


titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
capitolo 4 up!
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29-12-2009, 22:44,
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RE: storia fantascientifica WIP
Quindi... quindi la storia continua? Fantastico!
![]() Se fosse stata pubblicata a puntate su un periodico, non mi sarei persa un'uscita: almeno finora, la curiosità è tantissima! ![]() ![]() Occhi-di-notte Ha scritto: |
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30-12-2009, 00:39,
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RE: storia fantascientifica WIP
yup, continua
![]() Si, immagino che si potrebbe considerare una storia a puntate... Comunque grazie mille, un commento del genere significa davvero moltissimo per me! :') *commossa |
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06-01-2010, 20:04,
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RE: storia fantascientifica WIP
ho finito di correggere il capitolo 2
![]() Spoiler [leggi] 02 – KOTETSU DA ZMAHODIA Aprendo lentamente le palpebre nella luce bluastra della stanza metallica di Jester, notai due cose. La prima era che ultimamente mi succedeva spesso di svegliarmi sdraiato e completamente nudo da qualche parte. La seconda era che il dolore era completamente svanito. Non sentivo più le fitte dai tagli che costellavano il corpo, il bruciore pulsante delle contusioni e il panico che si associava ai danni. Mi sentivo liberato. Poi mi resi conto della mia situazione. O meglio: la situazione di prima che svenissi di nuovo. Se poi ero svenuto, il che mi sembrava improbabile, almeno questa volta, pensai ricordando il coltello di Jester l'Acquatica che penetrava fino all'impugnatura nella massa gelatinosa del mio occhio. Era successo quando mi ero mosso in avanti troppo velocemente per proteggere il mio tesoro dalle sue grinfie: un occhio in sospensione criogenica, sigillato in una cella indistruttibile. Un brivido mi scosse mentre cercavo di constatare senza muovermi quanto fosse rimasto del mio occhio. Sentivo una sensazione umida sul volto, e temevo di sapere di cosa si trattasse. Ma la lama non era forse abbastanza lunga da penetrare fino al cervello? In quel caso, cosa era successo, e perchè ero ancora vivo? Mi resi conto di essere sdraiato sul materasso che avevo notato a lato della stanza, sepolto sotto alcuni strati di coperte. Muovendo con cautela la testa, sobbalzai alla vista di una persona, seduta sulla sedia. Dopo qualche attimo di tensione, riconobbi la sagoma muscolosa di Jester. Era di nuovo completamente vestita, con tanto di maschera. Feci per parlare e chiederle spiegazioni, ma lei mi precedette. La sua voce sembrava tradire un sentimento che non riuscivo ad identificare. Non sembrava che si sentisse in colpa per essere andata così vicina ad uccidermi. Eppure c'era qualcosa di nascosto nel tono delle sue parole, dietro l'accento forte dei pianeti Esterni. -Allora sei davvero vivo. Senti, mi dispiace, è stato un incidente, ok? Non volevo ucciderti.- rimasi frastornato per un momento. Uccidermi? Ma io ero lì, vivo. Respiravo ancora, potevo sentire la sensazione delle coperte che mi pesavano addosso, il calore della stanza. Ero vivo. O almeno, non ero morto. Non del tutto. -io...- cercai di parlare, ma mi sentivo la gola secca. Feci un gesto vago che poteva significare qualsiasi cosa, ma lei capì e mi lanciò una borraccia piena di bozzi. Immaginai contenesse alcol di qualche tipo, invece era proprio acqua, fresca e dissetante. Mentre bevevo, mi resi conto che non sentivo il minimo dolore alle mani, nè sembravo avere la difficoltà di movimento che avrei dovuto provare, considerando le ossa rotte e I lividi. Lasciai cadere la borraccia ormai vuota per terra e mi avvicinai esitando la mano al volto. La pelle era candida, immacolata e senza l'ombra di un livido. Saltai immediatamente a sedere sul letto per la sorpresa, lanciando le coperte di lato, esaminandomi il corpo. Di tutte le ferite con cui mi ero svegliato prima, non era rimasta neanche l'ombra. Nè un graffio minuscolo nè un livido impercettibile, era come se non fossi mai stato ferito. Lentamente, cominciai a realizzare, e la pura e semplice gioia mi riempì al puntoi che mi sembrava di scoppiare. -i miei poteri rigenerativi. Sono tornati! Ah! È fantastico!