


titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
capitolo 4 up!
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19-01-2010, 23:37,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] In effetti sotto questo punto di vista ero nel torto. Non avevo il diritto di lamentarmi, se vantando così la mia provenienza poi trovavo persone troppo interessate a me. Eppure nascondere il mio volto ogni volta che mi trovavo in pubblico sembrava quasi un tradimento nei confronti dei miei fratelli Zmahodiani, vivi o morti che fossero. Per rassicurarla, promisi che sarei andato a comprarmi qualcosa per coprirmi bene, forse una di quelle tute integrali con cappuccio che andavano tanto di moda. Personalmente le trovavo orribili, ma mi sembrava un ottimo travestimento. Mentre parlavamo, l'ascensore si fermò davanti a noi con un leggero sibilo e le porte trasparenti si aprirono. Saltammo dentro insieme a una ventina di altre persone, quindi alla fine c'era ben poco spazio di manovra. Fu un piacere quando le porte si riaprirono e potemmo scendere dalla cabina. Ci trovavamo in un enorme piazza dal pavimento trasparente. Oltre la piazza, cominciava una specie di città composta interamente di negozi, locali, ristoranti, bancarelle e bordelli vari intorno a cui si affollavano turisti curiosi e viaggiatori occasionali. Non c'erano pareti o muri a difendere la stazione spaziale: le pareti erano colossali vetrate, che permettevano di ammirare il frenetico traffico di astronavi come se stessimo galleggiando nello spazio aperto. Era una sensazione fantastica, ma mi chiedevo se lo scudo ad energia e le pattuglie di bot difensivi fossero abbastanza per proteggere un luogo del genere, specie se, come avevamo verificato prima, I predoni potevano avvicinarcisi così tanto. Rimanemmo un attimo in piedi in ammirazione del vasto spazio intorno a noi. In tutta la mia vita ero stato in centinaia di stazioni spaziali, ma mai grandi come quella di Saint Amber. C'erano così tanti odori diversi nell'aria, da quelli più familiari come carne alla brace che vendevano in alcune bancarelle, ad altri completamente sconosciuti, che andavano dai cibi esotici ai vestiti e a volte a delle persone. C'era un tale contrasto olfattivo che mi sentivo quasi insultato. Jester avanzò di qualche passo, guardandosi intorno per orientarsi, poi si avviò verso il lato a nord della piazza, facendomi cenno di seguirla. La folla era chiassosa e opprimente. Sembrava che quasi nessuno avesse qualcosa di importante da fare, e si limitassero a girare, guardarsi intorno, chiacchierare. Per due volte quasi persi di vista la mia compagna, finchè non mi stancai della situazione e le afferrai la mano per lasciarmi guidare. Erano snervanti gli sguardi che ricevevo dalla gente, ma vedevo esemplari intorno a me di razze assai più strane. Ad una bancarella serviva una specie di creatura tentacolare, con molti occhi: poco dietro di me, una creatura alta quasi tre metri e con in mano una piantina della stazione gironzolava con un gruppo di umanoidi non meglio identificabili. Jester sembrava stare prendendo una strada molto lunga per arrivare al negozio. Continuava a prendere vicoli più piccoli, infilarsi fra negozi e bancarelle, quando sarebbe bastato continuare per la strada principale. Era faticoso starle dietro, e I continui strattoni che mi dava per chiedermi di tenere il suo passo non erano piacevoli. Camminava velocemente, a grandi falcate, mentre io, essendo molto più basso di lei, dovevo faticare di più per seguirla. Cominciavo a temere che Jester si fosse persa e stesse soltanto cercando di minimizzare la situazione quando, circa mezz'ora di giri a vuoto dopo, raggiungemmo la nostra meta. Era un piccolo chiosco stretto fra due bancarelle di souvenir. Sotto il tetto di lamiera bruciata, erano seduti due Terrestri, uno di spalle all'altro per poter servire I clienti da entrambe le direzioni. Un cartello olografico poco sopra il tetto del chiosco recitava “riparazioni- affitto box – affitto attrezzi – banco ufficiale del piano meccanica” sempre con me attaccato al braccio come una banderuola, Jester si diresse verso uno dei cassieri. -voglio affittare un box nel piano meccanica.- il Terrestre alzò lo sguardo squadrandola per bene. Molto insolente, ma tipico di quella razza così primitiva. Mi innervosì non poco. -per quanto tempo?- chiese poi con voce annoiata. Jester sembrò pensarci su. Capii che stava cercando di calcolare il tempo minimo per cui fosse sicuro restare nella stazione prima di rimettersi in viaggio. -tutta la giornata.- disse poi a mezza voce. -e voglio anche affittare degli attrezzi. Set avanzato.- il Terrestre battè dei codici sullo schermo olografico che aveva di fronte. Mi chiesi come avrebbe fatto a riparare l'intero veicolo in così poco tempo. Non avevo avuto il tempo di controllare la nave mentre scendevamo nel parcheggio, ma sapevo per certo che almeno il generatore gravitazionale era andato, oltre a una parte della copertura dello scafo. -senti, hai bisogno di aiuto con la navetta? Non sono un esperto, ma me la cavo con le riparazioni. Come minimo, posso aiutarti a riparare I danni subiti durante l'attacco...- lei scosse la testa, lentamente. -grazie per la proposta, Kotetsu, ma preferisco fare da sola. Posso farlo. Anzi, se non è un problema eccessivo per te, preferirei che stessi lontano mentre lavoro. Dovevi passare in banca, no? E inoltre potrai dare un occhiata in giro. Ci rivedremo... oh... fra una decina di ore. Ti sta bene?- la sua voce sembrava stanca, ma determinata. Annuii. Era una sua scelta, e l'avrei rispettata. Inoltre, non ero mai stato in una stazione spaziale così grande, e mi sentivo emozionato come un bambino in un negozio di caramelle. Avrei recuperato I soldi, e con il tempo a disposizione mi sarei potuto anche procurare alcuni oggetti il cui acquisto rimandavo da un po' di tempo- una nuova borsa, per esempio, e delle armi degne di questo nome. Ad ogni modo, l'accompagnai fino al punto dove era pacheggiata la nave. Il box direttamente sotto il punto in cui avevamo parcheggiato era libero, così assistei con una certa sorpresa allo spettacolo del pavimento che si abbassava, spostandosi di lato, per incastrarsi alla perfezione in uno spazio attrezzato con una moltitudine di strumenti da lavoro. Di certo, Jester non avrebbe avuto problemi di mancanza di materiale. Le feci ciao con la mano mentre l'astronave scendeva lentamente con l'aiuto di raggi a trazione, con Jester aggrappata sopra. Un secondo pavimento si sollevò a ricoprire il buco, e in meno di cinque secondi non c'era più traccia della curiosa biposto. Questo secondo pavimento era metallico e blindato, senza la finta copertura di asfalto. Nel punto in cui prima c'era la navetta, apparve un ologramma rosso che ne mostrava con sufficiente accuratezza le forme e la scritta “NEL BOX- NON PARCHEGGIARE.” avendo finito il mio lavoro lì, mi avviai di nuovo verso l'ascensore. La folla sembrava assai più opprimente di prima, ora che non avevo la massiccia Acquatica a farmi da scudo contro gli spintoni. Avevo lasciato la borsa nell'astronave, e mi mancava un po' il conforto offerto dalla familiare sacca di cuoio pesante contro il mio fianco. Ma non ci potevo fare niente. La mia prima tappa era la sede della Banca Interstellare. Per facilitare le spese folli, ce n'era una proprio davanti alla zona in cui si fermavano gli ascensori. Era una costruzione alta, che mischiava con una certa eleganza aspetti difensivi e decorativi, senza cadere in eccessi. Costruita in un qualche materiale bianco che non riuscivo a riconoscere, era tutta forme lisce e vetri, con I simboli dei vari sistemi planetari. Sembrava un grande specchio con una cornice bianca ornata di simboli. Guardie armate sorvegliavano l'ingresso, inguainate in tute nere rinforzate e antiproiettile, ultimo modello, e gingilli dall'aria minacciosa stretti nei pugni. Su ogni vetro, di sicuro rinforzato, luccicava l'acciaio scuro dei congegni antifurto. Ovviamente, dato l'affollamento della stazione spaziale, la fila era lunga, ma principalmente per via dei macchinosi processi per entrare all'interno. Mi ci vollero tre quarti d'ora per raggiungere la porta vetrata, e mi ritrovai più o meno spogliato e passato sotto un sensore per la scansione per verificare se avessi armi addosso, visibili o meno. Mi fu requisita la pistola da difesa personale che avevo preso dalla rastrelliera sulla nave di Jester, e fu chiusa in una cassetta blindata, con la promessa che avrei potuto riprenderla all'uscita dalla banca. Il lato positivo del procedimento così lento era che l'interno della banca, ampio e luminoso, era poco affollato, e ci voleva poco tempo per raggiungere I vari sportelli. Al banco prelievo, eseguii il lungo processo per il recupero della carta di credito, che richiedeva addirittura un prelievo di sangue per il controllo del codice genetico. Il lato positivo dei conti della banca spaziale è che raramente accade di subire furti, anche se si perde la tessera di pagamento. Ad ogni modo, preferivo di gran lunga tenere I miei soldi nel conto, e prenderne poco a poco in schede prepagate come quella che Jester aveva usato al bar, su 12-12-31. Alla fine della procedura potei verificare che si, il conto era rimasto, ed era esattamente quanto ricordavo. |
