Torna al forum! |
titolo provvisorio: "Starship Ironwing" - Versione stampabile +- Blood Memories Forum (http://www.bloodmemories.it/forum) +-- Forum: Forum Generici (http://www.bloodmemories.it/forum/forumdisplay.php?fid=20) +--- Forum: La Borsa del Pellicano (http://www.bloodmemories.it/forum/forumdisplay.php?fid=21) +--- Discussione: titolo provvisorio: "Starship Ironwing" (/showthread.php?tid=380) |
titolo provvisorio: "Starship Ironwing" - Ravatta - 27-12-2009 Ho finalmente trovato un titolo per la mia storia fantascientifica, almeno provvisorio... Vi sarei molto grata se la leggeste, non per menzionare che per me è più facile scrivere se so che qualcuno legge il mio lavoro. ![]() ho come l'impressione che il mio stile di scrittura sia stato troppo influenzato dalla Hobb... ![]() comunque, come da suggerimento di Wintrow, metterò la storia una pagina per messaggio... il che significa molti messaggi. AVVERTENZA: contiene scene brutali, cannibalismo Spoiler [leggi]
01- UNA CASSA PIENA DI ARTI E UNO ZMAHODIANO MEZZO MORTO Fu il risveglio più brutto della mia vita. Nel momento in cui I miei occhi si aprirono esitanti sulla stanza buia, combattendo contro la pesantezza delle palpebre, il dolore mi colpì con la potenza di una martellata, schiacciandomi il petto, quasi impedendomi di respirare. Pulsava lentamente con il mio respiro, una sensazione rossa, calda, violenta a ogni articolazione e in ogni centimetro del corpo. Non sapevo cosa fosse successo. Il dolore mi schiacciava, e mi terrorizzava. Per qualche secondo rimasi in posizione sdraiata, controllando il respiro, gli occhi spalancati nell'oscurità e in un silenzio che non mi era familiare. Rimasi immobile, tranne il respiro sottile e controllato per trattenere il panico che minacciava di soffocarmi, adattando gli occhi al buio della stanza finché non fui in grado di distinguerne ogni particolare. Dal freddo che irradiava dalla schiena, fluendo nel mio sangue insieme al dolore, giudicai di essere sdraiato su un tavolo metallico, di poco più lungo del mio corpo. Mi mossi con cautela, lentamente, trasalendo quando le fitte di dolore mi accoltellarono alla base del cranio. La stanza era molto grande, con un soffitto alto, ma sembrava più piccola per via della quantità enorme di casse e container accatastati ordinatamente lungo le pareti. Sul soffitto si potevano intravedere delle fasce luminose, al momento spente. Il pavimento era solcato da innumerevoli marchi di ruote, cingoli e segni di sporcizia trascinata per il viavai delle casse, che erano fatte entrare da un grande portone poco dietro al tavolo. Era leggermente sollevato rispetto al livello del pavimento, e si poteva raggiungere grazie ad una lieve salita. Dall'aspetto della stanza, le decorazioni e I simboli sulle casse e il materiale di cui sembravano fatte le pareti, giudicai di essere in un qualche magazzino sul pianeta minerario ghiacciato 12-12-31. Il freddo che mi attanagliava le ossa confermò la mia ipotesi. Mi era sempre piaciuto quel particolare pianeta, e anche il clima gelato tipico dei suoi luoghi, ma come molti avrei molto preferito conservare un qualche ricordo di come avevo fatto a giungere lì. Invece, quando cercai di rammentare, la mia mente incontrò una barriera di silenzio assoluto. Quella che potrei definire solo come una zona bianca e vuota nella mia mente andava dal mio ultimo ricordo, camminare nei mercati del deserto di 10-4-16 sotto il sole rovente, al mio attuale scomodo risveglio. Dove ci sarebbero dovuti essere i ricordi, c'era semplicemente un vuoto profondo e snervante. Era come se il mio cervello saltasse delle fasi. E il dolore m'impediva di concentrarmi più a fondo. Mi sforzai di tenere l'ansia sotto controllo. Lentamente e con cautela sollevai un braccio per esaminarlo e rimasi sorpreso vedendolo coperto da varie fasciature, e steccato come se fosse rotto. Cominciai a rimuovere le bende, con il respiro che si condensava in nuvolette di vapore davanti alla maschera da chirurgo che avvolgeva la parte inferiore del mio volto. Chiunque avesse fasciato il mio braccio era stato anche abbastanza rispettoso da lasciarla a posto. Feci per togliere le stecche, ma un’ondata di dolore mi fermò. Tenendo il braccio sollevato davanti agli occhi, lo ammirai come se non lo avessi mai visto. La pelle bianco latte era un panorama di lividi di tutto lo spettro dei colori, che andavano dal blu nerastro al giallo canarino unendosi in interessanti combinazioni. Sul retro, vicino al gomito, potevo vedere una protuberanza più grande, dove l'osso si era spezzato, ed era stato riaggiustato. Pur non avendo mai visto tali escoriazioni sul mio corpo, le ricordavo bene addosso ai miei compagni dei tempi nell'esercito di Nuova Russia. Il danno all'osso era stato goffamente riaggiustato da qualcuno che chiaramente non aveva la minima esperienza in campo medico. Ma non fu questo a sorprendermi. RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] Io sono uno Zmahodiano, abitante originario del pianeta 14-1-25. Una razza rara, dotata della capacità di rigenerare le ferite. È un talento utile in battaglia, e ne ero sempre andato fiero. La capacità autorigenerante del mio corpo mi permette di guarire da quasi qualsiasi tipo di ferita in un tempo medio di dieci minuti. Quindi non è fisicamente possibile che io abbia bisogno di una fasciatura, figurarsi avere dei lividi. Massaggiai il braccio con energia, ignorando il dolore, confuso. L'ansia cominciava a sopraffarmi, portando con sé domande cui non potevo rispondere. Non sapevo come fosse successo. Avevo perso I miei poteri? Se sì, come? Perché ero ancora vivo? Non erano domande cui era facile rispondere, specialmente se restavo seduto lì. Cominciai a guardarmi intorno, cercando qualcosa di utile o che potesse in qualche modo suggerirmi cosa fare. In un angolo della stanza c'era una grande cassa di acciaio, larga circa due metri e alta uno, sormontata da una vecchia lampada elettrica dipinta di rosso e una grande