- sollevai le mani sopra la testa e d'istinto mi alzai in piedi, improvvisando un ballo di gioia per la stanza, intorno alla sedia. Riuscivo a muovermi alla perfezione, e senza nessuna fatica. Mi sentivo leggero come non mai, ma forse era solo il contrasto con l'orribile condizione in cui mi ero ritrovato fino a qualche tempo prima. Non sapevo per quanto tempo fossi rimasto nel letto di Jester, e non me ne sarebbe potuto importare di meno. Jester non commentò il mio sfogo improvviso, ma si spostò sulla sedia per seguirmi con lo sguardo mentre mi muovevo da un lato all'altro della piccola stanza cubica, testando la mia ritrovata buona salute, facendo capriole e accennando passi di danza. Per un attimo vidi quello che sembrava un mezzo sorrisetto sulle sue labbra, ma svanì immediatamente. Mi sembrò anche di vedere le sue labbra muoversi lentamente, parlando a sè stessa. Ma non ci feci caso. Ad ogni modo, anche se qualche ora prima avevo ignorato per lo shock discreto della perdita di memoria, il fatto di aver perso la mia caratteristica principale era stato un trauma di gran lunga maggiore di quella perdita in fondo poco importante. Probabilmente, mentre giravo per il paese e anche quando parlavo con Jester, ero traumatizzato, il che poteva spiegare alcune delle mie azioni, come mangiare una parte degli arti da contrabbando nel magazzino e comportarmi come un bambino piccolo quando avevo visto la donna frugare fra I miei effetti personali. Mi ero sentito tradito, e terrorizzato all'idea di essere all'improvviso una creatura qualsiasi, debole, che sarebbe potuta morire per un semplice colpo di pistola alla ancia, una febbre o una banale infezione. Inoltre, essere in grado di rigenerare le ferite in così poco tempo, sin da quando ero piccolo, mi aveva insegnato un modo di comportarmi avventato che probabilmente mi avrebbe fatto uccidere entro meno di una settimana. Era un pensiero terrificante. Per questo motivo, sentire che il mio potere era tornato, che ero di nuovo me stesso, era una sensazione gratificante, al punto che non riuscivo a trattenere la mia gioia. Finita la mia esibizione di ballo mi fermai ansimando al centro della stanza, a distanza di sicurezza dall'Acquatica, che aveva alzato un dito per chiedere parola. -sai, non avevo mai visto qualcuno rigenerarsi come hai fatto tu. Cioè, ho visto creature che si guariscono con una velocità insolita, questo si, ma mai così in fretta e in modo così... esplosivo.- rimasi fermo, chiedendomi cosa intendesse dire con “esplosivo”. Di solito, quando rigenero ad esempio un arto, il massimo che si può vedere sono le ossa, I muscoli e la pelle che crescono fino a tornare al loro posto, ma è un processo abbastanza calmo. A meno che lei non avesse un concetto diverso di qualcosa di esplosivo, ovviamente. Considerato il suo accento e il modo in cui a volte si fermava per cercare parole nella lingua interplanetaria, poteva anche aver sbagliato parola ed essersi espressa male. Vedendo che non capivo, jester scosse il capo e indicò le lenzuola che prima avevo lanciato per terra. Mi ci volle un po' di tempo perchè la mia mente registrasse appieno quello che vedevano I miei occhi, e non era uno spettacolo piacevole. Il tessuto bianco era macchiato in più punti, in alcuni addirittura ancora umido, di una mistura di fluidi che andavano dal sangue sporco a fluidi d'infezione e cose che avrei preferito non riconoscere. Rimasi un attimo fermo a fissare, poi mi portai la mano alla bocca e cominciai a respirare lentamente, per mantenere la calma. Mi veniva da vomitare, ma mi trattenni. Che cosa mi era successo? -c-cosa...?