento – quale che sia – è passato. Se vi ci aggrappate e permettete che vi plasmi, siete condannata a viverlo per sempre, a subirne il potere. Accantonatelo, e plasmate il futuro che desiderate, malgrado ciò che vi è successo. Allora avrete il controllo” (La nave del destino, cap. 6). Superare il passato non vuol dire dimenticarlo; al contrario, il tentativo di cancellare il ricordo è la causa della disgrazia di Kennit, che si ritroverà a ripercorrere il ciclo di violenza di cui è stato vittima: il ricordo cui ha rinunciato, infatti, irrimediabilmente lo chiama, lo seduce, lo trasforma. Superare il passato, per la Hobb, vuol dire mantenere vivo il ricordo – perché i ricordi plasmano l’identità al pari del sangue – ma rinunciare al dolore, come invita a fare Paragon ad Althea in uno degli ultimi dialoghi della Trilogia: “Kennit [...] ha tentato di liberarsi del dolore passandolo a qualcun altro [...] Ora te lo porto via [...] Lo trasformo solo in un ricordo, invece di qualcosa che vive nella tua mente di continuo” (La nave del destino, cap. 40). E il ricordo, da solo, non ha la forza di precludere il futuro (“Il ricordo c’era ancora. Non era svanito, era cambiato: era un ricordo, un fatto del passato. La ferita poteva cicatrizzarsi e guarire. L’offesa che aveva subito era un evento concluso. Non doveva conservarlo come parte di sé stessa. Poteva permettersi di guarire”; ivi). Tutta l’opera della Hobb è infatti fortemente condizionata dall’idea secondo cui il corpo cerca sempre, in ogni circostanza, di vivere oltre le tragedie dell’esistenza, e per questo vi è una diffusa condanna del suicidio (vedi ex plurimis e limitatamente al Ciclo dei Mercanti di Borgomago, La nave dei pirati, cap. 15; La nave in fuga, cap. 18; La nave del destino, capp. 2, 7 e 21). Kennit invece perde sé stesso quando, incapace di superare ciò che ha subito, cerca di nasconderlo e lo fa proprio attraverso un suicidio – attraverso cioè l’uccisione volontaria di una parte di sé, Paragon, cui ha affidato tutti i ricordi dolorosi. Tale scelta non può che essere condannata da Robin Hobb: Kennit, scegliendo di uccidersi e al contempo di rinunciare in parte alla sua identità, non è altri che un Forgiato. Fuor di metafora, così facendo Kennit perde la propria umanità e qualunque suo progetto – in astratto magari illuminato e generoso – è inquinato da un’identità monca, che lo rende innaturalmente spietato (per la generosità di Kennit agli occhi dei pirati, vedi ad esempio La nave del destino, cap. 19). Kennit, purtroppo, non riesce a liberarsi da ciò che gli è successo, e sarà condannato. Non solo ha deciso di uccidere una parte di sé affondando il Paragon, ma questi è ben felice di morire per permettere alla propria metà umana di andare avanti (“Morire è la cosa più utile che posso fare per Kennit”, afferma infatti ne La nave del destino, cap. 22). Il veliero vivente è però incapace di morire – perché il corpo non si rassegna per la Hobb alla morte, ma tenta sempre di andare avanti – e quindi è costretto a ripetere il proprio tentativo di farla finita, invano: “A volte sognava una tempesta gigantesca che venisse a sollevarlo dalle rocce e lo riportasse in mare. Ancor meglio se lo avesse innalzato e poi lo avesse lasciato cadere fracassandolo contro gli scogli, riducendolo in frantumi di assi e travi e stoppa, e disperdendolo dovunque le onde e i venti lo avessero spinto. Avrebbe ottenuto l’oblio o avrebbe continuato a vivere?” (La nave della magia, cap. 9). Paragon vede la morte degli uomini come un dono che gli è negato – ma siamo ben lontani dalla concezione tolkeniana adombrata ne Il Silmarillion. Paragon semplicemente invidia