batteria, con dei ganci ai lati per spostarla. La cassa era sigillata da un rudimentale lucchetto, metodo usato di solito per impedire ad animali e bestie simili di non avvicinarsi alle provviste. Non me la sentivo di uscire subito dal magazzino, almeno prima di aver accertato le mie condizioni. La cassa metallica era del tipo in cui di solito si stivano vestiti ingombranti, come pellicce. Speravo di trovare qualcosa con cui coprirmi, come minimo per non essere costretto a uscire nudo in mezzo alla neve. Con uno sforzo di volontà, spostai lentamente il corpo fino a ritrovarmi seduto sul tavolo con le gambe a penzoloni, e aiutandomi con il braccio ancora sano, mi calai lentamente giù dal tavolo. Non era un tavolo altissimo, ma io non sono esattamente un gigante, e I miei piedi penzolavano a qualche centimetro da terra. Socchiudendo gli occhi, strinsi I denti per prepararmi a eventuale dolore e lasciai la presa sul tavolo, atterrando sul pavimento. Come avevo previsto, ci fu del dolore, un lampo crudele che mi lasciò senza fiato per qualche secondo. Ma a parte questo, riuscivo a muovermi. Costatai quindi che le mie gambe sembravano stare bene, o almeno riuscivo a camminare senza eccessivi problemi, anche se non esattamente in maniera dritta ed elegante. Mi avvicinai alla cassa barcollando come un ubriaco e, allo stesso tempo, prestando una meticolosa attenzione a ogni singolo movimento, cosa che non ero abituato a fare. La necessità di risposte si fece più forte in me, ma m’imposi la calma. Inginocchiandomi davanti alla cassa, afferrai delicatamente la batteria e la lampada con il braccio sano e con uno sforzo che mi sembrò enorme, la posai sul pavimento. Fui fortunato: la cassa era aperta. Le mie mani tremavano, e il braccio rotto non era d'aiuto mentre sollevavo lentamente il coperchio, ma alla fine ci riuscii, e la cassa si aprì lasciando uscire uno sbuffo di gelo e rivelando un’altra cassa leggermente più piccola, del tipo usato per contenere cibi deperibili e refrigerato. Il contenuto di questa seconda cassa mi sorprese. Separati in diversi sacchetti di plastica ermetica, c'erano arti umani di vario genere, divisi per tipo. Un sacchetto conteneva solo dita, alcune con addirittura un accenno di smalto sulle unghie. Un largo sacco bluastro conteneva cosce. Non c'era teste, o forse stavano sul fondo della cassa, ma per quanto trovassi la cosa estremamente incivile, la vista della carne perfettamente conservata mi fece venire l'acquolina in bocca. Ecco una sensazione che avevo quasi dimenticato, traumatizzato dalle ferite: Avevo una fame da lupi. Alla vista del cibo perfettamente conservato, il mio stomaco ruggì di approvazione. Mi sentivo un ladro, ma lentamente aprii un sacchetto che conteneva braccia e ne estrassi uno magro e sottile, forse di una donna. La mano c'era ancora, ma le dita mancavano, chiuse in un’altra busta. Strappando via la mascherina da chirurgo che copriva la parte inferiore del mio volto, sganciai la mascella e cominciai a divorare avidamente la carne, lacerando la pelle fina con i denti affilati. Il sangue, non del tutto drenato dalla carne, mi scorreva lungo il collo e scivolava sul petto nudo, quasi appoggiato alla cassa gelida. La carne era fredda, con un forte sapore di sangue che apprezzavo, e mi saziò in fretta. Di questi tempi, non è più considerato un abominio apprezzare la carne umana, poiché il confronto fra le varie razze umanoidi dello spazio ha contribuito a spazzare il luogo comune per cui solo gli animali sono commestibili, e ha portato tutti sullo stesso piano, almeno in campo alimentare. Io? Io apprezzo il sapore della carne umana, certo. Mi sono anche trovato ad assaggiare la mia stessa carne, occasionalmente, sfruttando l'autorigenerazione. Tuttavia non è un’esperienza molto gratificante, principalmente per via del dolore. Non la considero un’attività barbara, semplicemente un modo per riempirsi la pancia, e ammetto di aver sempre desiderato di partecipare a uno dei famosi banchetti a base di carne finemente cotta, presa da una persona viva, come quelli che sono disponibili in alcuni ristoranti orbitali segreti in giro per la galassia nord. Ma questa è solo la mia opinione. Certamente, anche nell'era spaziale sono ancora in molti quelli che disapprovano il cannibalismo. Ingoiando in fretta, finii di ingurgitare il mio pasto improvvisato. Ormai del braccio era rimasto solo l'osso, che mi affrettai a ripulire con la lingua. Risolto il problema cibo mi restava un altro piccolo problema da affrontare, e cioè il fatto di essere un semi immortale che improvvisamente si ritrovava coperto di bende e cerotti. Oh, e la mancanza di memoria, certo. Il pensiero più ovvio era che se c'era un modo di risolvere la cosa, era uscire da quella stanza frigorifera e trovare qualcuno che sapesse dirmi di più, possibilmente la persona che mi aveva rattoppato, immaginando che se si era preso/al tempo di recuperarmi da qualsiasi situazione fossi finito e medicarmi, avrebbe anche avuto una qualche idea riguardo che razza di situazione fosse la mia e cosa mi fosse successo. O almeno era quello che speravo. Avere un piano d'azione, per quanto abbozzato e patetico, aiuta molto quando si è smarriti in una situazione sconosciuta. Di nuovo combattendo contro il dolore, cominciai ad alzarmi lentamente. Forse qualcuno di un altra razza avrebbe giudicato saggio restare in attesa di aiuti, nonostante il freddo, e non avrebbe sforzato le ferite che potevano infettarsi e diventare mortali. Ma io non ci pensai neanche, rischiando innocentemente la mia salute o quello che ne restava. Agli iniziali lividi che avevo notato, sembravano essersi misteriosamente aggiunti due larghi tagli sulla caviglia destra e uno più lungo sulla pancia, accuratamente ricucito con del filo da pesca. C'erano da prima, e non li avevo notati semplicemente perché ero troppo occupato a preoccuparmi. RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] In ogni caso, se prima, quando non ero consapevole