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19-01-2010, 23:39,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] Prelevai millecinquecento crediti in una scheda, che si andarono ad unire con I duecentoventi del pagamento di Jester. Avevo abbastanza soldi per dei vestiti nuovi, una borsa e un arma. E possibilmente anche per qualcosa da mangiare, anche se non ci contavo troppo, prevedendo prezzi gonfiati all'estremo. Tornato nello spiazzo, mi guardai intorno, incerto su cosa fare. Nell'astronave, io e Jester avevamo sgranocchiato del cibo liofilizzato (frutti di mare lei, carne io) ma non era stato esattamente un pasto soddisfacente, e inoltre risaliva a un bel po' d'ore prima. Decisi di far aspettare il pasto finchè non avessi avuto davvero fame. Così, ignorando il languorino che mi suscitava la vista delle bancarelle e dei negozi che esponevano squisitezze da tutto lo spazio, andai a cercare un negozio d'armi, la mia priorità del momento. Aggirandomi nelle strade, fui sorpreso dall'eterogenità degli esercizi che trovavo. Dai sexy shop ai ristoranti di classe, fino a giocattolerie per bambini e le farmacie, c'era veramente poco che non si potesse trovare con abbastanza tempo a disposizione. Aggirandomi senza meta, passai davanti a negozi bizzarri con assortimenti di oggetti di tutti I tipi esposti, da uno che vendeva scudi tribali dei pianeti selvaggi a uno decorato esclusivamente di falli di gomma e vibratori vari di dimensioni e decorazioni variabili. Come di solito succede quando si cerca qualcosa, sembrave esserci tutto tranne ciò che mi serviva veramente. Mi ritrovai con grande imbarazzo, a chiedere informazioni in giro per sapere se esisteva un negozio o bancarella che vendesse oggetti almeno minimamente pericolosi. Avevo recuperato la pistola, ma dato che era un modello a proiettili, avevo un numero limitato di colpi a disposizione, e non era adatta al mio stile. Io volevo qualcosa di letale, robusto e possibilmente a laser, senza l'ingombro di dover ricaricare manualmente ogni dieci-venti colpi. Volevo sentirmi sufficientemente al sicuro con un arma. Non per menzionare che almeno per un po' di tempo, avrei dovuto proteggere anche la nave di Jester. Non capivo, comunque, perchè mi avesse allontanato, dopo avermi pagato apposta per difendere il suo carico. Ma cominciavo a fare l'abitudine con I modi nervosi che l'Acquatica assumeva nei confronti della sua spedizione, e della sua astronave viola in linea più generale. Infine, dopo quasi un ora passata a vagare senza una meta particolare e a subire le occhiatacce della gente, mi trovai davanti a un negozio d'armi. Il nome era “Guns&Ammo – weapons bazar”, scritto in un insegna grande e luminosa, con sotto un avviso olografico che pubblicizzava la merce. “tutto il meglio dell'artiglieria leggera o pesante, armi bianche o da fuoco, da laser o a proiettili, tutto quello che vi serve per proteggervi le chiappe ce l'abbiamo! Porto d'armi obbligatorio. Sconto speciale cacciatori di taglie & guardie del corpo. Venite, comprate, uscite e macellate!” l'ultima frase del cartello pubblicitario mi fece venire voglia di sbattere la testa contro un muro, ma sconfiggendo I miei sospetti entrai lo stesso. L'interno del negozio mi ricordava per qualche motivo un negozio di articoli sportivi. Lungo, stretto e alto, ospitava praticamente tutte le armi mai concepiti nella storia, con relativo codice e cartellino del prezzo. Al centro della sala c'era un bancone con una cassa a schermo olografico. Accando al bancone c'era una scala a chiocciola che saliva fino al secondo piano dove erano ammassate armi di calibro e dimensioni sempre maggiori, fino addirittura a torrette applicabili. La mercanzia era disposta lungo le pareti su rastrelliere in ordine crescente partendo dal basso, dove erano le armi più piccole, verso l'alto, aumentando calibro e dimensioni dell'arma. Il negozio odorava di lubrificante, polvere da sparo e bruciato. Un odore familiare. Mi diressi verso il bancone, vuoto. Accanto a me, una vecchia di razza umanoide con I capelli bianchi si affannava con delle scatole. Mi chiesi se aiutarla o meno, ma nel tempo che ci misi a decidere aveva già finito il lavoro. Non riuscivo a indovinare la sua provenienza, ma non era una Terrestre. -salve, giovanotto. Cercavi qualcosa?- la voce gracchiante della vecchia era molto cortese. Camminando sulle gambe storte, si spostò dietro al bancone e si sistemò su una sedia con congegno antigravità, che ondeggiava a destra e a sinistra seguendo il movimento del suo corpo. Mi guardai intorno. -io, huh... volevo dare un occhiata alle armi.- la vecchia sorrise. -fin qui c'ero arrivata, caro. Cerchi qualcosa in particolare? Il cartello fuori l'ha scritto mio nipote, ma abbiamo veramente tutto ciò che ti serve.- il suo sorriso mi metteva quasi a disagio. Ero abituato a trattare con scontrosi gorilla puzzolenti e pelosi, quando compravo armi, non allegre signore con I capelli bianchi. Era qualcosa che non mi aspettavo. Pensai a cosa cercassi. Mi serviva un arma abbastanza grande, ma che non avessi difficoltà a portare, possibilmente a laser. Riflettei che mi sarebbe anche piaciuto, per una volta, possedere un arma con un sistema di agganciamento bersaglio. Lo dissi alla signora, che annuì fra sè e sè. Con un suono liscio, la sedia si sollevò in aria, e si mosse verso il muro, permettendo all'anziana di allungarsi in avanti e afferrare uno dei fucili appesi sulla rastrelliera enorme. Abbassò di nuovo la sedia antigrav fino a potermi guardare negli occhi, il che voleva dire stare quasi rasoterra, e mi porse il fucile. Era un modello abbastanza vecchio, ma tenuto in condizioni ottime. Aveva un impugnatura comoda, e una forma allungata. L'obiettivo era equipaggiato con sei diverse funzioni, e poteva portare sia proiettili che laser, una caratteristica abbastanza rara. Mi sembrava una buona arma, ma preferivo vedere qualcos'altro prima. Certo, le specifiche di base, il peso e la calibratura erano appropriate per qualcuno delle mie dimensioni e fisico, ma avevo come l'impressione che mancasse qualcosa. Lo restituii alla negoziante scuotendo la testa leggermente. Muovendosi su e giù con la sedia a cuscino d'aria mi portò sei diversi fucili, che scartai tutti, prima di arrendersi, sempre con un sorriso da un orecchio rugoso all'altro. -non posso aiutarti più di così, ragazzo. Ma prova a chiedere a mio nipote Hub: di sicuro ti saprà consigliare.- disse indicandomi le scale. Annuii con gratitudine verso di lei e cominciai a salire le scale. Comunicare con quella donna mi aveva messo un certo nervosismo addosso, non ero abituato a questo genere di interazioni così cordiali, e soprattutto, non ero abituato a fare affari con qualcuno che sorrideva così tanto. Alla fine delle scale a chiocciola di metallo ruvido, c'era un secondo piano in stile soppalco che affacciava nel corpo principale del negozio. Il pavimento era coperto da una moquette color crema, mentre le pareti, qui leggermente più visibili, erano in finto legno, che rifletteva la luce. La maggior parte delle armi, sempre più grandi mano a mano che si raggiungeva la fine del negozio, erano montate su piedistalli per permettere di ammirarle da tutte le direzioni, e illuminate da faretti al neon. Proprio davanti alle scale, comodamente seduto su una sedia, questa volta di finto legno, c'era un uomo di considerevoli dimensioni, largo quanto un armadio a due ante e decisamente imponente. Indossava una canottiera sporca di olio lubrificante e sudore e dei pantaloni da lavoro, con tanto di set di arnesi per la manutezione agganciati alla cintura. Sembrava più un meccanico che un venditore d'armi, ma già somigliava di più ai tipi con cui ero abituato a contrattare. Alzò gli occhi verso di me e subito allungò la mano grossa e callosa verso di me, dandomi una stretta forte che per poco non mi frantumò le dita. -bene bene! Cliente difficile, huh?- chiese con una voce profonda e terribilmente energica. -ho delle difficoltà a scegliere, tutto qui.- risposi, sentendomi sulla difensiva. L'omone fece un gesto comprensivo sentendo la mia risposta, mi afferrò per le spalle e cominciò a squadrarmi dall'alto in basso. Schioccò la lingua un paio di volte, e arrivò persino a sollevarmi le braccia e a tastarle come un venditore di schiavi che controlla un potenziale investimento. Poi si mise in piedi, tirò su I pantaloni larghi da meccanico e annuì lentamente. -bene bene. Fammi indovinare. Vuoi un arma versatile, che possa difenderti in tutti gli ambienti, che puoi nascondere in caso di pericolo e allo stesso tempo abbastanza grande da darti sicurezza, giusto? Il tuo portamento e la posizione della schiena mi fanno capire che hai passato un lungo periodo nell'esercito. Per questo, credo proprio di conoscere l'arma giusta. E data la tua costituzione, non per menzionare l'altezza, direi che è meglio qualcosa di leggero. Si, ho proprio l'arma che ti serve.- L'uomo apparve molto soddisfatto. Era bravo nel suo lavoro, molto bravo, e ne era perfettamente consapevole. Sorpreso dall'analisi, non feci altro che annuire in silenzio mentre si voltava e si avviava verso la parete, poco lontano, facendo scorrere lo sguardo fra le armi in vendita alla ricerca di quella adatta. Ero onestamente sorpreso dalla quantità enorme di modelli in vendita. Addirittura, alcuni dei pezzi d'artiglieria su quel piano non sembravano fisicamente utilizzabili da un essere umano, e I più grandi erano chiaramente costruiti per astronavi. Comunque, essendo principalmente un negozio di armi per esseri umanoidi, l'assortimento non andava oltre le armi per astronave monoposto. L'uomo sganciò un fucile corto dalla rastrelliera e me lo lanciò. Lo afferrai al volo, aspettando di essere schiacciato dal peso. Invece, era terribilmente leggero. Era un arma abbastanza voluminosa, larga quasi come una mia coscia, ma lunga la metà, il che gli dava un aspetto un po' tozzo, compensato però da una forma affusolata, che diventava quasi simile a una conchiglia verso la punta, e il grande occhio bionico per l'agganciamento bersaglio automatico. L'impugnatura era quella standard, con l'aggiunta di alcune cinghie sui lati. |