- fu il massimo che riuscii ad esprimere. Dall'aspetto, sembrava che il mio corpo avesse espulso le ferite, piuttosto che ricostruire I tessuti e riaggiustare ossa e muscoli come aveva sempre fatto. lei mi aggiornò, tenendo d'occhio le lenzuola come se stessero per scappare da un momento all'altro, o prendere vita. -dopo il nostro piccolo... diverbio, quando ti ho accidentalmente accoltellato, sei caduto a terra contorcendoti. Poi all'improvviso hai contratto I muscoli e ti sei bloccato. Ho immaginato che fossi morto, con quindici centimetri di lama su per il cervello, quindi mi sono avvicinata per tirarti su. Stavo cercando di decidere se fosse meglio liberarmi del tuo cadavere buttandolo nei pozzi d'estrazione o rivenderlo ai contrabbandieri come merce rara quando hai cominciato a contorcerti di nuovo e sussultare e fare dei suoni veramente bizzarri con la gola. Era come se stessi cercando di ingoiarti la lingua da solo... E mentre ti contorcevi le tue ferite guarivano, con questo suono di ossa che si riaggiustano... la cucitura sulla pancia ha addirittura espulso I punti di sutura. Sono lì accanto al tuo piede.- con un verso disgusato mi spostai di qualche centimetro di lato, allontanandomi dal filo buttato per terra come un verme. Jester terminò il racconto come se non l'avessi interrotta. -È stato uno spettacolo bizzarro, ma non ci tengo molto a rivederlo.- teneva la testa poggiata sul palmo della mano, con il gomito contro lo schienale della sedia. I suoi occhi erano rivolti nella mia direzione, ma anche con la maschera addosso vedevo che erano vitrei, come se non mi vedesse davvero. In tutta onestà, avrei preferito che lei evitasse di spiegarmi cosa era successo in quel modo. Non mi piaceva l'immagine del mio corpo che aveva convulsioni e “faceva suoni strani” mentre ero svenuto, o morente. Diciamo che suonava abbastanza umiliante. In fondo l'unica cosa nel racconto che non mi aveva turbato era l'idea di Jester indecisa fra buttarmi via o vendermi. Una donna molto pratica, indubbiamente. Immaginai di aver sentito tutto quello che dovevo sentire. Raggiunsi la scrivania e recuperai la mia borsa, che Jester aveva provveduto a riempire di nuovo per poter trasportare comodamente I miei effetti personali. C'era anche l'occhio. Lo estrassi dalla borsa mi rigirai in mano la piccola cella di sospensione, osservandola. Per un attimo la mia mente ritornò al ricordo di quello sguardo quasi vivo che avevo visto mentre cadevo per terra. Era stata l'ultima cosa che avevo visto prima di svenire e tornare a rigenerarmi, quell'occhio. Ora, era tornato opaco. Non era possibile che mi avesse guardato, pensai, ma all'improvviso quell'oggetto aveva assunto un significato più profondo per me. |
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06-01-2010, 20:05,
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RE: storia fantascientifica WIP
Spoiler [leggi] Non avrei più lasciato che qualcuno lo prendesse così facilmente, questo è certo. E mi sarei applicato per scoprire di cosa si trattasse. Sembrava significativo, e inoltre era l'unico mio possedimento a cui mi sarebbe veramente dispiaciuto rinunciare. Rimisi l'occhio nella borsa, chiusi le fibbie con attenzione e voltandomi verso la porta feci per andarmene, ma quando aprii il battente e mi ritrovai ad osservare la tempesta di neve fuori dalla casa/stanza, mi resi conto che forse, nonostante avessi recuperato almeno momentaneamente le mie facoltà rigenerative, una passeggiata in un ghiacciaio completamente nudo non era un buon piano. Mi voltai verso l'Acquatica, leggermente imbarazzato. -senti, non è che avresti qualcosa da farmi indossare? Giusto il tempo di trovare un modo per andarmene di qui.- lei non rispose subito. Invece, notai che teneva lo sguardo fissato con insistenza verso il mio basso ventre nudo ed esposto all'aria. Seguendo il suo sguardo, mi ritrovai ad osservare la zona perfettamente piatta e liscia in mezzo alle mie gambe. -ho... gli organi sessuali interi. Che c'è? Mai visto prima d'ora?