di questi ulteriori danni, la maggior parte del dolore era attribuibile solo al braccio rotto e i lividi, riconoscere che avevo ferite più gravi e che non accennavano a guarire rendeva la mia situazione quasi insopportabile. Possibilmente ancora più instabile di prima, mi mossi lentamente nella stanza alla ricerca di qualcos'altro che potesse essermi utile prima di avventurarmi all'esterno. In questo, mi era molto utile il fatto di vederci bene nella semi oscurità. Le pareti e un largo corridoio inclinato accanto al tavolo su cui mi ero svegliato erano fatti di metallo, incrostato di ghiaccio e abbozzato in più punti ma senza un filo di ruggine. Il pavimento, invece, era in un materiale all'apparenza più resistente, e cosparso di strisce antigelo verticali che spargevano un’inquietante luce blu, molto fioca, intorno alla zona delle mie caviglie. Gettato in un angolo, c'era un cappotto invernale tipico di quelle zone, con colletto e maniche di pelliccia decorativa. L'interno era lucido e riflettente, e delle strisce al neon sui lati, momentaneamente spente, permettevano di essere individuati in caso d’incidente. Le tasche interne e apposite borse erano state svuotate degli accessori che di solito contenevano, e sperai di non dovermi trovare in una situazione in cui avessi avuto bisogno di un arma, o un segnalatore. con un gesto ampio mi gettai la giacca sulle spalle, maledicendo il braccio quando mi spedì altre fitte lungo spalla e torace, e la indossai. Era stata fatta per qualcuno molto più alto e con una corporatura più robusta della mia, per cui mi andava largo, e le maniche bordate di pelliccia grigiastra superavano di un po' la punta delle mie dita, coprendole a mo’ di guanto da neve e riparandole dal freddo. Fui grato per questo colpo di fortuna. A parte i bendaggi e la maschera da chirurgo, ero completamente nudo, e appena uscito, sarebbe stato un ulteriore svantaggio, oltre che qualcosa potenzialmente mortale. Essere ferito, indebolito e immemore in un luogo sconosciuto era un'esperienza nuova e singolare per me, e mi ritrovai ad ammirare l'intera gamma di sentimenti contrastanti che generava e che si alternavano rapidamente seguendo il corso dei miei pensieri. Come se non bastasse essere debole e mortale, non avevo neanche un’arma con me, cosa che mi faceva sentire profondamente in svantaggio. Se mi fossi trovato circondato di persone ostili, con un’arma sarei stato almeno un minimo protetto. Li avrei potuti uccidere, prima che loro uccidessero me. In anni di viaggi e battaglie nello spazio, ormai portare almeno un’arma addosso era un’abitudine di cui mi sarebbe riuscito quasi impossibile liberarmi. Un’arma mi dava sicurezza, oltre ad aumentare considerevolmente le mie capacità di sopravvivenza in ambiente ostile, e in quel momento, rimpiangevo già la sensazione del manico ad arco di un bel fucile laser. Con un sospiro, mi avvicinai al corridoio, tenendo d'occhio la porta. Camminai lentamente muovendomi vicino al muro, per sfuggire a eventuali attacchi a sorpresa. Pensai di attraversare di nuovo la stanza per prendere la lampada, ma decisi che era meglio evitare di fare altra fatica. Inoltre, i miei occhi vedono bene al buio, e probabilmente era meglio evitare di segnalare la mia presenza prima di conoscere appieno la situazione. Un buon piano, mi complimentai con me stesso. Estremamente parziale, ma buono come scheletro. Lentamente, cominciai ad avanzare verso la porta pronto a ogni evenienza, e pienamente consapevole di essere vulnerabile come un verme. Più o meno. Istintivamente mi abbassai per minimizzare il bersaglio ed emettere la minor quantità di suono possibile, reprimendo il dolore delle ferite e ripromettendomi di affrontarlo più tardi, quando sarei stato in un ambiente più sicuro. La porta d'acciaio era coperta di segni di varia natura, da urti a graffi, e mi sovrastava come un monolite. Mi resi conto che se fosse stata chiusa, avrei avuto delle serie difficoltà a trovare un’uscita alternativa, ma uno spiffero d'aria gelida mi informò che uno spiraglio era aperto. Ringraziando la mia fortuna sfacciata, infilai la mano coperta dalla giacca fra la porta e la parete, stringendo i denti, e bilanciandomi con forza sul pavimento tirai la porta con tutte le mie forze. L'ondata di gelo che m’investì non era per niente piacevole, e fui profondamente grato a chiunque avesse dimenticato il cappotto antigelo nella stanza. Fuori, era tutto neve, ghiaccio, vento e costruzioni di metallo semisepolte. Quasi tutte le strutture avevano la tipica forma quadrata delle abitazioni di 12-12-31, e molte erano sovrastate da una cupola di materiale rinforzato trasparente che conteneva un mezzo per spostarsi. Nella maggior parte dei casi era una motoslitta, ma alcune delle cupole contenevano un mezzo aereo e una quello che sembrava un lanciatore coperto dell'esercito. Dietro le costruzioni, alcune con delle finestre vagamente illuminate dall'interno, c'erano spesso rocce, e oltre questo piccolo villaggio, torreggiava una gigantesca costruzione di cui vedevo solo la sagoma, sbiadita dalla neve che continuava ad andarmi negli occhi, rendendomi difficile orientarmi. Inoltre, i miei piedi stavano già cominciando a diventare insensibili. Mi voltai e spinsi con forza il portone, lasciandolo socchiuso come prima. Poi, mossi qualche passo esitante dentro quello strano "paese" di neve e acciaio, guardandomi intorno per orientarmi e decidere dove andare prima. Uno degli edifici, più grande degli altri, sembrava forse un dormitorio, con cinque piani delineati ognuno da una fila di piccole finestre quadrate. Dal lato opposto, dietro alle case, uno scheletro gigante di costruzione, interamente di un materiale metallico ma molto più rudimentale, costituiva una specie di villaggio di case cubiche su più livelli. Non potevo vederlo bene per via della foschia che mi andava negli occhi, ma sembrava immenso. Sullo sfondo, quasi invisibile, c'era quella che giudicai fosse la sagoma di una montagna. Le