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19-01-2010, 23:42,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] L'uomo mi spiegò che andavano agganciate intorno al gomito per garantire un ottima stabilità di tiro. La canna era intercambiabile fra due versioni, quella a laser e quella a proiettili, e l'occhio bionico poteva essere utilizzato anche come filtro visivo con varie versioni, notturna, rilevazione calore ed infrarossi. Ma la parte che mi attirava di più era l'aggiunta di una lama ricurva, lunga un po' più dell'arma, che andava agganciata sul lato esterno a seconda del braccio con cui si impugnava il fucile. In questo modo, l'arma era adatta sia a combattimenti ravvicinati che ad attacchi a media e lunga distanza. Il materiale in cui era costruita era grigio chiaro, mentre la lama era bianca, e all'apparenza molto affilata. Provai ad imbracciare il fucile. Si adattava molto bene alla lunghezza del mio braccio, e volendo potevo anche appoggiarlo contro le costole per una maggiore stabilità di tiro. Mi piaceva, mi piaceva moltissimo. -conosci bene il tuo mestiere, vedo. È un arma fantastica.- commentai, ammirato. L'uomo rise ad alta voce, facendomi una doccia di saliva. -diciamo solo che faccio questo lavoro da abbastanza tempo da indovinare subito I bisogni dei clienti più ostinati. Eh eh eh!- oltre al fucile, comprai un mirino extra e alcune parti di ricambio, oltre a una pistola particolare, costruita in modo da sparare capsule di veleno. Ne avevo sempre desiderata una, ma non avevo mai trovato un negozio abbastanza fornito. Probabilmente non l'avrei mai usata, ma sarebbe stata una buona aggiunta nella mia borsa dei ricordi. Mentre pagavo, mi complimentai con l'anziana signora. -questo è un ottimo negozio. Credo che tornerò in futuro. Avete un assortimento invidiabile.- lei annuì sorridendo. -grazie, caro. Sai, stiamo pianificando un espansione in scala intergalattica, un giorno o l'altro.- disse, scherzando. -... e forse un giorno, avremmo la nostra stazione spaziale personale, la Saint Guns&Ammo!- commentò l'uomo di prima dal piano di sopra. Uscii dal negozio, di nuovo nella strada affollata della stazione. Avevo 1700 crediti in meno, ma era stata un ottima spesa. Mi piaceva la mia nuova arma. Al momento era scarica (“precauzione”, aveva spiegato l'uomo nel negozio “per evitare che qualcuno prema il grilletto per sbaglio e succeda un finimondo”) ma appena arrivato sulla nave l'avrei ricaricata. Mi piaceva anche la lama. Perfettamente temprata e così bianca, era un oggetto dalla grande bellezza e mortalità. In un certo senso, mi assomigliava. O meglio, assomigliava a come sarei stato io se fossi stato ben addestrato nell'esercito, piuttosto che allenato per due ore e subito mandato in guerra. Come Jester aveva suggerito, pensai fosse ora di spendere un po' di crediti per comprare qualcosa che mi coprisse anche il volto, o almeno anche la gemma cranica. Per quello, non dovetti cercare molto. Entrai nel primo negozio di vestiti che vidi che avesse prezzi un minimo decenti. Comprai un paio di tute da combattimento, di stoffa elastica con placche rinforzate, stivali, alcuni abiti civili e una specie di fascia che copriva parte del volto e la testa. Nascondeva alla perfezione la gemma cranica, ma sembrava annastanza incompleto come abbigliamento. Con mia grande sorpresa, trovai una maschera identica a quella di Jester. Mi sembrava una cosa simpatica, quindi la comprai e armeggiai dieci minuti con le fibbie per infilarmela. Ora, invece dell'abbigliamento antigelo di 12-12-31 indossavo una tuta da combattimento con sopra una salopette da operaio, di stoffa grigio scuro e resistente, stivali con placche di metallo e il curioso copricapo che avevo ideato, con maschera e stoffa. In un altro negozio, comprai una borsa a tracolla di metallo rinforzato, di quelle usate per trasportare cibi deperibili e delicati nei ristoranti, con funzione di refrigerazione regolabile, e un lucchetto a combinazione per chiuderla. Ora avevo anche un ottimo sostituto per la mia borsa. Ero molto soddisfatto dei miei acquisti, ma guardando l'orologio olografico che fluttuava al centro della piazza, sopra gli ascensori, vidi che mancavano ancora alcune ore prima dell'appuntamento con Jester. Mi chiesi cosa fare nel frattempo. Passando accanto alle file apparentemente interminabili di banchetti e ristoranti, mi stava venendo l'acquolina in bocca, e dopo un paio di giri, mi arresi e comprai una scatola di quello che il venditore definiva “un ottimo snack da mangiare mentre si cammina” ovvero: insetti caramellati. Feci come il venditore aveva suggerito, sgranocchiando gli insetti grassi e succosi mentre mi aggiravo per I negozi. Mi piaceva guardare gli oggetti completamente inutili che la gente sembrava adorare comprare. C'erano gingilli di tutti I tipi, oggetti con cui decorare l'astronave, negozi di magliette personalizzate, ristoranti tipici, guide alle autostrade spaziali per turisti, biblioteche che vendevano libri olografici di tutti I tipi, negozi di tecnologia, cartomanti e letture del futuro, della mano e di tutto quello che di solito non si copre con I vestiti, negozi di amuleti, bordelli di lusso, nursery per I bambini nati nell'astronave (ovviamente era una pratica comune quella di chiamare “Amber” le bambine nate da quelle parti) e via discorrendo. Rimasi quasi venti minuti seduto davanti ad un bordello meditando se andarci o meno solo per il gusto di parlare con le prostitute e vedere quante persone le pagano solo per parlare e fare buona figura con gli amici. Mi arresi, per il bene del mio portafogli. Sorprendentemente, la mia scatola di insetti caramellati durò per quasi tre ore di giro. Incredibile quanti insetti si riescono ad infilare in un contenitore così, commentai ad alta voce attirando alcuni sguardi incuriositi. Mancava un'ora al momento in cui, secondo Jester, ci saremmo dovuti incontrare. Mi resi conto che non ci eravamo dati un appuntamento preciso, e decisi che il modo migliore per non girare a fondo cercando di incontrarci per ore fosse restarla ad aspettare su una delle due fontante che fronteggiavano gli ascensori. In fondo a meno che non mi stesse aspettando dentro al box, sarebbe pur dovuta passare da quelle parti. Mi sedetti sul bordo della fontana a gambe incrociate, con la borsa d'acciaio sulle ginocchia e il fucile legato ben saldo sulla schiena. Mi resi conto che per mangiare avevo alzato la maschera e mi ero dimenticato di rimetterla giù, il che rendeva inutile il fatto di portarla. Ma armeggiare con I ganci era uno spreco di tempo, e temevo che Jester non mi avrebbe riconosciuto se indossavo la maschera, nel caso in cui io non l'avessi vista scendere dall'ascensore. Comprai un altra scatola di insetti e ripresi il mio posto sull'orlo della fontana, tenendo d'occhio gli ascensori. Quelli esterni erano quelli che osservavo, ma ogni tanto venivo catturato dal movimento degli ascensori che andavano al piano superiore e quello che saliva fino in cima alla piramide. Tenendo d'occhio il grande orologio, aspettai che un'ora passasse, tenendo d'occhio gli ascensori con aria assorta. Dopo un po' mi accorsi che le altre persone sembravano girare al largo da me. Immaginai che la combinazione dei miei abiti da combattimento, il fucile e la maschera mi inquadrassero in una certa categoria di persone. La seconda scatola di insetti caramellati finì dopo un ora e mezza di attesa, e mezz'ora dopo vidi Jester uscire dall'ascensore, con addosso una tuta da meccanico e sporca da capo a piedi di olio di motore e lubrificante. Era anche sudata, ed emanava un odore molto forte, ma non eccessivamente sgradevole. La salutai con la mano e le feci cenno di sedersi accanto a me sulla fontana. Lei si lasciò cadere sul bordo di marmo con uno sbuffo sfinito. -ce l'hai fatta?- chiesi a bassa voce. Lei annuì tenendo gli occhi chiusi. Aveva addosso la maschera, ma potevo vedere le sue palpebre azzurrine da dietro I buchi per gli occhi. Dopo qualche secondi si voltò verso di me osservandomi con attenzione. -vedo che ti sei dato alla pazza gioia.- disse con un leggero divertimento nella voce. Io alzai le spalle. -sono solo degli acquisti che ho rimandato per troppo tempo.- lei sollevò il braccio e si annusò la pelle sporca, storcendo la bocca in una smorfia di disgusto. -prima di venire qui, ho portato tutti I vestiti nell'astronave alla lavanderia, e ho fatto una grande ordinazione di cibo. Quindi per l'astronave siamo a posto.- -e il carico?- chiesi con voce disinteressata. Lei voltò lo sguardo dall'altra parte e continuò come se non l'avessi mai interrotta. -sono rimaste circa 12 ore e mezza di affitto del box. Dopo finirò le ultime riparazioni e il controllo generale, ma sono veramente molto stanca adesso.- commentò. Lo vedevo. Prima ci aveva trascinati fuori da un campo di meteoriti sfuggendo ad un attacco dei predoni, poi aveva passato 10 ore a riparare la nave. Doveva essere a pezzi, eppure non aveva neanche accennato all'idea di dormire. Ci fu un attimo di silenzio mentre contemplavamo la folla intorno a noi e le pareti di vetro della stazione. Era vetro spesso più di tre metri e rinforzato con leghe super resistenti, ma in fondo sempre di vetro si trattava. Sembrava di galleggiare nello spazio. -bella la tua maschera. È una specie di battuta?- io non mi scomposi. La sua voce sembrava divertita, ma magari si era offesa. -l'ho trovata in un negozio. Costava poco e copre bene. È solo un po' complicata da allacciare.- lei rise a bassa voce. -Ai lacci ci si fa abitudine. È solo molto noioso.- sospirammo entrambi. Incredibilmente, erano un po' di ore che non mi preoccupavo quasi di niente. Come se fossi stato un altra persona, mi ero comportato in un modo completamente diverso rispetto alle mie abitudini. Non era spiacevole. Ma mi preoccupava il fatto di aver perso quasi del tutto di vista la priorità del mio viaggio, e le preoccupazioni che avrebbero dovuto assillarmi. |
