La Foresta Perlacea
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29-11-2009, 02:31,
Messaggio: #1
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La Foresta Perlacea
Questo racconto l'ho scritto e pubblicato quattro anni fa sul forum di Terry Brooks, ma della sua esistenza mi sono ricordato soltanto adesso che l'ho scovato per caso mentre giravo senza meta tra le pagine del forum! Senza pensarci su due volte, ho deciso di proporlo anche a voi!
********** Le fronde degli alberi sussurravano sopra alla mia testa, ondeggiando alla lieve brezza notturna. Il sentiero si snodava nella foresta, davanti ai miei occhi. Procedevo lentamente, facendo attenzione a dove poggiavo i piedi. Sarei potuto inciampare in una radice e rompermi una caviglia: chi sarebbe giunto in mio soccorso? Chi, nella Foresta Perlacea, avrebbe potuto udire le mie grida di dolore? Nessuno. Potrebbe capitarmi anche qualcosa di ben peggiore di una frattura alla caviglia, come una grave ferita alla testa: il sangue avrebbe cominciato a sgorgare copioso e quando la morte sarebbe venuta a prendermi, nessuno se ne sarebbe accorto. Se qualcosa deve andar male, puoi star sicuro che quella lo farà . Mi resi conto che stavo sorridendo e scuotevo lievemente la testa. Certe volte sono così pessimista, ma in alcune occasioni avverto una profonda speranza in ciò che mi circonda, una speranza che rasserena il mio animo e infonde in me la certezza che forse non tutte le esperienze del quotidiano devono per forza terminare nel peggiore dei modi. Mi piace passeggiare di notte, nella Foresta Perlacea, e perdermi nei miei pensieri. Sono un Elfo, e come tale mi piace immergermi nella natura, farne parte e assaporare le infinite sensazioni che essa dona agli esseri umani. E' un posto molto strano e particolare. Gli alberi sono grigi come la pelle esangue di un cadavere e alla luce della Luna la corteccia emana un flebile bagliore. Quando cammino tra questi alberi così antichi e particolari mi sento gelare fin dentro le ossa. Sono perfettamente consapevole che non si annidano pericoli in questa foresta, altrimenti non mi piacerebbe frequentare così spesso questo posto che nasconde tanti misteri. Nonostante tutto, quel fioco sbrilluccichio che rende spettrale ogni tronco mi rende sempre piuttosto teso eppure... è proprio quest'aura di mistero che mi attira nella Foresta Perlacea. Al limitare della foresta sorge Eriade, il tranquillo e sonnolento paese dal quale provengo. Una sera mi trovavo in una locanda e gustavo tranquillamente una coppa di delizioso vino elfico prodotto nella zona. Nel tavolo vicino al mio, un anziano elfo stava narrando una strana storia a proposito della Foresta Perlacea: "Gli alberi della foresta sono maledetti. Possiedono un potere malvagio, ne sono intrisi fino al più profondo strato della corteccia. Questo li rende... vivi. Immagino che starete pensando che non ci sia nulla di strano in questo: un albero è un essere vivente, quindi è vivo. Invece questi qui sono vivi come lo siamo noi, possono muoversi come noi, comunicare come noi e persino pensare come noi. Sono vivi come esseri umani. Durante la notte si spostano, dialogano con il fruscio delle foglie e con gli schiocchi secchi dei rami. E' dai tempi dei Secoli Antichi, quando è nata Eriade, che essi stanno tramando alle nostre spalle e lo faranno finché non saranno pronti e ci attaccheranno... distruggendoci tutti." I suoi ascoltatori sussultarono. Mio malgrado, un brivido mi percorse la schiena. Pensandoci bene però, mi resi conto che era solo una storia. Sorrisi tra me e me. Non posso dire di essere un frequentatore assiduo della foresta, ma ci vado spesso, cammino da solo sui sentieri e non ho mai incontrato pericoli. Ero immerso nei miei pensieri quando uno rumore secco, come di un legno che si spezza, risuonò non molto lontano da me, nel buio appena rischiarato dalla pallida luminescenza degli alberi. Scrutai coi miei occhi di elfo tra le pieghe delle tenebre, ma non scorsi nulla. Non c'era niente in movimento e le mie orecchie appuntite non percepirono niente, se non il ritmico e accelerato battito del