costruzioni cubiche ai lati della “strada” in cui ero emerso sembravano avere varie funzioni, alcuni potevano essere centri di controllo, alloggi privati o basi, ma uno, caratterizzato da finestre più grandi, sembrava un luogo di ritrovo, troppo piccolo perché sia una mensa, forse una taverna di qualche tipo. Giudicai di trovarmi in una base di minatori per l'estrazione di minerali dalla montagna. Il pianeta 12-12-31 è quasi interamente costituito da stabilimenti di questo tipo, intorno a tutte le montagne o luoghi da cui si può estrarre minerale. Il resto è uno sconfinato deserto di ghiaccio. Mi chiesi di nuovo come avessi fatto a finire lì. Ma questa volta, dopo qualche secondo rafforzai la mia decisione di andare a chiedere a qualcuno, e restare in piedi a congelarmi le gambe non era il modo migliore per incontrare delle persone, almeno non qualcuno sano di mente. Muovendomi con passo esitante, entrai nell'edificio di metallo con le grandi finestre, sperando di poter ottenere qualche informazione in più. La mia intera situazione cominciava a farsi snervante. E fredda. Molto fredda. RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] La porta era pesante, in acciaio rinforzato, per tenere dentro il calore e fuori pericoli come creature dei ghiacci e ubriaconi molesti. Non mi trovavo esattamente in condizioni ottimali, ma non ebbi troppi problemi a spingere la porta all'interno, appoggiando tutto il peso corporeo sulla spalla, e aprirla. Sentii la giuntura scricchiolare quando mi mossi dentro, e stringendo i denti per la fitta sperai di non trovarmi in un luogo troppo ostile. Appena entrato, compresi di avere visto giusto almeno riguardo a quel luogo. L'illuminazione era morbida e giallastra, alimentata non solo dalle strisce d'emergenza sul pavimento ma anche da lampade elettriche sul soffitto, connesse insieme da fili rattoppati e che convergevano lungo le pareti verso un generatore nell'angolo della stanza, accanto a una porta di servizio. Il calore improvviso era piacevole come un tè caldo dopo aver lavorato al freddo. O una stanza con riscaldamento dopo aver camminato in una tempesta. Non era una sala molto ampia, né arredata con eccessivo sforzo, ma aveva il soffitto alto e un buon riscaldamento. Le poche decorazioni sulle pareti erano ossa di animali e lastre di lamiera di diversi materiali, alcune accartocciate come se fossero state divelte da una creatura enorme e poi appese alla parete come un qualche tipo di monito, ma forse erano solo scarti usati per coprire dei buchi nel muro. Un lato della stanza ospitava una ventina di tavoli circolari, ognuno con tre o quattro sedie di metallo arrugginito intorno, mentre dall'altra parte c'era un lungo bancone da bar con tanto di sgabelli, e una serie di casse di alcolici vari dietro al barista. Se si andava per stereotipi, di certo non sembrava il posto adatto per ordinare un bicchiere di latte. La sala era popolata da circa una ventina di omaccioni sporchi, grossi e in tuta da lavoro. Minatori dei ghiacciai, che si riposavano dopo un turno faticoso mentre altri loro colleghi sgobbavano su per le impalcature. Erano intenti nelle classiche attività per rilassarsi, giocavano a carte, parlavano o bevevano. Mi schiarii la voce segnalando la mia presenza. C'era molto rumore, ma un minatore seduto di sghembo su una sedia appena davanti alla porta mi sentì e si voltò distrattamente. Quasi cadde dalla sedia, strozzandosi con la birra che stava ingollando. Poi si alzò in fretta e furia e caracollò verso la porta al lato opposto della sala. Altri due mi notarono e seguirono il suo esempio, e in poco tempo, il locale era vuoto, evacuato in fretta e furia. Sospirai pesantemente, frustrato. Ecco che le mie possibilità di scoprire qualcosa scappavano via dalla porta sul retro, lasciando una scia di disordine e alcolici non pagati. Il lato positivo era che non rischiavo di essere ucciso con molta facilità, se facevo questo effetto alla gente, ma scatenare un fuggi fuggi solo entrando in un locale non mi avrebbe aiutato a scoprire niente. Poi con la coda dell'occhio notai che almeno due persone erano rimaste nel locale, e i loro atteggiamenti erano opposti. Il barista, paralizzato dalla paura ma incapace di lasciare il suo locale incustodito, che guardava fisso davanti a sé, muovendo le labbra velocemente in una silenziosa invocazione, uno straccio stretto con forza fra le mani carnose. Seduta al bancone, una persona che continuava a bere senza prestarmi attenzione. Indossava una giacca come la mia, e non un uniforme da lavoro. Gli stivali di cuoio rinforzati di metallo erano inadatti a lavorare nelle miniere ghiacciate, ma sotto la giacca vedevo gli orli di quella che sembrava una salopette da operaio, dello stesso materiale della giacca. Mentre cercavo di decidere se si trattasse di un ubriacone che non aveva notato il trambusto o cos'altro, alzò una mano guantata verso il barista e parlò. -barista, una birra per questo nuovo arrivato. Offro io.- Sospirai. Inutilmente teatrale, ma almeno dimostrava di avermi notato. E di non avere intenzione di scappare. La voce, marcata da un forte accento che non riuscivo a identificare, non tradiva la minima emozione. Mi sentii in dovere di sedermi mentre il barman tremante si muoveva a scatti versandomi un boccale traboccante di birra economica delle terre ghiacciate. La accettai, ma non bevvi, tenendo d'occhio l'avventore misterioso. -grazie. Sembri una persona cui posso fare domande.-. La persona in questione bevve un lungo sorso dal suo boccale, e mentre sollevava la testa l'orlo di pelliccia si piegò a scoprire una gola di un bizzarro colore pallido bluastro. I minatori del luogo erano tutti di razze umanoidi, le più comuni, e principalmente di tipi derivati dai Terrestri, una delle razze più prolifiche, con la pelle chiara e il sangue rosso, quindi ipotizzai che si trattasse effettivamente di un esterno. Indossava una maschera protettiva per il volto che teneva leggermente sollevata per bere, giusto abbastanza da scoprire la bocca. -Come forse avrai notato, non sono di queste parti. Ma sì, a qualcosa posso rispondere.