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19-01-2010, 23:45,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] Qualsiasi uomo, donna o umanoide generico, nella mia stessa situazione, adesso sarebbe stati in viaggio alla massima velocità, facendo domande, cercando di scoprire cosa fosse successo, il perchè della perdita di poteri e memoria. Invece io ero perfettamente calmo. Recuperati I poteri, anche la perdita di memoria si riduceva quasi a una vaga preoccupazione, qualcosa che potevo rimandare al domani. -mi sembrano secoli che non mangio cibo che non sia liofilizzato o fast food.- commentò Jester, guardando in alto. -All'ultimo piano, in cima alla piramide, ci sono dei ristoranti fantastici.- -non so. Ho speso un sacco di soldi oggi. Credo che me la caverò con del cibo in scatola.- rimasi in attesa. Mi sarebbe piaciuto mangiare cibo vero, in effetti. Ma sono anche una persona profondamente attaccata ai soldi e l'idea di spenderne inutilmente mi infastidiva. -sono abbastanza economici. Facciamo che questa cena è inclusa nella paga, ok?- il suo sguardo mi diceva di accettare per evitare discussioni. In un attimo immaginai che probabilmente voleva che restassi lontano dalla navetta prima di aver finito “gli ultimi ritocchi”. Annuii, comprensivo. -ci sto. Ma niente di troppo formale, ok?- -tranquillo. C'è un posto molto buono, tranquillo e abbastanza affollato da permetterci di stare senza maschera senza dare troppo nell'occhio. È un ristorante automatizzato, comunque, quindi se sei il tipo a cui piace avere il cameriere accanto lascia perdere.- mi andava benissimo. Qualcosa nel suo sguardo mi suggeriva di dire qualcosa di più, ma non sapevo cosa, quindi lasciai perdere. Certo, si stava comportando stranamente per essere il proprietario di una nave che conversava con la guardia assoldata per proteggerla. Come avevamo notato prima, la fila per l'ascensore centrale era apocalitticamente lunga, ma la fortuna e una certa dose di sfacciataggine erano dalla nostra parte. Nascosti dietro a un gruppo di trasportatori particolarmente corpulenti, riuscimmo a salire senza problemi in meno di dieci minuti, con l'unica fatica di prendere a gomitate la folla di turisti che aspettava da ore. Fu abbastanza soddisfacente, avere l'ascensore quasi tutto per noi. Era fatto interamente di cristallo e molto grande, e salirci dentro mentre si sollevava superando piani su piani di negozi eterogenei era una sensazione impressionante. Il secondo piano raggiungibile via ascensore era interamente dedicato alle varie religioni dello spazio, con una particolare attenzione alla santa da cui la stazione aveva preso il nome. Era uno scintillio di templi e decorazioni, simboli e altari, santini e incensieri. L'aria era resa fumosa dalle esalazioni sacre dei fuochi per alcune divinità. Superato quello, l'ultimo piano era semplicemente spettacolare. Come il primo era luminoso di neon e pubblicità, l'ultimo, la cima della piramide, era un gioiello di lusso circondato da perle di sfarzo, appoggiato su una trapunta di stelle. dalla punta della piramide splendeva una luce azzurrina che dava un atmosfera veramente graziosa al luogo. Ristoranti eleganti, negozi di lusso e luoghi per divertimenti raffinati come sale da gioco e bordelli di lusso si beavano sotto quella luce bizzarra. Profumi delicati e dolci sfioravano le narici, e mentre tutti potevano salire ad ammirare, solo una clientela scelta entrava nei negozi e locali. Jester sembrava sapere dove andare, come prima, quindi mi limitai a seguirla guardandomi intorno. Era evidente che fosse già stata a Saint Amber, e aveva avuto tutto il tempo di esplorarla per bene. La luce blu non era sufficiente a vedere da un capo all'altro della punta della piramide, ma sembrava che fosse lì più che altro per dare atmosfera. Davanti alle rispettive porte dei negozi erano appese da due a quattro lampade luminose, nello stile del locale. Più ci si allontanava dal centro della piramide, comunque, più I locali diventavano casual, seppure un casual in un certo senso raffinato, mai ai livelli turistici del primo piano, che al confronto appariva sciatto, rozzo e puzzolente. Uno dei ristoranti più esterni era illuminato da lampade al neon inserite in coni di carta rossa ritagliata e poggiati su congegni antigravità che fluttuavano fra I tavoli, e con un ornata porta rossa e gialla. Camerieri con divise di vari pianeti giravano fra I tavoli. Intravidi anche un paio di cameriere vestite di pizzi. I tavoli erano per lo più a due, rotondi. Il menu era olografico, fissato al centro del tavolo davanti alle sedie in modo che ci si potesse sedere di fronte e ordinare senza doversi spostare o passare il menu. Come Jester mi aveva annunciato prima, era tutto completamente automatizzato. Bisognava premere con il dito sullo schermo olografico il cibo che si desiderava ordinare, e sarebbe arrivato entro due minuti al massimo. Si risparmiava sulla mancia ed era meno scomodo in quanto non ci si sentiva certo obbligati a prendere qualcosa di costoso. Dato che la cena era un omaggio, mi sentii quasi tentato di ordinare qualcosa di veramente elaborato, ma lasciai perdere scegliendo invece un piatto di carne mista che mi sembrava di ricordare di aver mangiato qualche volta quando ero piccolo. In fondo, anche se non mi sarei sentito eccessivamente in colpa per approfittare di Jester, non era saggio rendersi antipatici davanti a qualcuno che potrebbe allegramente spegnere il generatore gravitazionale della nave durante un decollo e lasciarmi a rimbalzare da un lato all'altro contro le pareti. La mia datrice di lavoro prese un piatto simile, ma di pesce e frutti di mare. -mi ricorda il cibo che mangiavo sul mio pianeta, quando ero piccola.- commentai che era lo stesso motivo per cui io avevo ordinato il mio piatto e la vidi sorridere da sotto la maschera che si stava sforzando di spostare. -questo ristorante serve per lo più piatti tipici dei vari pianeti. Su Zmahodia mangiavi sempre carne cucinata così?- chiese lei quando I nostri piatti arrivarono fluttuando dalle cucine. Molto veloce. -bè, Zmahodia è un pianeta coperto per lo più da foreste, quindi carne e verdura sono le cose più facili da trovare. Ma per esempio non ci sono funghi o cibo in scatola. Prima di cominciare a viaggiare, non sapevo neanche che esistessero certe cose, e quando mi offrirono dei funghi la prima volta temevo che stessero cercando di avvelenarmi.- sorrise di nuovo, comprensiva. Questo ebbe un effetto scatenante su di me. Per una volta non riuscii a trattenermi e le feci una delle tante domande che mi tormentavano da quando ci eravamo visti la prima volta. -perchè sei così paranoica che nessuno ti veda in volto? Non credo che gli Acquatici siano cacciati per essere usati come materia prima per vestiti o gioielli, a differenza di altre razze.- commentai accennando alla gemma cranica coperta dalla benda e la maschera, che di nuovo avevo sollevato del tutto. Mi infastidiva l'idea del cibo che si sarebbe potuto spiaccicare sull'orlo mentre mangiavo, come stava succedendo a Jester in quel preciso momento. Mi rispose mentre si ripuliva la maschera con aria spazientita, usando il tovagliolo. -un volto come il mio si ricorda abbastanza facilmente.- disse come se fosse una spiegazione più che sufficiente. Me la sarei dovuta far bastare, in fondo ero pagato per proteggere la sua astronave, non lei. -hai paura di essere seguita?- il rumore del ristorante affollato era più oppressivo del ruggito sordo del silenzio, ma non meno spiacevole. Mi sentii come se avessi messo un piede su una mina. Di nuovo abbassò lo sguardo e mi fissò con quegli occhi neri da insetto. Uno sguardo che parlava chiaramente: non.fare.domande. Non ne feci più. Potevo vivere senza sapere le sue ragioni, e almeno mi ero tolto lo sfizio di chiederglielo, anche se inutilmente. E a volte un silenzio vale più di mille parole: si, aveva paura di essere seguita. E probabilmente questo aveva a che fare con quel suo carico così misterioso da giustificare una guardia immortale Zmahodiana, anche se mi aveva incontrato solo per caso. Ignorai I miei pensieri, come anche l'eco dei ricordi risvegliata quando avevo parlato della mia casa, il mio pianeta. Molto più facile concentrarmi del tutto sul cibo. L'aspetto non era un granchè: niente di più di carne tagliata a tocchetti regolari, a malapena epurata di grassi, che galleggiava in una salsa rossiccia con alcune spezie. Il sapore, però, era appetitoso, e la sensazione della carne sugosa era una delizia dopo quelli che mi sembravano secoli passati ad alimentarmi a scatolette, se si escludeva quando, nel magazzino in cui mi ero risvegliato su 12-12-31, avevo approfittato di una cassa per contrabbandieri di carne umana per sbranare un braccio semicongelato. A mia discolpa dirò che avevo una fame da lupi. Jester mangiava quasi con la mia stessa voracità. Vidi di scorcio una fila di denti bianchi e triangolari mentre masticava il pesce. Aveva un modo di aprire I frutti di mare tutto particolare, immaginai tipico del suo popolo di pescatori. Sembrò notare che il silenzio si stava facendo troppo lungo, e cercò di fare conversazione con degli argomenti vari, lamentandosi di quanto costasse tutto eccessivamente da quelle parti e di come il pesce fosse chiaramente quasi marcio. La interruppi con una constatazione. -stai prendendo tempo per dirmi qualcosa di fastidioso, vero? Oppure per chiedermi qualcosa.- ci fu un momento di silenzio prima che le sue spalle si afflosciassero e cominciassero a sollevarsi per l'ilarità. Presto quelli che sarebbero quasi potuti sembrare singhiozzi isterici si trasformarono in una risata selvaggia che fece girare non poche teste nella nostra direzione. Mi chiesi se non avessi di nuovo detto la cosa sbagliata, ma ormai era tardi per rimediare. Jester, che si era appoggiata pesantemente all'indietro contro lo schienale della sedia, tornò in posizione normale sbattendo con forza il palmo aperto sul tavolo, ancora ridacchiando come se avessi appena detto una battuta di formidabile comicità. -va tutto bene?- mi azzardai a chiedere. Nella mia scarsa conoscenza della mia interlocutrice, immaginai qualcosa come un attacco di rabbia preceduto da una risata apparentemente senza motivo, e mi tornarono alla mente ricordi della lama che mi affondava nell'occhio, su 12-12-31. era stato accidentale, ma non era un esperienza che desiderassi ripetere. |