gli uomini che hanno la scelta ultima del suicidio: egli lo ha tentato, ma non è capace di lasciarsi andare (“Come fai a dirlo? Hai la scelta che manca a me, la scelta che tutti gli uomini danno per scontata, al punto di non accorgersi neanche di averla. [...] Fermare la propria esistenza”; La nave della magia, cap. 13. “Mi piacerebbe essere morto. Mi piacerebbe fermarmi”; La nave dei pirati, cap. 1). Ancorato dal dolore di Kennit al passato, all’orrendo stupro che ha subito, Paragon non vede per sé un futuro. Continuando a vivere nel passato, Paragon non riesce a sperare e così facendo rinuncia alla possibilità di agire. La morte cercata da Paragon è la negazione della scelta e non una scelta che gli è negata: solo le scelte individuali, infatti, costruiscono il futuro (Il risveglio dell’assassino, cap. 9 e, più in generale, mi sia permesso rinviare a La scelta: percorsi paralleli tra T. Brooks e R. Hobb). Lacerato per quello che Kennit ha subito, o meglio, quello che lo stesso Paragon ha subito, il veliero vivente sceglie la morte. È la conseguenza di essere incatenati al passato. Vivere il passato, non vivere il futuro, morire... sono tutti concetti simili, equipollenti, e Kennit e Paragon ne sono condannati, almeno finché nel veliero vivente non sorge la speranza di una nuova unità, data dal figlio di Kennit in arrivo (La nave del destino, cap. 24: “La morte non vince. Minaccia, ma non può annullare il futuro”). 4. Fiducia e controllo nell’approccio al prossimo e nell’amore. Come abbiamo visto, Kennit affida a Paragon i ricordi del suo stupro per non sentire più quel dolore: al contrario di quanto farà Althea, il pirata non trasmette al veliero vivente solo la sofferenza, ma il ricordo stesso, trasmettendo così una parte di sé. Lo fa perché si fida di Paragon: sa che il veliero vivente non racconterà a nessuno quello che è successo a Kennit, è anzi la parte di sé stesso di cui più si fida. La fiducia di Kennit è alimentata dall’amore che i due si scambiano reciprocamente, amore che viene pervertito da Igrot e usato come arma, quando affiderà a Kennit il compito di accecare Paragon, sicuro che il veliero non gli farà del male (La nave del destino, cap. 21). Ferito nel corpo e sull’orlo della pazzia, Paragon garantisce sempre a Kennit lealtà (“La mia lealtà ti appartiene, Kennit”; La nave del destino, cap.18), e ciò meraviglia non poco il pirata: “La sua nave gli era fedele, come sempre [...]. Solo per una volta si permise di amare la nave come un tempo. L’amò con la completa fiducia che Paragon avrebbe scelto ciò che era meglio per Kennit” (La nave del destino, cap. 21). Il veliero cerca davvero di morire, più volte, ma la sua struttura di legno magico glielo impedisce, non la mancanza di volontà. Paragon nutre infatti totale lealtà nei confronti di Kennit e di conseguenza rinuncia ad autodeterminarsi, fiducioso che il suo alter ego sappia meglio di lui cosa è giusto fare. L’amore di Paragon è un tipico amore hobbiano. Il veliero rinuncia alla compagnia di Kennit, come si è visto, scegliendo la morte pur di renderlo felice. La capacità di separare l’amore dal bisogno caratterizza le grandi storie d’amore della Hobb (vedi ad esempio La nave dei pirati, cap. 15), ma in questo caso vi è un lato oscuro da non sottovalutare: Kennit non ama Paragon, Kennit non ama nessuno, almeno dal momento in cui decide di separarsi da parte dei suoi ricordi trasferendoli al veliero (“Kennit pagava per la propria soddisfazione. Non chiedeva incoraggiamento né entusiasmo, non aveva bisogno di approvazione. Era per il suo piacere, non per quello di Etta”; La nave della magia, cap. 4). Kennit, in parte Forgiato, trova