dopo l'incontro con il Profeta-delle-nebbie, e tutti si suoi discorsi sul Nulla, la non-esistenza, viene fuori che in realtà il Potenziale dell'Incanto è nullo perché loro non esistono, il Sogno è solo il riflesso dei sogni di Altri, e la Carne è solo un illusione, allora uno comincia a non capirci più nulla. E neppure a condividere le idee di Dimitri. Io Esisto, eccome, non sono l'ombra di qualcuno. Anzi, secondo Dimitri un Ombra generata delle interferenze di altri "Alberi" (altri mondi, secondo l'autore), un ombra fittizia, quindi non reale (porta come esempio le Ombre Cinesi, tanto per farci capire)

Il libro è molto complesso, denso di eventi e significati, stratificato. La storia raccontata è quella dell'avvicinamento fra il mondo della magia e immaginazione (Incanto) al nostro (Carne), delle conseguenze positive e negative che questo comporta, delle lotte che ne nascono. L'Incanto è il terreno di vita dei miti vecchi e nuovi di ogni epoca (e infatti troviamo un'accozzaglia di fate e satiri, spiriti e dei olimpici), sconfitti dal progresso tecnologico (che ne ha però creati di nuovi) ma ciclicamente desiderosi di tornare.
L'ambientazione è in parte quella della città di Roma, che si trova ad affrontare un vero e proprio baccanale in nome della rinascita del dio Pan (imbrigliato un secolo prima nella narrazione di Barrie); Pan è il dio della sfrenatezza e dell'istinto (il personaggio più che Pan ricorda Bacco), noncurante dei mortali, pericoloso perchè fa perdere la razionalità ma al contempo vessillo della libertà: sessuale, di pensiero, di immaginazione... Egli combatte il grigiore della non-fantasia (Greyface o Uncino) ed è a questi sicuramente preferibile, ma non è nemmeno lontanamente 'buono'.
In questa guerra di magie e antichi miti che tornano, di crudeltà e sangue (Dimitri non si risparmia nulla in questo campo, anzi sembra trarre piacere dalle scene più feroci e in certi casi gratuite - vedi la morte di Maximillian) una famiglia si staglia a difesa dell'umanità, alleata di Pan ma non serva: i Cavaterra, tre fratelli con vari talenti e destini prescritti. In uno schema che ricorda molto L'Eredità di Shannara di Brooks, sono loro a doversi fare carico dell'eredità del padre e del nonno e a combattere le proprie battaglie. Sono ragazzi, personaggi ben delineati (soprattutto Michele), talvolta prevedibili (soprattutto Giovanni) ma genuini: ben costruiti come giovani di oggi e nonostante tutto non fuori posto in un romanzo fantasy.
Lo stile di Dimitri mi ha colpito molto: il primo capitolo è davvero magico, forte di ripetuto incipit che pone l'accento su cosa succede nelle notti di Roma. Mi fa sorridere sentire menzionati elementi della realtà moderna con grande puntualità (Porta a porta, la Dc, i reality...), mi riempie di gioia leggere aperti tributi a Tolkien, alla Rowling e in generale al mondo fantasy (anche io lessi un secolo fa Le dodici vita e mezzo del capitano Oso Blu!).
Nell'insieme, quindi, il romanzo mi ha sorpreso moltissimo (e non ricordo in effetti di aver mai fatto una recensione così lunga); sono stato però infastidito dallo scarsissimo conto in cui viene tenuta la vita umana e (in parte) le leggi del vivere civile: non avrei mai seguito Uncino (rivendico la mia libertà di 'diversità e colore' rispetto al grigio imperante da lui propugnato), ma nemmeno Pan mi sarebbe piaciuto libero e signore. Per niente.
Ultima cosa, più che altro un dubbio; mi ha colpito molto Dagon: solo a me è sembrato, almeno dallo scambio di battute finali, il più autobiografico dei personaggi?