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19-01-2010, 23:47,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] Ma evidentemente, stava bene. -ah ah ah... Mi hai capita subito, vero?- ridacchiò lei. Era china sul tavolo, quindi non potevo vedere il suo volto, ma la risata si stava spegnendo, e potevo solo immaginare cosa avrebbe detto appena tornata seria. Rialzando la testa, si schiarì la voce con dei finti colpetti di tosse. La maschera si era spostata leggermente, e la rimise dritta con nonchalance. -Dunque. Forse avrai notato che nonostante io ti abbia assunto specificamente per fare da guardia al carico della mia nave, mi sto rifiutando di dirti cosa contiene-cosa che fra parentesi continuerò a fare. Ebbene, ti voglio fare una semplice proposta. Si sono verificate delle condizioni per cui, per me, non è più sicuro atterrare sul pianeta che ci eravamo prefissati, dove dovrei lasciarti. C'è uno spazioporto lì vicino, e potresti scendere lì per arrivare a Città Grigia, ma quello che voglio chiederti è un altra cosa.- ora ero incuriosito. Mi venne anche da chiedermi perchè aveva menzionato il suo carico solo per specificare che non mi avrebbe detto niente a proposito. Mi chiesi inoltre quali fossero queste cause di forza maggiore che le impedivano di atterrare, anche se cominciavo a farmi un quadro della situazione abbastanza completo-e non era un quadro eccessivamente positivo, per la mia posizione. -parla.- la spronai notando che stava ancora zitta, tormentando un frutto di mare con la punta del coltello. Sembrò prendere fiato prima di parlare. -voglio assumerti per un altra ventina di giorni, fino a quando non raggiungeremo una meta alternativa abbastanza sicura. Ti pagherò anche di più. Ho bisogno di protezione.- venti giorni. Abbastanza per allontanarmi non di poco dal mio obbiettivo, e nel frattempo chiunque mi avesse ridotto in quelle condizioni e spedito con un carico di contrabbandieri avrebbe tranquillamente potuto cancellare ogni traccia della propria esistenza su quel pianeta, bloccando definitivamente la mia ricerca. Ci pensai su. Un lavoro stabile per più di un mese sembrava un ottimo guadagno, anche se avrei dovuto proteggere un carico misterioso per conto di un aliena ancora più misteriosa. Ma era un lavoro. Mi avrebbe portato soldi. E I soldi portano da qualunque parte. Avrei potuto ricominciare a viaggiare. Era una prospettiva allettante, ma non avevo intenzione di cedere subito. Meglio tenerla un po' sulle spine. -questo mi porterebbe molto lontano dalla mia meta. Non sto rifiutando l'offerta, ma fammici pensare su qualche giorno.- mi mantenni sul vago e Jester annuì, comprensiva. -d'accordo. Ma vedi di non tenermi sulle spine troppo a lungo, Kotetsu.- annuii. In qualche modo, I nostri piatti erano vuoti. Nonostante il discorso, la fame non poteva essere ignorata così facilmente. Pagammo con un versamento dalla carta direttamente sul tavolo olografico e ci alzammo all'unisono, uscendo dal locale. Ancora più domande mi ronzavano in testa ora, ma le ignorai di nuovo. Non ora, mi dissi, non ora. Mentre ci allontanavamo dalle luci del locale, mi voltai verso Jester, che ricambiò il mio sguardo. -costa tutto troppo da queste parti.- commentai, riferendomi al prezzo della cena. -un furto.- commentò lei. -un furto.- ripetei io, annuendo. Sgomitando come prima, salimmo nell'ascensore. ![]() |
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20-01-2010, 04:02,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Ci speravo, sai? *_* Egoisticamente speravo che riuscissi a postare il seguito nonostante l'esilio da internet! *_*
Se non l'avessi visto alle 2,30 passate mi ci sarei già dedicata (altroché!), ma domani lo leggerò senz'altro. ^^ Intanto ti voglio ringraziare anche per il ritratto di Jester che hai pubblicato su deviantart: adoro quei tentacoli!!! ![]() ![]() Occhi-di-notte Ha scritto: |
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01-02-2010, 21:10,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
grazie mille, in super ritardo come al solito
![]() sto lavorando ad un altra immagine, di Kotetsu stavolta. Ho dei problemi con i capellitentacoli. ![]() ad ogni modo, ho il capitolo 4 ![]() non molto corretto ma... è il capitolo 4. ![]() Spoiler [leggi] 04- un giorno sulla black rain dopo avermi costretto a girovagare per la stazione spaziale Saint Amber per un altro paio di ore, Jester mi permise finalmente di andare ad aiutarla a finire gli ultimi ritocchi alla nave, principalmente aiutarla a saldare lastre d'acciaio rinforzato allo scafo che aveva comprato mentre io giravo per la città. Era un lavoro faticoso e sporco, quindi mi tolsi I vestiti e lavorai quasi del tutto nudo, facendo ampio affidamento sulla mia capacità di autorigenerazione, anche se fortuna non mi servì più di tanto, tranne quando una scintilla di metallo fuso mi finì su una gamba. Alla fine, eravamo entrambi sporchi, sudati e completamente neri, e la nave aveva perso molto del suo aspetto grazioso dato che quasi tutta la verniciatura viola, incluso il graffito che rappresentava Jester, erano ora coperti dalle lastre grigio/nero di metallo rinforzato. Ora la nave sembrava più massiccia e cupa. Il cannone sul tetto era parzialmente ricoperto e protetto, cosa molto rassicurante. Erano stati rinforzati anche il vano dei generatori per la gravità artificiale, ora sostituiti, I due motori e le ali, e il vetro era stato scambiato con un materiale trasparente più resistente, dato che durante il nostro burrascoso passaggio nel campo di meteoriti si era scheggiato e si sarebbe potuto spaccare facilmente. Inoltre, la nave era stata rifornita di acqua e cibo. Insomma, eravamo in condizioni decisamente migliori rispetto alla partenza, anche se ora l'astronave sembrava un altra. Ora, ero convinto che l'intero vlivolo fosse stato costruito da Jester stessa. Mentre lavoravamo insieme avevo avuto prova delle sue incredibili capacità di meccanica: sembrava in grado di eseguire in un terzo del tempo anche le riparazioni più difficili, ed era anche incredibile come riuscisse a resistere alla fatica. Costruire un'astronave non sembrava un impresa difficile per lei. Quando pagammo il box e ci allontanammo finalmente dalla stazione spaziale lamentandoci dei prezzi eccessivi, ancora non accennava a dormire, anche se da sotto la maschera, che ancora non accennava a volersi togliere, vedevo molto di più delle sue palpebre azzurrine di quanto potessi vedere prima. Insistette inoltre per guidare la nave fino al confine di 210 Nord, l'autostrada spaziale . Dopo, decise una nuova rotta e inserì il pilota automatico, il tutto mentre io attendevo diligentemente seduto a gambe incrociate dietro il suo sedile, con uno dei suoi fucili in mano. Ancora non avevo avuto modo di mettere il mio in carica. Le sue dita finirono di battere rapidamente I numeri delle coordinate sullo schermo olografico del quadrante di controllo, e un bip acuto ci informò che la nuova rotta era stata inserita. A conferma di questo, la nave cominciò ad inclinarsi dolcemente spostandosi sul nuovo tracciato. Sentendola che si alzava dal sedile, alzai uno sguardo interrogativo nella sua direzione. Un piccolo gesto della testa mi fece capire che potevo slacciare le cinture di sicurezza e alzarmi dal mio posto, cosa che feci subito. Mi sentivo abbastanza tediato, ma solo perchè gli ultimi due giorni erano stato una valanga di avvenimenti bizzarri. Non mi dispiaceva eccessivamente, mi accorsi con sorpresa, ma neanche sarei andato volontariamente in cerca di quello che mi era successo. -va tutto bene?- chiesi mentre mi piegavo in avanti per rilassare schiena e braccia. Jester sembrò ignorarmi, poi scosse il capo e si voltò verso di me, sforzandosi di sorridere. -non molto. Ho delle preoccupazioni, ma niente che non possa gestire. Mi aiuti a slacciare la maschera, per favore?- la richiesta gentile mi fece sentire a disagio, e ancora di più il suono del suo respiro, ora pesante e stanco, mentre lavoravo intorno alle fibbie. -credo che andrò a dormire. Il cibo sta in uno dei cassetti davanti alla rastrelliera. Il computer di bordo ci sveglierà nel caso in cui ci sia anche la minima anomalia. Se non mi sveglio da sola pensaci tu a darmi una scrollata, per favore.