ormai l’amore inutile, vi preferisce il controllo, quasi questo fosse per lui un rimedio contro il passato, contro quello che aveva subito: “Ho deciso che è il tema della tua vita, Kennit. Il controllo”, lo avverte l’Amuleto. “Cosa credi, pirata? Che se ottieni abbastanza controllo potrai tornare indietro e controllare il passato? Annullarlo? Rimettere in funzione il piano accurato di tuo padre, riportare in vita il suo piccolo paradiso? Il sangue sarà sempre là, Kennit. Come una macchia di inchiostro su un disegno perfetto, il sangue penetra e lascia un’impronta” (La nave della pazzia, cap. 13). Questo è quello che Kennit ha appreso dalla triste fine di suo padre, che lo amava ma non sapeva difenderlo, al contrario dello spietato Igrot sotto la cui ombra era cresciuto (“Un ragazzino tormentato, lacerato tra la lealtà a un padre che lo amava ma non sapeva come proteggerlo e un uomo che lo proteggeva ma non aveva amore nel cuore”; La nave dei pirati, cap. 2). Repelle il senso comune che Kennit provi un bagliore di lealtà verso il suo aguzzino, ma ciò dura solo finché non decide di abbandonare la sua identità Ludluck, di farla affondare con Paragon e ricominciare una nuova vita. Per questi motivi Kennit ha paura della fiducia, e anche quando la offre a Vivacia non è sincero (La nave dei pirati, cap. 17). Dimostrando di non comprendere i segreti meccanismi della fiducia, Kennit pretende che la nave gli mostri la sua identità ma non è disposto a fare lo stesso. Come gli rinfaccia Vivacia, “Anche privo di sensi, ti nascondevi da me. Hai condiviso ciò che hai scelto di rilevare, Kennit. Hai avvolto il resto in mistero e ombre, negando persino che quei ricordi esistessero. [...] Come posso fidarmi di uno che non ha fiducia in me?” (La nave del destino, cap. 3). Per la stessa ragione, Kennit disprezza la lealtà di Sorcor e di Etta (“La lealtà di una prostituta e di un predone. Che grande ricchezza”; La nave in fuga, cap. 15) e decisamente non merita la fiducia e l’amore che nutrono per lui (“La ragione del loro amore per te mi sfugge del tutto. Ti direi che sarò felice della tua caduta il giorno che ti scopriranno, se non fosse anche il giorno che spezzerà il loro cuore. Per quale fortuna meriti la lealtà di gente così?”; ivi). Kennit ha nel profondo del suo cuore paura della lealtà di Paragon, perché ne coglie la vera essenza; Paragon si fida di lui e quindi rinuncia a scegliere, lascia il controllo a Kennit – e questo per il pirata è inconcepibile (“Kennit aveva compreso che nessuno doveva mai più amare qualcuno o qualcosa tanto profondamente. Nessuno doveva avere un cuore tanto fedele. Aveva compreso che mai, mai, mai avrebbe amato qualcuno o qualcosa quanto Paragon lo amava”; La nave del destino, cap. 21). Cedere il controllo, per Kennit, voleva dire sottomettersi di altri, rivivere la violenza di Igrot, l’uomo che l’aveva controllato e che in lui aveva suscitato un barlume di lealtà. In fondo Kennit disprezza il veliero, la parte di sé che ha accolto la vergogna dello stupro, la parte che deve perire ed essere dimenticata. Al contempo, però, Kennit ha bisogno di Paragon e tale bisogno si trasferisce sull’attaccamento del pirata per Vivacia, mero succedaneo del veliero di famiglia cui ha rinunciato alla disperata ricerca di una nuova identità. Nella vicenda di Paragon e Kennit, quindi, non solo la fedeltà del primo verso il secondo richiede il sacrificio della vita (“Mi buttasti via, mi dicesti di morire e di farmi dimenticare. E io accettai, promisi di morire e portare con me i tuoi ricordi”; La nave del destino, cap. 21), ma alla base non vi è alcun sentimento d’amore. Kennit è infatti incompleto