- Ora che lo sentivo più da vicino, riuscii a riconoscere l'accento dei pianeti del quadrante esterno, una fascia principalmente di asteroidi che circondava la zona delineata dall'Unione Interplanetaria. Ad ogni modo, non riuscii a decidere se fosse una voce maschile o femminile, sentii solo il tono tranquillo. Sapeva di essere al sicuro, ma forse perché a differenza degli altri minatori mi aveva guardato bene prima e aveva visto che non avrei potuto fare male a una mosca. -oggi è il 19 del terzo mese, anno tremilasettecentoquarantacinque Era Spaziale. Siamo sul lato nord di 12-12-31. questo scavo serve parzialmente come spaccio di organi e componenti umane. Come avrai già scoperto da solo, a giudicare dall'odore. Altre domande?- -cosa ci faccio qui?- Il mio interlocutore si voltò verso di me e sorrise da sotto la maschera sollevata. Non avevo visto male, la pelle sul volto era effettivamente di una strana tonalità azzurrino biancastra, come se del sangue blu trasparisse attraverso una pelle bianca. Mi guardai i piedi, che ondeggiavano sotto il sedile. Di nuovo, le punte dei miei piedi non raggiungevano terra, e ondeggiavano sopra il terreno coperto di strisce di riscaldamento. La mia pelle era candida come la neve in cui avevo camminato, il che aumentava brutalmente il contrasto con i lividi. Mi resi conto che probabilmente dall'esterno sembrava un danno molto maggiore proprio per questo. Le dita erano coperte di segni rossi per il freddo. -Cosa mi avete fatto? Perché non riesco a rigenerarmi?- chiesi ancora a bassa voce, più a me che ad altri, ancora aspettando una risposta alla prima domanda. RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] Il mio interlocutore alzò le spalle. -questo non lo so. Io ti ho solo visto sdraiato sul tavolo con delle persone che cercavano di vivisezionarti. So che sono stati i contrabbandieri a portarti qui insieme all’ultimo carico. Credo volessero venderti. Anche se non capisco... - si voltò di nuovo a guardarmi. Dai buchi della maschera, ora di nuovo abbassata a coprire la bocca, vedevo guizzare degli occhi indagatori, apparentemente nero lucido, senza iride o bianco di alcun tipo. Sempre che fossero occhi. Non si può mai stare certi, quando s’incontrano altre razze. Una mano guantata si avvicinò al mio volto, e mi mossi istintivamente indietro, preparandomi mentalmente a un’azione difensiva. Il mio corpo martoriato protestò a gran voce, ricordandomi la mia condizione. Ma non era un attacco, e la mano si limitò ad accarezzarmi la fronte. -Zmahodiano. Credevo la vostra razza fosse estinta.- sul momento faticai a registrare quello che avevo sentito. L'avevo sempre pensato, ma non l'avevo mai sentito dire da qualcun altro. L'effetto era deprimente. -evidentemente No. Mi sforzai di rispondere, mentre la mano scivolava sulla mia testa. Bruscamente, si ritrasse, e il mio interlocutore tornò ad affrontare la birra, afferrando il calice e bevendolo in un sorso solo. Il barista era ancora paralizzato al suo posto, ma le spalle si erano rilassate. Evidentemente l'atteggiamento sicuro del suo cliente l'aveva rassicurato abbastanza. -non deve essere facile. Essere una “razza rara”, intendo.- La voce era un po' meno sicura, stavolta. Non ancora esitante, ma mancava un po' del tono duro di prima. Mi ritrovai a ponderare la risposta. Mi sentivo quasi al sicuro, ma decisi di evitare comunque la verità per il momento, almeno in parte. E qualsiasi altro tipo di affermazione precisa. -ci si abitua, come a tutto. No?- Annuendo, la persona introdusse la mano in tasca, lentamente. I miei muscoli si irrigidirono dolorosamente finché non tirò fuori una tessera di pagamento, lucida, grande circa cinque centimetri, e la poggiò sul tavolo. Muovendosi esitante, come se non ricordasse i movimenti, il barista la prese e ci passò sopra il lettore olografico agganciato alla cintura dei pantaloni, scaricando il pagamento direttamente sul conto del bar. Un suono meccanico avvisò che la scansione era finita, e, mentre il suo “cliente misterioso” scendeva dalla sedia, il barista borbottò un “grazie e arrivederci” che suonava orribilmente fuori luogo. Rimasi seduto sulla sedia, non sapendo che fare. La persona raggiunse la porta camminando a spalle chine, poi ripeté il gesto che aveva usato per chiamare il barman, qualche minuto prima. -Vieni con me. Vestito così morirai assiderato.- Annuii e saltai giù dalla sedia, stringendo i denti per le coltellate di dolore che mi raggiunsero dalle gambe. Maledissi di nuovo la mia condizione, per l'ennesima volta. Caracollando come un pinguino, raggiunsi la porta e uscii nella tempesta. Camminammo a distanza di sicurezza l'uno dall'altro, addossati agli edifici fino alla serie d’impalcature con cubi che avevo notato prima. Una grande scala metallica partiva dal terreno vicino a uno spiazzo poco oltre il “bar” e saliva a chiocciola fino alla fine della costruzione. C'erano anche degli ascensori arrugginiti. Uno di questi ci portò in alto, quasi fino alla cima dell’edificio, se così si poteva chiamare. Lastre d'acciaio collegavano i vari cubi appartamento a mo' di passerelle o piccole strade, con solo dei bastoni di segnalazione legati insieme come parapetto. L'intreccio di strade/ponti somigliava a un villaggio color ruggine su vari piani. La maggior parte delle “case” aveva le luci spente, ma un paio erano accese, e immaginai che questi fossero gli alloggi per i non addetti agli scavi e gli abitanti del luogo. Accanto alla porta a combinazione, sulla parete era dipinto un simbolo che rappresentava la professione di chi ci viveva. I cacciatori avevano spesso trofei come ossa o mascelle animali inchiodate all'esterno, per mostrare il loro valore. Il cubo verso cui ci dirigemmo era lontano dagli altri, e la porta era priva d’iscrizioni, come alcuni altri intorno. Un cartello vicino a quel piccolo gruppo