- commentai, chiudendomi la porta alle spalle. Lei ridacchiò. venti minuti dopo, ero finalmente vestito in un modo adatto ad affrontare la tempesta di neve fuori dalla “casa”. Dato che lei non si era vergognata, non avevo avuto problemi a spogliarmi e a mettermi I vestiti che mi offriva, nonostante gli sguardi incuriositi che continuava a lanciarmi. Non me la presi con lei, in fondo era la prima volta che vedeva qualcuno della mia razza, e io l'avevo osservata con la stessa intensità prima. C'era uno specchio in un cantuccio del muro che non avevo notato, e in quel momento stavo rimirando la mia immagine riflessa. I vestiti che Jester mi aveva prestato erano semplici e pratici, nello stile del luogo: una tuta da lavoro, stivali adesivi antighiaccio che lei diceva di non poter indossare, una maglia aderente contenente varie strisce riscaldanti all'interno e la giacca che avevo rubato dal magazzino, ma con gli accessori extra al completo, coltello incluso. La sensazione di essere finalmente vestito, guarito, con un arma, seppure debole, e possibilmente la rigenerazione tornata a posto mi dava una sensazione di estasi che rasentava il senso di onnipotenza. Era molto piacevole. Ero contento di non dovermi vergognare del mio aspetto, nè dover sottostare a sguardi umilianti. Fra le razze del quadrante esterno, Zmahodiani e Acquatici sono le due razze umanoidi più simili fra di loro. A parte possedere una fisionomia simile, una caratteristica che ci accomuna è avere entrambi un bizzarro modo di riprodurci, in entrambi I casi non condiviso da nessun altra razza dell'universo conosciuto. Gli Acquatici, divisi in maschi e femmine come molte specie umanoidi, con rari casi di ermafroditismo, si accoppiano nella maniera “classica”, e il genitore, che può essere casualmente il maschio o la femmina, depone tremila uova avvolte in una sostanza vischiosa, che mantiene umide e protegge. Dopo un paio di giorni, le uova cominciano ad unirsi per formare un Acquatico neonato, due nei casi più fortunati. Gli Zmahodiani, invece, sono una razza completamente ermafrodita, dotata di organi sessuali interni al corpo, per cui ogni esemplare della specie raggiunta una certa età decide da sè il genere in cui identificarsi. In presenza di particolari condizioni uno Zmahodiano è in grado di “autoimpollinarsi”. Il periodo di incubazione del piccolo dura circa un anno e mezzo, ed è alla fine della gravidanza che tornano utili I poteri rigenerativi, in quanto l'unico modo per dare alla luce il figlio è praticare un taglio nel ventre del genitore ed estrarre il neonato a mani nude. Per questo la razza Zmahodiana è ingiustamente vista come una razza violenta. In piedi davanti allo specchio, vestito e con Jester alle spalle, ebbi l'occasione di verificare appieno quanto fossimo simili, e diversi, d'aspetto. Mentre lei sfoggiava un fisico chiaramente femminile, seppure muscoloso, il mio corpo era magro e liscio, senza un eccessiva muscolatura visibile. Il mio petto era leggermente gonfio, ma mai quanto il suo, e I miei fianchi erano larghi, con delle gambe forti. Avevamo entrambi neri occhi da insetto, senza l'iride o il bianco, mentre I miei lineamenti delicati, misto di maschio e femmina contrastavano con il suo volto dall'aspetto forte, con labbra carnose e occhi leggermente a mandorla. Inoltre, come lei aveva dei tentacoli al posto delle orecchie, io li avevo al posto dei capelli. Pur essendo coperti dalla pelle e privi di ventose, erano sempre dei tentacoli, che si muovevano pigramente per il calore. È una caratteristica Zmahodiana per immagazzinare i grassi in eccesso. Infine, partendo dal centro della fronte, quasi come ornamento, c'è la mia gemma cranica, orgoglio e maledizione della razza Zmahodiana. Si tratta di un escrescenza di materiale organico particolarmente resistente, all'apparenza quasi fossilizzato ma ancora perfettamente attivo. Di aspetto, somiglia a un gioiello o un minerale raro e pregiato, di un colore vivo e luminoso. Secondo alcune teorie, è la fonte della rigenerazione degli Zmahodiani, e anche se la teoria è stata smentita da molti scienziati illustri, è fatto conosciuto che