e, in quanto parzialmente Forgiato, ha perso ormai la capacità di provare quei sentimenti solidali di umanità che tengono insieme il mondo e che si concretizzano nei rapporti di lealtà, fedeltà e fiducia che sono il tessuto delle relazioni umane per la Hobb (Il destino dell’assassino, cap. 15 e, più in generale, il nostro “La fedeltà come chiave di lettura”). Al contrario, Brashen e Ambra si fidano di Paragon; sanno che potrebbe ucciderli, sanno che è pazzo, ma tuttavia scelgono di fidarsi, giacché “certe amicizie sono più profonde della pazzia o del buon senso” (La nave del destino, cap. 14). Kennit completa il suo processo di tradimento della fiducia e dell’amore di Paragon quando, per seppellire i suoi segreti ritornati a minacciarlo dopo la ricomparsa del veliero, si offre di ucciderlo direttamente, non semplicemente di vederlo suicidarsi. Nel fare ciò, si presenta al veliero come colui che porta infine il riposo all’animo tormentato dell’amico, ma in questa offerta c’è il sovvertimento dei valori fondanti l’opera hobbiana, il tentativo di porre cioè fine a ogni futuro, a ogni scelta, attraverso la morte – quasi a voler negare che il corpo continua sempre a vivere, finché può (“‘Vuoi che ti aiuti?’ [...] ‘Lo faresti?’ implorò piano Paragon. ‘Certo che lo farei, certo’”; La nave del destino, cap. 21). Sarà questo l’ultimo tradimento di Kennit contro Paragon; da quel momento in poi, il veliero non sarà più disposto a seguire ciecamente il pirata, non avrà più una simile fiducia in lui. 5. La fortuna di Kennit ed il destino di Paragon. Potrebbe sembrare a questo punto che Kennit cerchi solo di fuggire dal passato e dallo stupro subito, ma non è così Kennit infatti ha un sogno: superare Igrot in potenza e gloria, costruire dove il suo aguzzino ha distrutto, e offuscarne la memoria. “Qualsiasi idiota può bruciare una città”, afferma. “Dicono che Igrot l’Audace ne abbia bruciata una ventina. Io ne fonderò cento. Non sarò ricordato da cumuli di cenere” (La nave della pazzia, cap. 14). In effetti, dopo aver trasmesso parte dei propri ricordi a Paragon, “In Kennit era rimasta solo la gelida determinazione a fuggire, a lasciarsi indietro ogni cosa, e a cancellare con le sue imprese, un giorno, ogni traccia di Igrot dalla memoria del mondo, per sempre. Kennit aveva deciso che un giorno avrebbe purificato tutto ciò che Igrot aveva rovinato e distrutto, come se il vecchio pirata malvagio non fosse mai esistito. Nessuno avrebbe ricordato il suo nome. Tutto ciò che Igrot aveva sporcato sarebbe stato nascosto o soppresso” (La nave del destino, cap. 14). Il suo piano è grandioso, ispirato, visionario – eppure la sua anima incompleta lo costringe a trasformarsi nel mostro da cui è scappato, a ripetere le azioni turpe che ha subito. La storia per Robin Hobb tende infatti a un ciclo continuo, è una grande ruota che gira e le vicende si ripetono tendenzialmente uguali; capita però a volte che la ruota incontri un sassolino nel solco e devi verso un corso nuovo che interrompe la ciclicità (vedi Il destino dell’assassino, prologo). I sassolini sono le azioni, anche piccole in apparenza, degli uomini: in determinati momenti tali azioni, tali scelte, sono particolarmente fitte, come catalizzate in un solo attimo, convergono verso la medesima direzione, e la ruota devia significativamente. Ciò permette al mondo di andare avanti: il ripetersi immutabile dei cicli, infatti, porta a una spirale che non ha altro esito che la fine del tempo, che la fine del mondo come ho commentato in La scelta: percorsi paralleli tra T. Brooks e R. Hobb). Tale concezione è ben presente nel Ciclo dei Mercanti di Borgomago, come