- annuii, neutrale. C'erano molte cose che desideravo chiederle in questo momento. La maggior parte probabilmente non avrebbe ricevuto risposta; alcune erano così private che non avrei avuto il coraggio di esporle; e di altre potevo immaginare la risposta da solo. Ma non mi sarebbe dispiaciuto fare un po' di conversazione. Era tanto che non convivevo con qualcuno, e la sensazione un po' mi era mancata. Ma capivo come si dovesse sentire. La lasciai andare, dedicando qualche minuto ad esercizi di ginnastica per sciogliere I muscoli tesi. Alla fine,ancora non avevo sonno, quindi decisi di andarmi a fare una doccia. Di nuovo, qualsiasi difetto ci fosse nella nave per causare un riscaldamento erratico dell'acqua, fu clemente con me, e potei gustarmi quasi due ore sotto l'acqua corrente. Jester aveva assicurato che ce n'era abbastanza, spiegandomi un metodo di riciclaggio molto complicato che non ero riuscito a comprendere fino in fondo. Ma, d'altra parte, non mi interezzava neanche. Quello che m'importava per il momento era la sensazione dell'acqua calda, quasi bollente sulla pelle che lavava via il grasso e la sporcizia della giornata, il sudore del lavoro. Insieme allo sporco, avevo l'impressione di vedere scivolare fra I miei piedi, nei microscopici fori dello scarico anche tutti gli odori della giornata, del box del settore riparazioni dove avevamo lavorato e della stazione Saint Amber: cibo, sudore, l'odore di grasso lubrificante del Guns&Ammo, gli odori della gente con cui eravamo stati stretti nell'ascensore e il vago profumo della pelle di Jester, smog e un sentore debole che non riuscivo ad identificare. A volte, la vita sa essere clemente e condecere una pausa alle persone, a chi ne ha bisogno estremo e chi ne potrebbe fare a meno, in ugual modo. Non so dire se ne ho avuti tanti o pochi di questi periodi di stasi: a volte, quando penso alla mia infanzia su Zmahodia, prima della fine, prima del Grande Terrore, le sole cose che mi vengono in mente sono il villaggio, sotto il sole caldo e dolce che accarezzava quasi con affetto, invece che con la crudeltà del sole del deserto: momenti di quiete, con il rumore degli insetti nelle orecchie, passati sdraiato sulle rocce, pelle bianca contro grigio e il verde del muschio, I fiori strani e meravigliosi del pianeta, I momenti quando ammiravo I cacciatori che uscivano dalla foresta portando prede ogni volta nuove, e io che scalpitavo sperando di potere, un giorno, andare ad aiutarli e cacciare anche io una preda tutta mia; e mio padre, o meglio, il mio padre-madre che mi poggiava una mano sulla testa, sulla mia gemma giallo scuro come il centro del sole, e mi rassicurava, tranquillo, un giorno potrai. E il mio nome. Che bel suono che aveva, detto dai miei amici, gli altri piccoli Zmahodiani dalle gemme rosso sangue, e da mio padre. Mio “padre”, il mio enai, Merkur'en, il Dio incarnato di Zmahodia, con le palpebre cucite con del sottile filo dorato, la pelle candida che combatteva una perenne battaglia per rigenerarsi nonostante I fili, quei suoi tentacoli lunghi fino a terra, il modo di camminare aggrazziato e la sua gemma cranica blu come il mare, meravigliosa. Mio padre... e il mio nome. Kerebina. Dimraine. Scossi il capo con forza, schizzando gocce d'acqua contro le pareti trasparenti della doccia. no. non oggi. All'improvviso la sensazione delle gocce d'acqua che mi scorrevano lungo il corpo, il rumore ritmico e la solitudine di quel bagno di una nave non mia erano snervanti come sentire lo stesso suono ripetuto centinaia, migliaia di volte, sempre uguale. Mi asciugai rabbiosamente con uno degli asciugamani di Jester, e uscii in fretta dal bagno, a malapena ricordandomi di spegnere la doccia. Rientrando nella mia stanza, mi resi conto di non avere molto da fare, e non avevo abbastanza sonno da dormire senza sognare. E ora, I ricordi che avevo smosso bruciavano come ferite aperte. Non avevo voglia di svegliarmi di nuovo urlante e madido di sudore. Per intrattenermi, diedi un ulteriore occhiata ai libri, di nuovo chiedendomi a chi appartenessero, e come mai chiunque avesse dormito lì avesse abbandonato dei libri così chiaramente consumati senza lasciare neanche un vestito, o una qualche altra traccia di sè nella stanza, a parte quella camicia da notte che avevo adottato come pigiama. Se non fosse stato per quello, avrei pensato che la camera fosse di Jester, ma quella in cui dormiva, dal poco che avevo visto, era più personalizzata. E poi proprio quella camicia da notte era della taglia sbagliata per lei, troppo muscolosa per entrarci bene. Scelsi uno dei libri a casaccio, un grosso tomo fantasy intitolato “il regno di Nagathol”. La trama non mi interessava, ma avevo solo intenzione di tenermi sveglio per un altro po'. A dispetto di quanto pensassi, la storia mi prese abbastanza da distrarmi per quasi due ore, quando scivolai fra le coperte fresche e candide, illuminato solo dallo spazio infinito che sfrecciava fuori dall'oblò della camera. Il cuscino era morbido e profumava di buono. In fondo era stata una giornata lunga anche per me. Sospirando a fondo, lasciai che le palpebre si chiudessero da sole, sperando con tutto me stesso di non avere incubi. Non ebbi fortuna, in quello, ma dopo essermi riaddormentato dormii bene come non mi succedeva da molto. This is my family. I found it, all on my own. Is little, and broken, but still good. Yeah, still good. Ravattolina è un soprannome piu' che accettabile. Marito della Matta dall'8/12/2012 |
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01-02-2010, 21:12,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] Al “mattino”, per quanto ci possa essere un mattino nello spazio, aprii gli occhi e mi ritrovai ad osservare il retro della copertina del libro fantasy. Le coperte erano quasi del tutto cadute per terra, e avevo il cuscino infilato sotto l'ascella. Il sudore aveva attaccato la camicia da notte alla pelle. Curiosamente, dopo essermi svegliato urlando, ero riuscito a riaddormentarmi quasi subito, stringendo il libro al petto come un bambino abbraccia un orsacchiotto. Nel buio dell'astronave dalle luci spente, le forme morbide dello scafo erano parse cupe ed incombenti, come se dal materiale bianco potessero emergere mani pronte ad afferrarmi e trascinarmi indietro nel periodo della Caccia. Ma ora, con la luce accesa e luminosa, vedevo quello che vedevo sempre: una qualsiasi astronave biposto, dalla forma bizzarra e costruita in un materiale innovativo, ma pur sempre un astronave normalissima. La porta della stanza era aperta, ed ebbi un vago ricordo della sagoma di Jester ferma sulla soglia, e io che le farfugliavo qualcosa sul fatto che sarebbe passato, che avevo solo bisogno di dormire. Sospirando, mi sfilai la camicia da notte, rifeci il letto e andai in bagno a lavarmi via il sudore. Jester stava facendo colazione. Forse per la stessa strana sincronia che aveva dimostrato indovinando più volte I miei pensieri o stato d'animo, sembrava che ci fossimo alzati all'unisono, dato che anche lei sembrava appena svegliata. I capelli blu scuro erano scarmigliati, I tentacoli sembravano in qualche modo ritornati in vita, guizzando e muovendosi nell'atmosfera immobile, e la pelle, che il giorno prima sembrava tendere più verso un colore grigiastro, era tornata ad un azzurro pieno e salutare. Indossava semplicemente una canottiera viola e delle mutande bianche. Era seduta di sbieco, a gambe incrociate su una sedia che doveva aver preso da una specie di sgabuzzino nel muro. Stessa cosa valeva per un tavolino proprio davanti a lei e un altra sedia che sembrava invitarmi a sedermi. -ben svegliato. Guarda, c'è del pane. E marmellata. Banale, ma nutriente.- commentò appena mi vide entrare, porgendomi una fetta spalmata di una marmellata verde fluorescente. Il colore era interessante, ma non feci domande, mentre mi sedevo pesantemente sulla semplice sedia bianca. -hai dormito bene?- le chiesi. Stava mangiando anche lei una fetta di pane, e le briciole cosparse sul tavolo mostravano che non era la prima. La posizione in cui era seduta, con un braccio poggiato sullo schienale della sedia, metteva in risalto il bicipite gonfio e forte. A dire la verità, sembrava quasi come se fosse una posa studiata apposta per vantarsi della muscolatura da culturista. -io? Diciamo che ho dormito come un sasso, questo si. A giudicare dai bernoccoli sulla mia testa, però, oserei dire che come al solito devo aver cozzato con la testa contro I bordi del letto mentre dormivo. Sonno agitato. Sai com'è.- l'ultima frase aveva un significato abbastanza ovvio. Abbassai lo sguardo, vergognandomi, ma lei fu pietosa e mi lasciò in pace su questo. Diedi un morso al pane e marmellata, e me ne pentii amaramente subito dopo. Dire che aveva un sapore orribile era fare un complimento immeritato all'orribile mistura con cui era stato rovinato il cibo. Ora capivo il colore acceso e innaturale. Un qualche tipo di insetto, tirai a indovinare, non volendo sapere la verità. Rimisi il panino a posto con molta cautela, come se potesse rivoltarmisi contro e costringermi a mangiarlo. -sono lieta di informarti che per stanotte non abbiamo avuto incontri molesti, il nostro carico non è stato derubato e tu hai ancora il tuo lavoro. Ma fra un'ora circa passeremo in una zona abbastanza malfamata, e ci vorrà un po' di tempo per superarla, quindi faremmo meglio a metterci entrambi nelle postazioni e stare in guardia per evitare cattive sorprese come l'altra volta.- annuii, storcendo la bocca e salivando per scacciare via il sapore. C'era dell'acqua in una bottiglia sul tavolo, e non potei impedirmi di attaccarmici e bere come un disperato. Mi ero già vestito, e mi ero anche ricordato con rimpianto di aver dimenticato di caricare il fucile la sera prima. Rimediai agganciandolo a una presa sulla rastrelliera, imbracciando il fucile più in basso mentre mi sedevo. Jester restò seduta, osservandomi da sopra la curva del braccio piegato. -non finisci di fare colazione?