di cubi recitava ironicamente “turisti”. Non potei impedirmi di chiedermi chi diavolo fosse tanto folle da andare in vacanza in un postaccio come quello. I miei piedi ora erano quasi del tutto insensibili, e avevo la faccia completamente coperta di pezzi di ghiaccio. L'unica cosa positiva era che il freddo faceva bene ai lividi, anche se non molto alle ossa malamente riaggiustate. Mi veniva da piangere, ma mi trattenni per evitare di ritrovarmi con gli occhi congelati. Il mio misterioso ospite aprì la porta inserendo la combinazione, e accese una luce all'interno. La “casa” era un semplice monolocale abbastanza piccolo, con un bagno minuscolo. Un materasso reso quasi invisibile da una pila di coperte di lana fungeva da giaciglio in un angolo. C'era un fornello elettrico modello quasi antico, coperto di toppe e piccole riparazioni, una scrivania e una sedia. La luce era fornita da una lampada, e il calore dalle strisce termiche su pavimento e pareti, insieme a quella bizzarra luce blu che c'era anche nel magazzino. Una singola finestra si apriva sul buio e la neve dalla parete accanto alla scrivania, sul cui piano era appoggiata una scatoletta vuota di cibo liofilizzato. Una valigia era ben chiusa per terra, con accanto una borsa più piccola, chiaramente le cose più preziose della casa. Nell'insieme, dava un’impressione di povertà opprimente, ma abbastanza pulita. Era evidente anche dai bagagli per terra che chi la abitava non intendeva restare a lungo, anzi, sembrava tutto pronto per partire il prima possibile. RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] -prendi la sedia e mettiti in modo da avere i piedi su una striscia del riscaldamento. Ti sentirai meglio, fra poco.- questa volta la voce risuonava con chiarezza, leggermente arrochita ma più acuta di come l'avevo sentita nel bar, e più nitida. Sentii il tintinnio di fibbie sganciate mentre il mio ospite si toglieva lentamente la maschera. Spostai lentamente la sedia, dove mi era stato indicato e ci salii sopra con cautela, ascoltando i rumori del mio misterioso interlocutore che chiudeva la porta ermeticamente, si toglieva il giaccone e lo buttava di lato. Dopo essermi messo comodo sulla sedia, mi voltai nella sua direzione. La mia prima impressione che avevo avuto era stata sbagliata, ma solo su una cosa. Ora che avevo l'occasione di vedere senza la pesante giacca invernale, mi resi conto che le forme del corpo erano chiaramente femminili, sebbene molto muscolose, con un fisico forgiato dal lavoro duro. La schiena, dalla pelle azzurrina, era solcata di cicatrici pallide, di cui una particolarmente profonda e sfregiante. Che andava dal fianco destro alla spalla sinistra. La mia ospite aveva abbassato la salopette della tuta, mettendo in mostra il petto nudo, con un seno generoso e dei bizzarri capezzoli blu, ornati da anelli decorativi e una catena dorata che li univa. Dato che non sembrava vergognarsi, non provai fretta di toglierle lo sguardo di dosso, analizzando i particolari. Dal fisico, sembrava che facesse un lavoro pesante, e potenzialmente pericoloso. Forse una guerriera, o una cacciatrice di taglie. Non si tolse i pantaloni, ma mise una maglietta larga a maniche corte, e, voltata verso di me, cominciò ad armeggiare per finire di togliere la maschera, per ora ancora sollevata sopra la bocca. Evidentemente la portava da molto, perché ebbe difficoltà con le fibbie, molte e inutilmente piccole, bloccate dal freddo. Pensai di darle una mano, ma cambiai idea, dato che probabilmente con le mie dita malridotte, avrei fatto più danni che altro. Quando, dopo un po' di sforzi, la maschera cadde a terra, rimasi a osservarla incuriosito. Quelli che avevo notato sotto la maschera erano effettivamente occhi, dello stesso genere dei miei: completamente neri, come quelli di un insetto. La pelle azzurrina sembrava schiarirsi sul volto, e vicino all'attaccatura dei capelli prendeva una sfumatura grigia. Il volto era umanoide, di nuovo simile al mio, con lineamenti attraenti, con labbra piene e zigomi alti. I capelli, tagliati militarmente, erano blu scuro, con sfumature grigie. Ma quello che mi colpì di più furono le sue orecchie, o meglio, ciò che stava nel punto in cui ci sarebbero dovute essere le orecchie. Attaccati ai lati della testa, ondeggiando pigramente nell'aria riscaldata della stanza, c'erano due tentacoli grigiastri, con tanto di ventose rosa pallide. Sotto la pelle trasparente, potevo vedere l'intreccio semovente di vene e un materiale organico che sembrava gelatina, insieme con uno strano fluido nerastro in perenne movimento. L'insieme mi fece improvvisamente pensare a una seppia umanoide, o un qualche tipo di creatura marina. In questo, di nuovo non mi sbagliavo di troppo. Dopo avermi permesso di esaminarla per un po', mettendosi quasi in posa con un sorrisetto, la mia ospite si decise a presentarsi, poggiando con decisione le mani sui fianchi e parlando come per declamare un discorso presidenziale, con il tono di chi ha ripetuto quella stessa presentazione centinaia di volte. La sua voce era profonda, quasi maschile, con un forte accento dei pianeti dei quadranti esterni, ma dopo averci fatto l'abitudine, quasi piacevole a sentirsi. -credo sia ora di presentarmi. Io sono Jester della razza degli Acquatici. Non è il mio vero nome, ma mi chiama così abbastanza gente da poterlo spacciare come tale. Credo che sia abbastanza ovvio il perché. - finì indicando con un dito le orecchie-tentacolo che ondeggiavano pigramente nell'aria calda e ferma. Jester, giullare. Un nomignolo appropriato. Ora che guardavo bene, in un certo senso ricordavano un cappuccio da buffone, con le piccole ventose rosa a fare da campanellini silenziosi. Ed era un Acquatica. Come evidentemente lei non aveva mai visto uno Zmahodiano, io non avevo mai visto un’Acquatica prima, ed ero piacevolmente sorpreso. Dopo qualche attimo mi resi conto che probabilmente stava aspettando che mi presentassi io. Era stata abbastanza generosa da permettermi di entrare in casa sua per scaldarmi e mi aveva offerto da bere, anche se non avevo accettato, quindi mi sentii obbligato a presentarmi a mia volta. -Io sono Kotetsu, Zmahodiano. Come hai già detto prima, dovrei essere estinto.