testimoniato da Vivacia: “È tutto un cerchio. Un cerchio che gira. Nulla si ferma, nulla è perso, e tutto procede a spirale. Come il filo su un rocchetto” (La nave della pazzia, cap. 14). La previsione di un destino nell’opera della Hobb non travolge la capacità di scelta, anzi; il destino è semplicemente un modo in cui vedere il futuro, una prospettiva particolare, e risulta dalla somma di tante piccole, apparentemente irrilevanti, azioni individuali. La libertà di autodeterminazione è tale che persino l’identità può essere liberamente scelta ed infatti ciò che Paragon guadagna davvero è la possibilità di decidere la propria identità, non attraverso gesti grandiosi, ma attraverso le piccole scelte di ogni giorno (“Forse la cosa più grande che una persona può scoprire è che può decidere chi è. Non devi essere ciò che i LaSuerte hanno fatto di te. Non devi neanche essere quello che eri prima. Puoi scegliere. Siamo tutte creature di nostra fattura”; La nave del destino, cap. 18). Tutto ciò è ben presente nella vicenda di Kennit e Paragon. Fin dal primo incontro con Wintrow, il pirata si rivede in lui, al punto di identificarsi completamente: “Era come se si fosse reincarnato in quel ragazzo. Poteva proteggerlo come lui stesso non era stato protetto. Aveva il potere di allontanare le forze distruttive che un tempo avevano lacerato la sua vita” (La nave dei pirati, cap. 8; vedi anche La nave del destino, cap. 3). Kennit prende il ragazzo sotto la propria protezione ma, inevitabilmente, inizia a provare per lui la stessa attrazione che Igrot aveva provato per Kennit bambino. Tale attrazione discende direttamente dall’identificazione di Kennit con Wintrow, come gli rinfaccia l’Amuleto: “Vuoi il ragazzo solo perché ti ricorda tanto com’eri a quell’età. In realtà eri molto più giovane quando Igrot ti trascinò al suo letto” (La nave del destino, cap. 22). Kennit non è infatti riuscito a sbarazzarsi dei ricordi dello stupro subito, uccidendo parte della sua anima, ma anzi è da questi irrimediabilmente attratto. La rinuncia a parte della sua identità gli impedisce di mettersi alle spalle il passato, facendogli perdere la capacità di scegliere e scalzare così la ruota del destino dal suo solco. Quello che Kennit ha subito è quindi destinato a ripetersi, in un processo inarrestabile: “Il cerchio si chiude” profetizza l’Amuleto, “Il cerchio sembra composto da molti elementi. Un capitano pirata. Un veliero vivente catturato. Una città bruciata. Un ragazzo prigioniero della famiglia della nave. Quelli gli elementi del primo ciclo. E cosa abbiamo qui, ora? Un capitano pirata. Un veliero vivente catturato. Un ragazzo prigioniero della famiglia della nave. E una città bruciata. [...] Trovo che la coincidenza sia impressionante. Quali altri elementi potremmo aggiungere? Ah, forse un padre in catene? [...] Tutto ritorna, o pazzo. Tutto ritorna. Una volta messa in moto la macina, pensi di sfuggire al tuo destino finale? Fu preparato per te anni fa, quando decidesti di seguire le orme di Igrot. Farai la fine di Igrot” (La nave della pazzia, cap. 10). L’Amuleto è nel giusto. Se per Kennit Wintrow è l’immagine di sé ragazzo, è necessario che qualcuno assuma il ruolo che fu di Igrot – anzi, nessuno salvo Kennit può impersonare Igrot l’Audace, e il cerchio si chiude. Kennit non stupra Wintrow perché la vicenda prende una piega diversa, ma la spinta ad emulare Igrot si ripercuote su Althea, straordinariamente simile al nipote (“La vuoi solo perché assomiglia al ragazzo” è la sentenza dell’Amuleto ne La nave del destino, cap. 22). Il passaggio è triplice, complesso ed affascinante. Kennit è attratto da Althea che assomiglia a