- chiese con un espressione comicamente sorpresa, come se quell'orribile marmellata verde fluo fosse il cibo più gustoso dell'universo e che non fosse concepibile come qualcuno potesse rifiutare di mangiarlo. Scossi il capo con decisione. Un solo morso era stato abbastanza da farmi passare l'appetito almeno finchè non avessimo superato la “zona malfamata” a cui si era riferita Jester poco prima. Con un alzata di spalle, prese il mio panino e lo divorò con gusto in tre morsi. Le tracce verdi sui denti accuminati furono un ulteriore conferma, quello schifo doveva piacerle da matti. Nonostante io fossi già pronto, armato e imbracato dietro il suo sedile, se la prese comoda nel tirare via sedie e tavolo, piegarle e spingerle nel vano della porta, oltre che a rimettere a posto il cibo. Con una mossa agile poi, si lanciò sulla sedia e incrociò le gambe, poggiando I piedi sulla pulsantiera di comando, ben attenta a non schiacciare niente, ma non molto rispettosa nei miei confronti, dato che mi trovavo alle sue spalle e ogni movimento all'indietro costringeva il mio corpo a seguire il sedile. Sembrava molto di buon umore. Immaginai che, mentre dormivo, qualcosa fosse tornato a posto nei suoi piani, o un qualche allarme fosse rientrato. O forse era semplicemente contenta di allontanarsi da Saint Amber. Era parsa sospetta, e indesiderosa di restare lì quando eravamo stati costretti ad atterrare. Questo suo cambiamento d'umore mi sollvò un poco. -allora, Kotetsu, hai una risposta per me? Si o no?- chiese poi a bruciapelo, riferendosi alla sua proposta di restare ulteriori 20 giorni a guardia del suo carico, sempre retribuito. Ci pensai su. Non mi era venuto in mente di ponderare a fondo la questione, quindi non avevo una risposta subito come avrebbe sperato. Glielo dissi. -lo immaginavo. Ma mentre viaggiamo, per favore, pensaci. Mi serve una risposta, e prima che arriviamo sul pianeta.- annuii. Ci avrei pensato, a meno che non mi toccasse di lavorare per guadagnarmi la paga, cosa che fortunatamente finora non era ancora accaduta. Mentre Jester si metteva ai comandi, non potei impedirmi di lanciare continue occhiate verso il mio nuovo fucile montato sulla rastrelliera, in carica. Quello che avevo in mano cominciava ad essermi familiare, ma non era mio, ed era un arma troppo lunga per me. Avrei potuto prenderne un altro, ma la rastrelliera era posizionata troppo in alto, e dalla mia posizione seduta non riuscivo a raggiungerla. Sospirai appoggiandomi all'indietro, lasciando che la mano scorresse sulla liscia canna metallica dell'arma che tenevo poggiata contro l'ascella, pronto a fare fuoco alla prima eventualità. Nonostante Jester stesse eseguendo delle evoluzioni inutilmente acrobatiche con la nave, grazie al nuovo generatore gravitazionale era come stare sempre in piano, e dopo un po' di tempo cominciai ad annoiarmi. Dai continui sbuffi che sentivo dall'altro lato del sedile, anche la mia compagna di viaggio non si stava divertendo molto, ma lei aveva anche molto a cui pensare, data la sua posizione che sembrava farsi più sospetta ogni giorno che passava. Nell'arco di tre ore e mezza, come potevo vedere dagli oblò sulle pareti, superammo circa cinque stazioni spaziali. Mi chiesi a che velocità stessimo viaggiando in realtà, poi ci rinunciai. In ogni caso, non sarebbe stato divertente se il generatore antigravitazionale si fosse rotto di nuovo, quindi sperai che filasse tutto liscio, non perchè avessi paura di scontrarmi, ma perchè avrei di gran lunga preferito non doverlo fare sbatacchiando da un lato all'altro dello scafo. Ma per fortuna andò tutto bene. This is my family. I found it, all on my own. Is little, and broken, but still good. Yeah, still good. Ravattolina è un soprannome piu' che accettabile. Marito della Matta dall'8/12/2012 |
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01-02-2010, 21:13,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
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Eccetto una lieve perturbazione che fece, a detta di Jester, agitare un po' la nave, ce la cavammo alla perfezione, e dodici ore dopo eravamo fuori dalla “zona malfamata” a cui si era riferita l'Acquatica. Mi sentivo lo stomaco vuoto, quindi frugai in una dispensa incastonata nella parete per cercare del cibo non liofilizzato, o comunque qualcosa di decente. Non c'era niente di riconoscibile, tranne alcune pile di cibo in scatola. Mi arresi e scelsi quelli che sembravano granchi. La scatola sembrava una busta di plastica opaca, con un simbolo a rappresentare il contenuto e una bocchetta. Secondo Jester, avrei dovuto attaccare il rubinetto del bagno, l'unico dell'astronave, alla bocchetta e lasciare scorrere l'acqua per qualche secondo. Seguii le sue spiegazioni e dopo un po' il sacchetto si tese, si gonfiò e infine si ruppe sotto la spinta di un piatto completo di gamberi al vapore. Rimasi ad osservarlo sorpreso. -è caldo. Come è possibile?- lei alzò le spalle dimostrando di non saperne più di me. Chiedendomi come fosse possibile, mangiai, bevvi dalla bottiglia di prima e feci per rimettermi seduto alla mia postazione, ma Jester mi disse che non ce n'era bisogno. -per ora siamo su una rotta commerciale. Ho programmato il computer di bordo in modo da avvicinarsi il più possibile alle astronavi più grandi, così da usarle come scudo. Saremo al sicuro per un po'. E saremmo anche poco visibili, pensai. Era un metodo furbo. Nasconderci in questo modo avrebbe prima di tutto reso la strada assai più sicura, ed eravamo parzialmente invisibili nel caso in cui fossimo seguiti. Di nuovo, non ero troppo stanco, ma Jester lo era, quindi si diresse di nuovo verso la sua stanza per dormire. Pensai di chiederle se stesse bene ma evitai. Il pavimento dell'astronave era liscio. Mi sdraiai e cominciai a fare flessioni, tre serie da cento per cominciare. Quando Jester uscì dalla stanza, stiracchiandosi, avevo fatto tre serie di tutti gli esercizi ginnici, di riscaldamento, da riposo e di arti marziali che conoscessi. Erano passate circa cinque ore. Jester indossava una semplice tuta attillata nera, con delle bizzarre decorazioni grigie. Era a piedi nudi, e notai un particolare che prima mi era sfuggito. Aveva le dita dei piedi palmate. Con un gesto agile tornò a sedersi davanti alla pulsantiera di comando, e una per una fece scrocchiare quasi tutte le ossa del corpo. -ti chiederei di nuovo se hai dormito bene, ma mi sembra ovvio.- commentai a mò di saluto. -sai, non mi sei molto utile se caschi dal sonno. Perchè non sei andato a dormire quando l'ho fatto io?- rispose lei. Trattenni l'impulso di mettere il broncio, anche se lei non poteva vedermi. -credo di riuscire a stare sveglio, sai. Ci vuole ben altro per stancarmi.- lei ridacchiò. -allora è meglio che non ti dica quanto dovrai stare sveglio oggi.- sbuffai, afferrando il fucile e trattenendomi dal replicare con una battutaccia. Molte ore dopo, quando avevo l'impressione che il mio corpo avesse preso la forma del sedile e che il fucile fosse un estensione della mia spalla, mi pentii amaramente di non aver dormito. Di ottimo umore, Jester commentò che nello spazio è sempre meglio dormire il più possibile, appena possibile. Di pessimo umore, le risposi con un commento veramente poco carino su sua madre e un banco di polipi ingrifati. Ulteriori ore dopo, sganciai le cinghie del sedile, crollando sul pavimento freddo e liscio dell'astronave godendo per il sollievo che dava alla mia mente affaticata. In piedi accanto a me, l'Acquatica rise ad alta voce. Lei, secondo il suo stesso giudizio, era in grado di stare sveglia senza dormire molto più a lungo. Considerai se insultare di nuovo sua madre, ma mi limitai a trascinarmi contro la parete tondeggiante, sedendomi nel modo più comodo possibile. -ora sei stanco.- commentò lei, tornando a sedersi ai comandi per rivedere la nostra rotta. -ebbene, dovresti avvertirmi quando devo lavorare per guadagnarmi la paga, la prossima volta.- -oh, non prendertela con me. Non hai mai lavorato come guardia fino ad ora?- scossi il capo, sbattendo contro uno spigolo che non avevo notato. -sono stato nell'esercito. Ma non ho mai lavorato come guardia su una biposto. Prima, viaggiavo da solo.- soddisfatta della risposta, lei annuì, senza staccare gli occhi dallo schermo olografico. -dovresti abituarti. Lavorando in coppia, bisogna adeguarsi ai ritmi di chi guida.- annuii, allungando le gambe per terra e poggiandoci sopra le braccia stanche per aver tenuto il fucile puntato al vuoto. Dopo qualche minuto, Jester si alzò e mi raggiunse, sedendosi accanto a me. Teneva le gambe ripiegate contro il petto, e il suo corpo emanava calore. Involontariamente, mi ritrovai con la testa appoggiata contro la sua spalla. Lei non sembrò preoccuparsene, e anzi si spostò per permettermi di stare appoggiato più comodamente. -come si chiama quest'astronave?- chiesi dopo qualche minuto di silenzio, per fare un po' di conversazione. Inoltre, volevo tenermi sveglio per potermi alzare e andare a dormire sul letto. Non molto sensato, ma il pavimento era troppo comodo per alzarmi. -Black Rain. L'ho preso da un film molto vecchio.- rispose lei subito, con un tono affezionato. -l'hai costruita tu, vero? Non ho mai visto nessuna nave fatta così.- lei annuì, e il movimento mi mosse la testa verso il suo ginocchio. Con la mano mi spostò, riportandomi contro la spalla. Bofonchiai un ringraziamento molto stanco. -già. Dal progetto alla costruzione, è tutta opera delle mie mani. Ci sono molto affezionata.- disse poi. -tutte queste... curve spigolose, sono una tua scelta stilistica?