mio cuore. Ripresi il cammino guardandomi attorno con circospezione, pronto a captare qualsiasi suono estraneo. Presi l'arco dalle mie spalle e lo strinsi saldamente, come a voler attingere da esso una forza invisibile. Il contatto con l'impugnatura dell'arma ebbe un effetto rassicurante. Avvertivo una sensazione di pericolo, ma tutto mi sembrava così buffo. Cosa poteva succedere? Certamente gli alberi non possono prendere vita e andarsene in giro per conto loro come narrava la strana storia che avevo udito raccontare da quel vecchio, nella locanda. Decisi che era meglio tornare indietro: non mi sentivo tranquillo. Volevo raggiungere al più presto il paese: solo all'intero delle mura sarei stato in grado di calmarmi. Mi voltai e cominciai a camminare a passo svelto, incurante di tutto quello che poteva accadermi. L'inquietudine che albergava in me aveva cancellato quasi istantaneamente tutta la mia eccessiva prudenza. All'improvviso vidi un movimento sulla destra. Non mi fermai per vedere bene di cosa si trattasse, ma compresi subito quello che stava succedendo: le foglie si muovevano, si toccavano l'una con l'altra. Il fruscio che provocavano era simile al rumore prodotto dalle zampette di una folla di scarafaggi che si muovono come un mare agitato su di un pavimento di pietra. Mi venne la pelle d'oca. Una serie di brividi mi percorse la schiena. Nonostante non facesse freddo mi strinsi nel mantello e continuai a camminare verso Eriade. In qualche modo sarei dovuto arrivare dal Re e avvertirlo del pericolo imminente. Non avrei dovuto parlarne con nessun altro oppure avrei rischiato di diffondere il panico nel paese. Intorno a me si susseguivano cigolii e lamenti prodotti dai rami che si muovevano e si torcevano. Parlavano tra di loro. Dialogavano. Avevano qualcosa in mente... ma cosa? Accelerai ulteriormente la mia andatura mentre cercavo di capire cosa stava succedendo. Una parte di me rifiutava l'idea che la storia raccontata dal vecchio stesse diventando realtà , ma allo stesso tempo la mia coscienza mi diceva che forse l'anziano elfo aveva ragione. Mi voltai all'indietro per controllare che non ci fosse niente o nessuno dietro di me. Il sentiero era vuoto. Riportai lo sguardo davanti a me e tutti i miei dubbi vennero spazzati via come foglie secche disperse in aria da una forte folata di vento. Quello che avevo appena visto accadere davanti a me non era reale. Non poteva esserlo. La mia mente rifiutava quello che l'occhio aveva osservato. Un albero che fino ad un secondo prima era immobile sul ciglio della sentiero, ora si era spostato al centro di esso. Il movimento era stato complesso quanto rapido: non avendo gambe e piedi per spostarsi, l'albero si sollevò da terra e fluttuò nell'aria, a circa 3 piedi dal suolo. Estrasse le radici dal terreno e, sempre fluttuando, si spostò al centro del sentiero dove piantò di nuovo le sue radici. Quell'essere misterioso, che ora mi risultava difficile vedere come un semplice albero, non voleva farmi passare. Chiaramente era quella la sua intenzione. Ma poi, cos'altro aveva in mente? Avrebbe potuto afferrarmi con le sue possenti radici, sollevarmi da terra e stritolarmi finchè la morte non fosse giunta a liberarmi. Strinsi ancora più forte l'impugnatura dell'arco e con l'altra mano estrassi una freccia dalla faretra, ma non la incoccai subito. Volevo prima capire quali erano le intenzioni dell'albero: se mi avesse attaccato avrei avuto il tempo sufficiente per scoccarla. L'essere misterioso si limitava a rimanere fermo, come se aspettasse una mia mossa. Non avevo idea di come facesse a vedere o a sentire. Non avevo neanche modo di capire cosa aveva in mente perchè non c'erano occhi da scrutare per trovare le risposte che cercavo. Non c'era assolutamente nulla che potevo utilizzare a mio favore per scoprire qualcosa su quello che intendeva fare. Provai a fare un passo avanti e quello rimase sempre al suo posto. Uno strano silenzio era sceso sulla foresta. In quel momento la terra cominciò a tremare e poi esplose. Mi voltai rapidamente. Quattro radici spesse come un braccio erano sbucate dal terreno