Wintrow che a sua volte gli ricorda sé stesso da ragazzo, stuprato da Igrot. Non solo questa è la dimostrazione che affondare Paragon non ha liberato Kennit del terribile peso di quanto subito, ma anzi è la prova del fallimento di Kennit nell’eradicare dal mondo il ricordo di Igrot, che sarà sempre presente come un veleno nella mente del pirata. Si può quindi affermare che Igrot sta a Kennit come Il rifugio del drago [leggi] Hest a Sedric La città dei draghi [leggi] che si rifiuterà di fare a Davvie quello che ha subito da Hest Per Kennit, diventare Igrot è inevitabile, non ha scelta, ed è convinto di essere costretto a interpretare Igrot anche nel caso gli nascesse un figlio: “Alla fine Kennit avrebbe dovuto fare del male al bambino. Non che volesse, ma era inevitabile. Quell’attimo segnò un estremo dell’oscillazione del pendolo. Avrebbero dovuto seguirlo finché non raggiungeva l’altro estremo, il luogo dove lui era Igrot e Igrot era lui. Allora il bambino avrebbe assunto il ruolo che era stato un tempo di Kennit” (La nave del destino, cap. 33). Kennit ha del tutto perso la facoltà di scelta, ha perso il controllo su di sé; un bel contrappasso per una persona che venerava il controllo. In realtà, se Kennit fosse intero avrebbe la possibilità di scegliere di non essere il mostro che era Igrot, ma non è intero e ogni scelta gli è preclusa. La mancanza di parte della propria identità, come abbiamo visto, non solo denota l’ancoramento al passato, ma comporta l’abdicazione alla propria capacità di scegliere. Il momento che condanna definitivamente il pirata è quello dello stupro di Althea, quando Kennit diventa davvero Igrot. Un dialogo con l’Amuleto spiega bene questo concetto: “‘Hai oltrepassato il confine. Perché, Kennit? Era l’unico modo di bandire finalmente i ricordi, dandoli a qualcun altro?’ ‘Forse così finalmente avrei capito perché lui lo faceva a me. Come poteva farmi una cosa del genere, oscillando fra gentilezza e crudeltà, fra lezioni di etichetta e accessi di rabbia...’ ‘Povero bastardo patetico. Sei diventato Igrot. Lo sai? Per sconfiggere il mostro, sei diventato il mostro. Ora devi temere solo te stesso’” (La nave del destino, cap. 26). Da questo momento, Kennit è segnato dal destino, che gli si avvita e attorciglia letale intorno, e non avrà scampo, qualunque sua scelta sarebbe ormai vana perché tardiva (“Sei diventato bestia, piccolo Kennit, e ti sei condannato alla fine della bestia”; La nave del destino, cap. 28). Kennit non riesce a capire pienamente cosa gli sta succedendo anche perché in lui manca la comprensione che il futuro è fatto dalla somma di una serie di scelte individuali che ex post chiamiamo destino. Kennit, invece, crede nella fortuna, inspiegabile inanellarsi di coincidenze che lo sostengono in ogni momento difficile. La differenza è basilare: mentre per la Hobb ognuno di noi si crea il proprio futuro (“La storia è quello che facciamo nelle nostre vite. La creiamo mentre viviamo. […] Il futuro è solo un altro tipo di storia”; L'assassino di corte, cap. 15), per Kennit la fortuna è qualcosa in cui lui e il suo equipaggio devono solamente credere, senza intervenire attivamente nella sua realizzazione (La nave della magia, cap. 1 e 14). Ambra, che spesso è portavoce del pensiero dell’autrice, ribalta questo concetto in maniera chiara: “Tutti noi creiamo la nostra fortuna” (La nave della pazzia, cap. 8). Per questa ragione, al momento della convergenza dell’intreccio narrativo, quando Kennit non ha più la possibilità di scongiurare la propria identificazione in Igrot, l’Amuleto gli ricorderà ben due volte che la sua fortuna è stata sconfitta da qualcosa di incredibilmente