- chiesi, con voce assonnata. La frase fu inevitabilmente coronata da un ampio sbadiglio. -anche quelle sono una mia idea. Volevano rappresentare qualcosa, ma l'ho dimenticato mentre costruivo. Sai, ho lavorato su astronavi più grandi di questa. Una era veramente colossale, e l'ho progettata tutta da sola, anche se non l'ho costruita io. Ci sono stata su mesi e mesi.- ridacchiò, e la mia testa andò a sbattere contro il suo ginocchio prima che potessi fermarmi. Tranquillamente, la donna allungò le gambe sul pavimento e mi aiutò a spostarmi in modo di avere la testa sul suo grembo. Per il modo in cui sono stato cresciuto, la cosa non mi imbarazzava, ma probabilmente lei si sentiva un po' a disagio. Comunque, non disse niente, e involontariamente mi mossi più vicino al suo corpo, per sentire il movimento del respiro contro la pelle della mia schiena. Dato che finalmente sembravamo aver trovato qualcosa di cui parlare senza segreti o imbarazzi, le chiesi di più. -prima credevo che tu fossi una specie di mercante spaziale, ma evidentemente mi sbagliavo. Per caso disegni astronavi? Eppure non ne ho mai vista nessuna come questa in giro...- -a dire il vero, il mio lavoro principale è fare la meccanica. Faccio questo lavoro da quando ero piccolina e ho cominciato a viaggiare.- fece una pausa, pensierosa. -anche se quando ho cominciato, forse ero ancora troppo giovane per lavorare e viaggiare nello spazio. Molta gente direbbe così, almeno.- mi rigirai verso di lei, ma dalla mia posizione vedevo solo la curva del seno, avvolto nella tuta grigia. -come mai dici questo? Quanti anni avevi?- lei ridacchiò, e il movimento della pancia mi spinse di nuovo la testa. -secondo il calendario ufficiale, circa diciotto. Ma la mia razza invecchia più lentamente, come la tua, credo. Perchè possiamo avere solo pochi figli in molti anni, credo. Per la mia gente ero solo una bambina.- annuii. Capivo come si sentiva. Anche io ero stato costretto a partire nello spazio da bambino. -e come mai hai cominciato a viaggiare così piccola? Posso saperlo?- chiesi poi, esitante. A differenza di me, non si faceva problemi a parlare del suo passato. Da sotto, vidi le sue mani muoversi in aria a tracciare I contorni di foreste e case immaginarie nell'aria mentre parlava. -questa è una storia strana, sai. Vedi, io sono nata e cresciuta, almeno un po', in un villaggio di pescatori, sul mio pianeta. Mia madre mi aveva “deposta” sulle scogliere, come è nostro costume, ed era rimasta a fare la guardia finchè non ero nata. Avevo quattro fratelli maschi, e così mentre loro pescavano con nostro padre, io dovevo solo restare a casa e raccogliere perle insieme alle altre bambine. Un giorno, una delle case prese fuoco. Io ero sott'acqua, al momento, e quello che vidi fu una specie di gioiello meraviglioso che era il fuoco filtrato attraverso l'acqua e la luce che si rifletteva sulle perle luminose che raccoglievo. Avevo sentito che nello spazio è possibile trovare tesori spettacolari come quello. Quindi, d'impulso, mi arruolai su una nave di mercanti per cominciare a viaggiare.- la sua voce era sognante, e capii che stava ricordando un periodo molto bello della sua vita. -cambiai molti incarichi, e imparai il mestiere di meccanica. Alcuni dei capitani per cui lavorai erano buonissimi, e si prendevano cura di me. Altri erano più... violenti.- sospirò su queste parole, e quando riprese la sua voce aveva perso l'intonazione delicata di prima. -alcuni non furono molto buoni con me. Mi fecero delle cose che nessuna bambina dovrebbe subire, non importa di quale razza. Ma mi sono ripresa. E, con gli anni, ho guadagnato abbastanza soldi da costruire la Black Rain, per I miei viaggi. E sono stata arruolata su un altra astronave, con un capo gentile e per una buona causa.- sospirò, e sembrò che si fosse liberata di qualcosa. Si spostò all'indietro per potermi guardare, dall'alto. Sorrideva leggermente. This is my family. I found it, all on my own. Is little, and broken, but still good. Yeah, still good. Ravattolina è un soprannome piu' che accettabile. Marito della Matta dall'8/12/2012 |
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01-02-2010, 21:15,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] -sai, è la prima volta che racconto queste cose a qualcuno. Non è strano?- chiese, esitante. Io le sorrisi senza dire altro. Lasciai che ci fosse una pausa, stringendomi di più contro il suo corpo caldo mentre lei si appoggiava di nuovo all'indietro. Mi sentivo quasi in debito per quello che aveva detto, e giudicai che meritasse di sapere qualcosa in più su di me. -la mia storia è un po' simile alla tua, almeno nella prima parte. Solo che io ero un figlio unico, e avevo un solo genitore, ermafrodito come me. Vivevo in una giungla di alberi enormi, vecchi di millenni, in un villaggio di foglie. Il nostro era un popolo di cacciatori, molto devoti alla religione, come forse tu sai.- aggiunsi l'ultima parte a voce più bassa. Non avendo mai parlato di preciso del mio popolo con qualcun'altro, non sapevo bene quanto si sapesse. -a dire il vero non lo sapevo. Che tipo di religione?- chiese invece. Ci pensai su un attimo prima di rispondere. -hm... Avevamo molti Dèi, che rappresentavano principalmente elementi naturali, come la luce o l'acqua. E in ogni “ciclo vitale”, c'era uno Zmahodiano particolare denominato “dio incarnato” che rappresentava una delle nostre divinità. Di solito, ce n'era uno per ognuna tribù, ed erano quasi privi di capacità rigenerative. E, secondo la nostra religione, avevano le palpebre cucite.- -Kotetsu, questo è terribile!- alzai le spalle. -era secondo la nostra religione. E con la mancanza della vista, I nostri dèi incarnati ottenevano altri poteri. Non so se fosse uno scambio equo, ma non si lamentavano.- sospirai, preparandomi per quello che dovevo dire dopo. -ad ogni modo, io cominciai a viaggiare per sfuggire alla “Caccia”. Sai, quando mercanti e cacciatori spaziali si unirono per sterminare in massa la razza degli Zmahodiani per via delle nostre gemme craniche. Sono degli ottimi gioielli, e tagliati bene diventano ottimi conduttori per I laser.- nonostante I miei migliori sforzi per controllarmi, la mia voce si incrinò sulle ultime parole. Il pensiero di quelli che erano stati I miei amici quando ero piccolo, trasformati in gioielli o macchinari laser era orribile. Presi fiato per continuare, ma fui fermato dalla mano calda di Jester sulla mia testa, contro I tentacoli che prendono il posto dei capelli. Lentamente, cominciò ad accarezzarmi, e sentii la tensione nei muscoli rilassarsi finchè non tornai ad abbandonarmi contro il suo corpo. Quando mi sentii calmo, continuai. -...comunque, come avrai capito, scappai dalla Caccia dopo aver visto tutti I miei amici e il mio genitore massacrati. Sono entrato nell'esercito, e più avanti ho comprato un'astronave monoposto, per viaggiare e raccogliere tesori, come volevi fare tu.- finito di parlare, sospirai pesantemente, accoccolandomi più vicino alla sua pancia muscolosa. La mano continuava ad accarezzarmi, pensierosamente. Non mi rispose, ma potevo quasi sentire I suoi pensieri. In questo modo, lasciammo passare qualche minuto, prima che Jester parlasse di nuovo. La sua voce risuonava dolcemente nell'interno tutto curve e spigoli improvvisi della nave. -sai, Kotetsu... penso che noi potremmo essere buoni amici.- disse, lentamente. Annuii da sotto la sua mano. -Probabilmente si.- -ti andrebbe? Essere amici, intendo dire?- rimasi in silenzio per un attimo, come se ci stessi pensando. In realtà, non c'era niente da pensare. -si. Ma non ho amici da tanto tempo. Dovrai avere un po' di pazienza con me.- dissi, a voce ancora più bassa. Non la vidi muoversi, ma potei quasi sentire il suo sorriso. -allora va bene, immagino.- mi rispose poi. Lasciò passare qualche secondo prima di aggiungere pensierosamente -e grazie per avermi parlato del tuo passato. So che non deve essere stato facile per te...- allontanai le sue preoccupazioni con un gesto vago. -non preoccuparti di questo. Anche tu mi hai detto qualcosa di molto privato.- lei sospirò, e per qualche motivo mi sembrò un suono di assenso. -dovremmo andare a letto ora. Contemporaneamente, così non avremo problemi domani.- aggiunse. Detto questo, mi aiutò ad alzarmi, tirandomi in piedi. Rimasi fermo con le braccia lungo I fianchi mentre si stiracchiava. Guidandomi come un bambino piccolo, mi condusse a letto e addirittura, nonostante le mie proteste, mi rimboccò le coperte, dandomi la buona notte dalla soglia della porta. -buona notte, Jester.- mormorai, girandomi dall'altro lato mentre la porta si richiudeva con un sibilo, lasciandomi solo al buio. -buona notte.- ripetei al buio. Quella notte sognai un ricordo. Era semplice, ma riposante. Io ero da solo, sdraiato sulle rocce sotto il sole. Lo facevo spesso, da piccolo. Il muschio sotto di me era morbido come una coperta, e neanche la pioggia mi avrebbe fatto andare via dalla mia culla naturale sulle rocce. In lontananza, sentivo le voci degli altri cuccioli che salutavano I cacciatori, di ritorno con il cibo per la tribù, e la voce del mio enai, il mio padre-madre Merkur'en che cantava la benedizione per il cibo. Presto, mi sarei dovuto alzare, per aiutare a scuoiare gli animali e cucinare il cibo. Poi, sarei andato ad aiutare Merkur'en a preparare il tempio per la celebrazione di una nuova nascita. Ma, per il momento, tutto quello che dovevo fare era stare sdraiato e godermi il sole. ![]() *Ravatta è una ginoide felice* This is my family. I found it, all on my own. Is little, and broken, but still good. Yeah, still good. Ravattolina è un soprannome piu' che accettabile. Marito della Matta dall'8/12/2012 |
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