l'estrazione della gemma cranica comporti la morte quasi istantanea dello Zmahodiano. Nonostante questo, per secoli la “caccia alle gemme” è stata abbastanza in voga, e la mia razza è stata decimata. Per questo, capivo come Jester potesse pensare che fossi un esemplare unico. Ad ogni modo, vedere in una volta I modi in cui, come razza, eravamo così simili e allo stesso tempo così diversi, aumentò la mia simpatia nei suoi confronti, se non come persona almeno come mia “simile”, in un certo senso. Finii di rimirarmi, soddisfatto, e mi voltai verso Jester, che si agitava sulla sedia come se fosse molto imbarazzata. Sentii che stava per dirmi qualcosa di scomodo, e il mio lato più avido sperò che non mi chiedesse di pagare per l'aiuto che mi aveva fornito. -senti... Kotetsu. Ho visto la tua borsa. Sei un viaggiatore interstellare, no?- annuii con cautela, cercando di indovinare dove stesse cercando di mandare la conversazione. Alzò lo sguardo verso di me. Nonostante la sua voce sembrasse imbarazzata, il suo volto non tradiva alcuna emozione. Mi chiesi come ci riuscisse. -anche io viaggio. Ho un astronave, nel parcheggio astronavi qui vicino. puoi venire con me. La mia rotta di adesso, dato che ormai ho finito con questo pianeta, è verso il quadrante dove ti hanno ritrovato I mercanti di organi di questo posto. Magari puoi scoprire qualcosa in più su cosa ti è successo.- finito di parlare, inclinò la testa di lato interrogativamente. Da dietro le labbra socchiuse vedevo brillare dei piccoli dentini affilati come delle punte di freccia. La proposta mi lasciò spiazzato sul momento. Ma era evidente che non lo avrebbe fatto gratis. Nell'era spaziale, non c'è tempo per essere generosi, e offrire un passaggio a qualcuno di sconosciuto significa spendere soldi extra e possibilmente accollarsi problemi che non ci riguardano, quindi, qualcosa che non vale la pena di fare. -non mi sembra di essere nella situazione in cui posso rifiutare un passaggio. Ma in cambio di cosa?- il suo sguardo acuto era serio. Mi ritrovai dopo qualche secondi di silenzio, a studiare il modo in cui le luci della stanza si riflettevano sugli occhi neri. -come.... ho già detto, ho una nave qui con me. Contiene alcune mercanzie e materiali che intendo vendere in giro per lo spazio, per finanziare viaggi futuri. Molti di questi materiali sono preziosi, e ho bisogno di una guardia per difendere il mio carico da eventuali attacchi nel caso in cui io fossi occupata a manovrare I comandi.- capii che aveva lasciato fuori molto dal discorso, ma in quel momento avevo la sensazione che chiederle la verità non fosse una mossa saggia. Annuendo con aria pensierosa, ponderai la proposta. Quello che mi veniva richiesto era un incarico relativamente pericoloso, ma che mi avrebbe guadagnato un viaggio gratuito dalle parti dell'ultimo pianeta dove mi ero trovato prima che cominciasse il mio blackout mentale, ovvero il posto migliore dove cominciare la mia ricerca per scoprire cosa mi era successo, ma soprattutto come avevo fatto a perdere I miei preziosissimi poteri. Se l'avessi capito sarebbe stata una scoperta unica che avrebbe significato molto per la razza degli Zmahodiani, e non solo. Sebrava uno scambio equo. Comunque, fedele ad anni di viaggi spaziali, cominciai a mercanteggiare sul prezzo. -non mi sembra male come scambio. Ma ho come l'impressione che manchi... qualcosa... dal tuo accordo...- allungai la mano sulla scrivania e prima che potesse reagire afferrai la carta di pagamento appoggiata sul tavolo e la studiai pigramente. Sentii che cercava di giungere a una decisione in fretta prima che mi annoiassi e decidessi di cercare un passaggio altrove. -in fondo... ci sono molte navi che pagherebbero oro colato per una guardia immortale Zmahodiana... non credi?