e strisciavano verso di me. L'arco era palesemente inutile contro un nemico del genere: rapidamente riposi sia l'arma che la freccia. Le uniche due alternative che avevo per affrontare le radici dell'albero erano le mani nude oppure il mio pugnale elfico. La decisione non fu difficile da prendere: estrassi senza esitazione la lama dal fodero. Divaricai le gambe per assumere una posizione più stabile e affrontare al meglio quello strano nemico che fuoriusciva dal terreno e si lanciava verso di me. La notte mi avvolgeva, ma la pallida luce che veniva diffusa dalle radici era sufficiente per permettermi di vederle e di colpirle. Improvvisamente capii che miravano alle mie caviglie: volevano afferrarmi e trascinarmi con loro nelle viscere della Terra. Strinsi l'elsa del pugnale e mi lanciai verso destra, evitandole. Atterrai su un cespuglio e mi rialzai prontamente. Corsi tra gli alberi che si trovavano lungo il sentiero, avanzando a zig zag tra i loro tronchi: avrei senz'altro messo in difficoltà le radici che infatti non riuscivano a seguire la mia stessa traiettoria e spesso interrompevano bruscamente la loro corsa, andando a sbattere contro i loro simili che osservavano immobili il susseguirsi rapido degli eventi. Anche se non ne ero certo, sentivo che le radici erano controllate dall'albero che si era spostato; mentre correvo decisi che era lui che dovevo colpire. Se lo ferivo gravemente, non avrebbe più rappresentato una minaccia ed io sarei potuto tornare in città e lanciare l'allarme. Raggiunsi in pochi istanti il punto in cui si trovava l'albero. Dietro di me le radici mi stavano per raggiungere, ma io fui più veloce: conficcai a fondo il pugnale nella corteccia dell'albero e impugnai l'elsa con entrambe le mani. Non rimasi affatto sorpreso dalla poca resistenza che veniva opposta al pugnale: ormai avevo capito che gli alberi che popolavano la Foresta Perlacea non erano alberi comuni. Spinsi con tutte le mie forze verso il basso e incisi un lungo e profondo squarcio. Mi voltai e vidi le radici che stavano per raggiungermi. Tenendo sempre lo sguardo fisso sul nemico posai la mano sull'elsa del pugnale e lo tirai verso di me. Non riuscivo ad estrarlo. Mi girai e scoprii che la ferita si era rimarginata, bloccando così la lama al suo interno. La ferita che avevo inferto era stata inutile. Il rumore delle radici che smuovevano le foglie morte che giacevano in terra si era fatto considerevolmente più vicino. Stavo per girarmi quando percepii qualcosa che impattava tremendamente contro la mia schiena: un radice fuoriusciva dal mio petto, imbrattata del mio stesso sangue. Non c'era dolore. Solo un senso di torpore. Non avvertivo più le gambe e le braccia: probabilmente la mia spina dorsale era stata tranciata dalla grossa radice. Chiusi gli occhi e piansi. Non potevo avvertire la mia popolazione e la morte stava arrivando, la sentivo. Ebbi un accesso di tosse e il sangue mi colò lungo il mento e sul collo. Intanto altro sangue sgorgava dall'enorme ferita provocatami da quella sorta di tentacolo legnoso. In terra si era formata una vera e propria pozza. Aprii gli occhi. Mi accorsi che non piangevo più. Stavo sorridendo debolmente. Avrei potuto raggiungere colei che ha sempre posseduto il mio cuore e che io ho sempre amato. Colei che mi era stata portata via dalla morte dieci anni fa. Avrei potuto stringere di nuovo la sua mano con la mia e correre assieme a lei attraverso prati fioriti. Baciarla. Avrei potuto posare di nuovo il mio sguardo sul suo viso illuminato dalla dolce luce delle stelle. Avrei potuto dormire assieme a lei sopra soffici nuvole bianche, accarezzati dalla brezza. Amarla. Si, avrei potuto di nuovo donarle dutto il mio amore e tutto me stesso. Sorrisi in faccia alla morte che ormai mi aveva preso con se. Chiusi gli occhi un'ultima volta e l'oscurità mi avvolse. Sto arrivando, Lynette.
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29-11-2009, 12:50,
Messaggio: #2
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RE: La Foresta Perlacea
Bel lavoro, Ale! Bravissimo!
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