-. Ci stringemmo le mani rigidamente. Era una strana presentazione, da entrambe le parti. Lei non mi aveva detto il suo nome, ed io avevo detto solo quello e un particolare che si notava a distanza di chilometri. Ma ebbi la sensazione che bastasse quello, per il momento. Lei non mi avrebbe detto altro, se glielo avessi chiesto, e lo stesso valeva per me. Era una specie di accordo silenzioso. Stringerci le mani non aveva molto senso, in fondo, ma evidentemente eravamo stati educati abbastanza bene da vederlo come un qualcosa d’istintivo. Per un po', ci fu il silenzio, mentre apprezzavo il calore che saliva dal pavimento a sciogliere lo strato di ghiaccio sulle mie gambe. Avevo da ridire sull'eccessiva altezza delle sedie da quelle parti, però. Mi mancava la sensazione di stare seduto e allo stesso tempo poggiare i piedi sul pavimento. -per caso conosci qualcuno a cui potrei chiedere per sapere come sono arrivato qua? O meglio, come ho fatto a finire in un’astronave di contrabbandieri... - chiesi, stavolta quasi esitante. La mia voce si spense alla fine della frase. Era ovvio che non lo sapesse. L'unica possibilità sarebbe stato chiedere ai contrabbandieri stessi, riflettei. Lei mi squadrò dalla testa ai piedi un paio di volte e soffocò un sorriso sul nascere. -speravo che prima mi avresti spiegato come hai fatto a ridurti così. È uno spettacolo bizzarro. Sai, il fattore autorigenerante e cose simili.- Rimasi sorpreso. Non mi aspettavo che sapesse questo piccolo dettaglio. Aprii la bocca per esternare la mia sorpresa, ma lei mi precedette. -è conoscenza comune, fra i viaggiatori dello spazio. Non esserne così sorpreso.- Lo ero. Anzi, mi sentivo come se fossi stato tradito, senza sapere di preciso da chi o cosa. -Io sono qui di passaggio. Ho visto che ti portavano su una nave insieme a un carro merci. In pratica sei stato venduto come cibo. Mentre stavano per affettarti e metterti nella cassa del cibo da vendere ai ristoranti cannibali, ti sei mosso e hanno avuto paura immaginando che appena ti fossi svegliato e rigenerato li avresti uccisi tutti. Come puoi ben vedere, anche quelli che non c'entravano niente e avevano solo sentito le dicerie del tuo arrivo si sono immaginati che volessi la loro testa quando sei entrato nel bar, tutto pallido, e drammaticamente, sai com'è, vivo. Di più non so.- Per un attimo sembrò pensierosa mentre si chiedeva chi potesse conoscere in grado di aiutarmi. Sembrava amichevole, pronta a fare del bene, ma decisi di rimanere all'erta. Inoltre, il mio sesto senso sentiva qualcosa di falso nel modo in cui parlava, come se stesse trattenendo delle informazioni importanti. Dopo un po' alzò la testa come se si fosse ricordata qualcosa. -ti suggerirei di chiedere ai contrabbandieri stessi, ma sono ripartiti per la Città Grigia, da cui erano arrivati. Sai, su quel pianeta deserto... 10-4-16.- RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 Spoiler [leggi] colpo di fortuna. Era lì che cominciava il mio “blackout mentale”. Eppure mi ritrovai a riflettere. Raramente i contrabbandieri spaziali fanno avanti e indietro fra due pianeti, ma piuttosto percorrono un ciclo incontrando minimo tre - quattro pianeti abbastanza vicini fra loro, in una rotazione, portando merci di diverso tipo e cambiando astronave fra un ciclo di viaggi e l'altro. Fra il ghiacciato 12-12-31 e il desertico 10-4-16 c'erano più di dieci giorni di viaggio, muovendosi costantemente. È un tempo lungo da passare senza pianeti intermedi, considerando anche eventuali merci deperibili. All'improvviso mi chiesi cosa fosse successo, e quanta strada avesse fatto il mio corpo prima che mi svegliassi. Secondo la data che mi aveva detto Jester nel bar, erano passati circa dieci giorni da quando avevo smesso di ricordare. Mi avevano lasciato lì di proposito, deviando la loro rotta abituale per liberarsi di un passeggero scomodo? A forza di rimuginarci sopra, mi stava venendo il mal di testa. La tua borsa, l'avevano presa i capi di questo postaccio.- La voce di Jester interruppe il corso dei miei pensieri. La mia borsa. La mia... La mia prima reazione fu saltare a terra e alzarmi in tutta la mia non considerevole altezza. -dove sono questi capi?- chiesi travolto da un’urgenza improvvisa. La mia borsa. Allora non era persa per sempre? C'erano cose importanti al suo interno. L'Acquatica mi fece cenno di stare in silenzio con la mano sollevata, tirando fuori la mia borsa con una mano da uno dei cassetti della scrivania,e finì la frase. -... ma io glie l'ho comprata. Sai com'è. C'è sempre qualcosa di utile nelle borse dei prigionieri.- Io alzai gli occhi al cielo. -non so da dove l'hai tirata fuori questa storia, ma non è vero per niente. Nella mia borsa ci sono solo cianfrusaglie. Ora ridammela.- mi pentii all'istante delle mie parole ansiose e infantili. Mi ero tradito subito, e il lento sorriso che si allargava sulla bocca bluastra mi diede la conferma. Mi sarei preso a schiaffi da solo. Jester rise. -cianfrusaglia con un forte valore sentimentale, direi, a giudicare dalla tua reazione. O forse... oggetti che non sono quello che sembrano?