- “immortale” era come ero a volte stato chiamato nell'esercito. Non era un soprannome che desiderassi riavere indietro, ma nel contesto rendeva bene l'idea di un offerta da non lasciarsi scappare. Ebbene si, era disposta anche a pagarmi. venti crediti al giorno. Di molto sotto la media per I lavori pericolosi come la guardia del corpo, ma abbastanza per pagarmi un nuovo mezzo di trasporto verso un eventuale altra meta. E comunque, durante il viaggio saremmo probabilmente passati vicino a una sede della banca interstellare, così che io potessi recuperare un po' di soldi dal mio conto. Ma non serviva avere un buon intuito per vedere che la donna dei quadranti esterni aveva un bisogno disperato di un aiuto, anche se dovevo ancora scoprire perchè. Secondo la mia conoscenza personale di fatti del genere, probabilmente si era infilata nei guai con la legge, lei e il carico che voleva che proteggessi. Annuì e quando feci per restituirle la carta, mi fece un gesto per indicarmi di tenerla. -è una scheda prepagata, contiene circa 210 crediti. Il viaggio dovrebbe durare circa 10 giorni, quindi lì c'è la tua paga, più un extra. È più di quanto ti pagherebbe un qualsiasi altro viaggiatore in grado di negoziare. Ma credo che entrambi dovremo accontentarci, giusto?- annuii, in silenzio, e controllai I lacci della maschera. -lo so. Io ti avrei pagata solo 15 crediti al giorno.- -ovviamente il cibo è a carico tuo.- sorrisi. |
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06-01-2010, 20:06,
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RE: storia fantascientifica WIP
Spoiler [leggi] -certo. Non c'è problema.- Jester si alzò dalla sedia e camminò a passo leggero verso le borse metalliche al centro della stanza, poi recuperò la valigia e la scatola metallica che avevo visto appena entrato e le spostò accanto alla porta. Poi si voltò a guardarmi, con una mano poggiata sul fianco. -quindi affare fatto? Ti avverto, posso essere un capo generoso, ma sono spietata con I lavativi.- -non preoccuparti. A quanto ho capito, io ho bisogno di te e tu hai bisogno di me. Mi pare che ci guadagniamo entrambi da questo accordo, non trovi?- lei annuì, infilandosi la giacca. La sua era delle dimensioni adatte, quindi era in grado di usarle, anche se ben coperte da guanti. Io invece ebbi una certa difficoltà nel maneggiare la borsa e metterla a tracolla. Dentro quella borsa c'erano tutti I miei possedimenti in quel momento, pensai. Mi ritrovai all'improvviso a pensare alla mia astronave monoposto. L'avevo lasciata allo spazioporto, prima del blackout. Mi chiesi cosa ne fosse successo. Non conoscendo le regole precise vigenti sul pianeta, era anche possibile che fosse stato dichiarato il decesso formale e con questo tutti I miei averi fossero stati distrutti o messi in vendita. Non mi piaceva l'idea di gente sconosciuta che frugava nelle mie cose, nella mia vita, magari facendo anche commenti poco carini, mentre ero ancora in vita. Ma così vanno le cose, nello spazio. Nonostante fossi guarito, con delle scarpe addosso e propriamente abbigliato, il passaggio dal cubo alla strada vicino al luogo dove mi ero svegliato non fu esattamente gradevole, e di sicuro non più facile. La tempesta si era intensificata, quindi io e Jester non avemmo occasione di fare la rispettiva conoscenza dato che eravamo troppo impegnati lei a tenere d'occhio la strada e I segnali semi nascosti dalla neve e io a starle dietro. La strada dal cubo alla base della struttura era lunga, e come lei mi aveva detto poco prima di uscire, con questo tempo utilizzare gli ascensori sarebbe stato poco saggio, perchè il freddo avrebbe potuto bloccare I rudimentali meccanismi e lasciarci sospesi nel vuoto fino alla fine della tempesta, il che sarebbe anche potuto essere una condanna a morte, data la temperatura in costante calo. Mentre mi muovevo lentamente badando bene di tenere sempre sott'occhio la schiena della mia nuova datrice di lavoro, avevo tempo per pensare, e a un certo punto, mentre camminavamo nella tempesta cercando di scorgere I pali legati insieme che fungevano da parapetto, ebbi l'impressione di sentire, sotto l'ululare incessante del vento, l'urlo di morte di qualcuno che non stava prestando abbastanza attenzione. Un brivido mi agitò leggermente, e