più potente, il destino: “Non esistono coincidenze straordinarie. Esiste solo il destino. [...] Questa non è la tua fortuna, è l’annuncio della tua morte” (La nave del destino, cap. 30); “Qualcosa aleggia in questo posto, Kennit. Qualcosa di ancora più potente della fortuna che tanto veneri. Il destino non si cura delle probabilità” (ibidem, cap. 33). Kennit, che è a sua insaputa strumento del destino nel senso che dalle sue azioni deriveranno conseguenze inimmaginabili per la Storia, non crea il proprio futuro, ma subisce le convergenze che altri hanno provocato. La mutilazione della propria identità lo ancora ossessivamente al passato e, non riuscendo davvero a separarsi da ciò che ha subito, lo rimette in pratica nel presente, intrappolato in una ciclicità da cui non può sfuggire, non essendo integro. 6. Conclusioni. La vicenda di Paragon e Kennit è una delle più complesse e straordinarie storie narrate dalla letteratura fantastica, oltre che una delle più riuscite di Robin Hobb. È però una vicenda tragica, dove lo stupro di un bambino è la molla narrativa della frammentazione dell’identità di Paragon-Kennit. La decisione di spezzare tale identità unitaria nasce dal tentativo disperato di rimuovere la violenza subita. È quindi un gesto d’amore, di fiducia, portato avanti con lealtà – ma le sue conseguenze sono incredibilmente dolorose. Robin Hobb però sembra avvertirci che, una volta che la nostra identità è frammentata, non esiste alcun futuro; interi, possiamo scegliere chi essere e determinare il corso degli eventi, spezzati siamo condannati al perverso ciclo del ripetersi degli eventi, stritolati fra i suoi ingranaggi. La prova di ciò la si trova nelle vicende di Serilla e Althea, che riescono a superare le offese subite, non dimenticandole, ma riconoscendo che oltre di esse c’è un futuro possibile. marco RE: Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Iku - 21-12-2014 Oh. Mi hai dato più di un spunto. Complimentissimi per il lavoro! E ora ho voglia di leggere Il Linguaggio della Notte... RE: Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Bluefly - 25-09-2017 Un lavoro di analisi eccezionale Umbra. Ho amato moltissimo la trilogia delle Liveship, che non trovando in italiano, fra l'altro, mi son letta in inglese. Non avevo pensato a Kennit come a un forgiato, ma credo che in effetti sia proprio così. Il vero Kennit muore sulla nave e ne rinasce uno nuovo, che ha perso in parte la sua umanità, ma non la sua intelligenza. Devo dire che l'ultimo libro, Ship of Destiny, è stato davvero eccezionale e commovente, nel senso più nobile del termine. Di questa trilogia mi son piaciuti tutti i personaggi, ma sicuramente un pirata come Kennit non lo avevo mai letto. Meraviglia. RE: Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Umbra - 25-09-2017 (25-09-2017, 12:51)Bluefly Ha scritto: Un lavoro di analisi eccezionale Umbra. Ho amato moltissimo la trilogia delle Liveship, che non trovando in italiano, fra l'altro, mi son letta in inglese. Grazie mille, Bluefly Kennit non può essere liquidato come un semplice antagonista. Secondo me è uno dei personaggi più compleassi creati da Robin. marco RE: Il passato può impedire il futuro? Kennit e Paragon - Bluefly - 26-09-2017 (25-09-2017, 22:30)Umbra Ha scritto: Grazie mille, Bluefly D'accordissimo. Come personaggio Kennit è un gigante e devo ammettere che i capitoli dedicati a lui sono stati quelli che ho preferito, tanta è stata la bravura della Hobb nel delinearlo, nel suo sarcastico cinismo visionario. Finalmente qualcuno ha saputo scrivere storie di pirati liberandoli dai soliti cliché o dal politicamente corretto, ancora peggio. |