- Sorridendo con l'aria di qualcuno che ha appena vinto la lotteria,fece saltare i lacci della mia borsa di cuoio nero con un coltello tirato fuori dalla tasca dei pantaloni, che mi puntò contro distrattamente mentre rovesciava i miei effetti personali sul tavolo. Sul momento pensai che mi avrebbe trovato pazzo. Ma forse anche lei sapeva qualcosa del tipo di oggetti strani che un viaggiatore colleziona durante lunghi viaggi nello spazio, e incontrando gente varia. Nel mio caso, la maggior parte degli oggetti contenuti nella borsa, tranne il portafogli, erano oggetti che avevo raccolto per pura curiosità, per esaminarli più tardi. Ma alcuni erano souvenir che mostravano un lato abbastanza perverso del mio carattere che non ero pronto a rivelare a nessuno, per il momento. O almeno, avrei preferito evitarlo. E tutti questi oggetti erano sparsi sul tavolo sotto gli occhi di un’Acquatica sconosciuta e potenzialmente pericolosa di cui ero stato costretto a fidarmi dalla mia debolezza. Di nuovo, mi sarei insultato da solo. Eccomi qui, nudo ed esposto in forma di tanti oggetti bizzarri sul tavolo di una squallida abitazione sul remoto 12-12-31. Mitico. La mia piccola collezione vantava principalmente artefatti di varie razze spaziali. Un coltello rotto in due (che avevo riparato con del nastro adesivo) dono di un Terrestre, un pezzo di stoffa azzurrina e virtualmente indistruttibile, un cucchiaio rotto, un gingillo meccanico di uno strano metallo ambrato di cui non ero ancora riuscito a scoprire il funzionamento e altri oggetti simili, fra cui una perla lavorata dagli Acquatici, che Jester si fermò ad ammirare a lungo, prima di ammucchiarla fra gli altri oggetti. Strinsi i denti mentre frugava all'interno della borsa ed estraeva una piccola scatola metallica, uno dei trofei di cui andavo meno fiero. Fortunatamente, non riuscì a capire come aprirla, o almeno non con una mano occupata a minacciarmi, e lasciò stare, forse proponendosi di riprendere il tentativo di scassinamento più tardi. Tirai un minuscolo sospiro di sollievo finché non estrasse l'ultimo oggetto, rimasto, una piccola cella a sospensione criogenica. Aveva la forma di un cilindro un po' tozzo, poco più grande di un barattolo di sottaceti, con i due lati coperti da sigilli metallici di cui non conoscevo la combinazione. Il corpo principale era trasparente, ed esponeva con crudezza il suo inquietante contenuto. Un occhio umano, collegato con piccoli cavi a entrambi i coperchi e sospeso al centro in uno stato di equilibrio che gli impediva di rovinarsi. Il contenitore stesso era infrangibile, e neanche io ero riuscito ad aprirlo. Mesmerizzata dal mio piccolo tesoro, ignorò il resto della collezione, che spaziava da un minuscolo uccello del pianeta 91-18-3 infilzato come un insetto, a una mia foto scattata durante il periodo passato nell'esercito, durante la guerra. Jester sollevò la cella contenente l'occhio sopra la sua testa, ammirandola in silenzio. -wow.- non articolato né particolarmente impegnativo, ma è esattamente quello che disse, in un sussurro quasi coperto dal rumore della tempesta fuori che si andava intensificando, causando una sinfonia di cigolii dalla struttura sia sopra sia sotto di noi. Mi sorprese, ma non eccessivamente. Era più o meno la stessa reazione che avevo avuto io, mentre altri avevano reagito con rabbia,schifo o indifferenza a quell'oggetto e al suo mistero. Ma io, e forse anche l'Acquatica, ne avevamo intravisto la bellezza pura e innocente. -è bellissimo. Dove l'hai trovato?- -in una banca dati su un pianeta della fascia interna, ma non se ne trovano altri, il mio è un esemplare raro.- risposi in fretta, geloso del mio tesoro. lei annuì ignorando la mia voce snervata, poi senza preavviso parlò di nuovo, allontanando il coltello dalla mia faccia per stringere a sé la cella. -questa la tengo io.- -no!- reagii, di nuovo istintivamente. Ma questa volta non fu una risata che causai in lei per il mio comportamento infantile. Questa volta, mi mossi prima che potesse dire niente. Feci per muovermi in avanti, ma la gamba ferita mi tradì, mi inclinai troppo e dopo un attimo di orrore la lama del coltello penetrò fino alla base nel mio occhio sinistro. Il mondo si paralizzò. Almeno dal mio punto di vista. Vidi il lampo di sorpresa che attraversava il volto di Jester mentre il mio corpo si spostava all'indietro e la lama scivolava centimetro per centimetro via dalla mia orbita. Intorno alla mia vista si avvolse una cappa scura. Vidi il soffitto della baracca e sentii la mia stessa voce che emetteva un grugnito di dolore o forse di sorpresa. Pensai che avrei dovuto sentire dolore mentre succedeva, ma evidentemente mi ero sbagliato. La cosa era semplice. Stavo morendo. Nell'ultima frazione di secondo prima che tutto diventasse nero e la lama finisse il suo lavoro di distruzione nel mio cervello, registrai la cella di sospensione contenente l'occhio che cadeva a terra, rimbalzava leggermente con un suono sordo contro il tappeto, suono che le mie orecchie non poterono udire, e s’inclinava, toccava terra nel momento in cui sentivo l'urto contro il pavimento e restava ferma, senza rotolare o muoversi. Nell'ultimo istante della mia vita il mio sguardo si allacciò a quello dell'occhio nella cella, e in un attimo fui attanagliato dalla paura. Lo sguardo. Non era più fisso e vuoto, lo sguardo di una persona in coma- era vivo. E mi fissava. Mi fissava. Mi fissava. Mi fissava... RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 27-12-2009 fhew... ce l'ho fatta, finalmente. e in meno di 16 messaggi. devo trovare un metodo alternativo, però. inoltre, chiedo scusa per il finale infantile... RE: storia fantascientifica WIP - The Fool - 29-12-2009 L'ho letto nel pomeriggio, Eva... wow, giuro che mi ha tenuto incollata fino all'ultimo rigo! ![]() Nel racconto sai creare tensione e una dannatissima curiosità: in conclusione avrei voluto saperne di più (moooolto di più), ma è comunque un finale che funziona... forse poco chiaro nella dinamica delle azioni (ho dovuto rileggerlo un attimo per capire cosa fosse realmente successo), ma tutt'altro che infantile. Per me scrivi molto bene e hai quel gusto lovecraftiano che conquista. PS: Jester (viva i giullari ** ) è un personaggio davvero davvero intrigante. ![]() RE: storia fantascientifica WIP - Ravatta - 29-12-2009 grazie mille! ![]() sono contenta che ti sia piaciuta. Ad ogni modo, non è una storia in sè, ma sarebbe il primo capitolo di una storia più lunga che sto scrivendo. Finora, ho fatto cinque capitoli incluso questo. Appena ho finito di correggere il secondo capitolo lo metto in questo thread ![]() |