non era del tutto per via del freddo, non completamente filtrato dall'abbigliamento antigelo. Mentre ci spostavamo di lato per raggiungere il leggermente più saldo parapetto metallico che circondava le enormi scale a chiocciola, le mie scarpe scivolavano sul pavimento metallico ghiacciato, nonostante le suole adesive. Sentii Jester che imprecava per lo stesso motivo, agitando leggermente le braccia per evitare di perdere l'equilibrio. Ad ogni angolo della scala a chiocciola, per indicare la strada, c'era una fila di pali segnalatori gialli e arancioni che luccicavano debolmente attraverso la neve che entrava negli occhi. Quando cominciammo a scendere le scale rese sdrucciolevoli dal ghiaccio, la mia gratitudine verso il modo in cui I piani superiori bloccavano la neve si spense rapidamente. La neve, almeno, era un materiale su cui le scarpe potevano fare presa, mentre il metallo liscio era ghiacciato e infido, rendendo ogni passo una vera e propria sfida per restare in piedi. Allungammo le mani per afferrare la ringhiera del parapetto e avere una buona guida mentre continuavamo la discesa. Come potei subito constatare, il metallo era arrugginito, reso fragile da anni di maltempo. Non c'era da fidarsi della ringhiera come salvavita. E in tutta onestà, non ero ansioso di provare l'eccitante sensazione di precipitare nel vuoto dentro un ghiacciaio, con o senza autorigenerazione. Capii che avevamo raggiunto il punto più pericoloso della scala quando, raggiunto l'ultimo scalino del piano, scivolai leggermente in avanti e la leva dell'ascensore mi si piantò nella pancia, togliendomi il fiato. Jester non si voltò, ma appoggiò le mani alla sbarra e tenendo d'occhio alternativamente I suoi piedi e la strada davanti a sè cominciò la lenta camminata intorno al vano ascensore che ci avrebbe portati di nuovo sulle scale, a scendere verso un altro piano. Con orrore notai che la ringhiera, davanti alle scale, era rotta e I lembi tagliati erano piegati verso l'esterno. Lì, il ghiaccio era ancora più infido, e compresi che qualcun altro avesse commesso l'errore di fidarsi troppo del parapetto, e ci si fosse appoggiato per evitare di cadere. Infine, inevitabilmente qualcosa andò storto. Eravamo a circa cento metri d'altezza dal terreno quando Jester perse la presa e scivolò sul pavimento metallico, allontanandosi gradualmente da me e andando a sbattere di schiena contro il parapetto. Sentii il metallo cominciare a sganciarsi con un lento rumore cigolante, prima di vedere il corpo dell'Acquatica che si inclinava all'indietro verso il baratro candido e mortale. Con un gesto istintivo schizzai nella sua direzione usando la sdrucciolevolezza del pavimento per scivolare più in fretta nella sua direzione, afferrandola brutalmente per I fianchi con una mano e cercando disperatamente un appiglio da qualche parte mentre la ringhiera cedeva e I miei piedi cominciavano a scivolare lentamente in avanti. Ebbi l'impressione che l'intera struttura si stesse inclinando mentre torcevo lentamente il corpo all'indietro verso la tromba delle scale e il rispettivo parapetto. Allungai la mano, ma era un gesto inutile dato che l'intera scala era costruita per permettere a numerosi gruppi di persone ed eventuali carichi di salire tutti insieme, quindi il parapetto e il vano ascensore erano troppo lontani. Mi resi conto della mia stupidità mentre allungavo il braccio e la forza di gravità mi afferrava, trascinandomi indietro verso il vuoto. Sempre con un braccio attorno ai fianchi di Jester, mi ritrovai in ginocchio, tentando di frenare o almeno rallentare la caduta, con I piedi che pendavano dal baratro e gli occhi della donna che fissavano la mia schiena mentre mi sforzavo di rialzarmi, maledicendo il ghiaccio che me lo rendeva impossibile. Il momento durò circa tre secondi, prima che il pezzo di ringhiera a cui Jester si aggrappava con tutte le sue forze cedesse del tutto, sganciandosi dal corpo principale con un suono che ricordava un vecchio cancello arrugginito che si apre. Curiosamente, nè io nè Jester urlammo mentre cominciavamo a precipitare. Era come se la cosa fosse stata programmata da tempo. Istintivamente mi avvolsi attorno al suo corpo, portando la schiena al terreno che si avvicinava sempre di più, mentre lei, ora sopra di me,sollevava la manica della giacca, alzando al cielo il braccio su cui luccicava un congegno che non avevo notato prima. Con un suono sibilante, dal congegno fuoriuscì una sonda elettrica che solcò l'aria in una frazione di secondo, agganciandosi a uno dei pilastri portanti dell'intera struttura. Dalla sonda partì un raggio di energia al plasma che la univa al congegno sul braccio di Jester, e con uno strappo violento, la nostra caduta fu interrotta a meno di dieci metri dal terreno coperto di neve. Non ebbi neanche il tempo di riprendere fiato prima che il raggio di plasma cominciasse a perdere luminosità, luccicasse come se stesse per spegnersi e scomparisse definitivamente. Il mio corpo attutì la caduta. Non era mortale, ma non fu comunque piacevole. -grooo.- gemetti. Non una frase cinematografica, ma indubbiamente appropriato. -tutto bene lì sotto? Zmahodiano, sei vivo?- non sentii neanche la minima traccia di preoccupazione nei miei confronti nella voce dell'Acquatica, ma fui comunque toccato del fatto che si preoccupasse di chiedere come stavo. Come minimo doveva essere preoccupata per il suo investimento. Sollevai una mano, con il pollice alzato. -tutto bene, dolcezza. Ora, se tu volessi per piacere togliere l'ingombro dal mio petto credo che potrei riuscire ad alzarmi.- mentre scivolava con agilità dal mio petto, sussultai per le costole rotte che tornavano a posto e si saldavano di nuovo insieme. C'era del sangue sulla neve, e mi sentivo la maglietta appiccicata alla pelle, ma eravamo entrambi vivi, in buone condizioni, almeno apparentemente, e di sicuro molto più arzilli di quanto dovrebbero esserlo due che sono appena precipitati da così in alto. Alzandomi, mi ripulii la neve dai pantaloni. Dalla maglietta entrava uno spiffero d'aria nel punto in cui le costole rotte avevano forato il tessuto. Hah. Indistruttibile un corno. -bel modo di cominciare una breve ma intensa avventura lavorativa insieme.- commentai. Jester ridacchiò. -cos'era quel congegno? Ci ha salvato la vita, più o meno.- lei sollevò il braccio per mostrarmelo, mentre si guardava intorno per orientarsi. Studiai il macchinario con occhio interessato. Aveva una forma allungata e tondeggiante, e si avvolgeva al braccio in un modo che ricordava un pezzo di armatura. Sotto era legato con delle fasce elastiche. Una piccola apertura sul lato vicino al dorso della mano sembrava il punto da cui era fuoriuscita la sonda al plasma, e un piccolo schermo sul lato vicino al gomito luccicava alternativamente di blu e di rosso. Lei agitò il braccio e diede una botta al congegno con l'altra mano tesa a mò di pala. -è un raggio a trazione per piccoli veicoli. Abbastanza forte da trainare una navetta biposto, così diceva la pubblicità. Stupido aggeggio economico. Lo metto in carica per due giorni e questo è tutto quello che riesce a fare? Tsk. Devo ricordarmi di comprarne uno nuovo, quando passiamo dalle parti del bazar della Città Grigia su 10-4-16. fra parentesi, tu dov'eri diretto di preciso?- la sua voce mi scosse dai pensieri. Il modo migliore per cominciare la ricerca era partire dall'ultimo luogo che ricordassi. Nel caso specifico si trattava proprio del bazar di Città Grigia. -buffa coincidenza, è proprio lì che devo andare.- mentre parlavamo cominciammo a incamminarci. Dalla terraferma la tempesta era ancora fastidiosa, ma eravamo parzialmente riparati dalle costruzioni più grandi e solide, e il fatto di non dover prestare attenzione a dove mettevamo I piedi ad ogni passo ci permetteva di conversare. -cosa farai dopo essere arrivato lì?- la sua voce sembrava disinteressata, ma sentivo da parte sua una qualche specie di protettività verso un altra “razza in via d'estinzione”. Alzai lo sguardo al cielo. Oltre la tempesta, potevo vedere il luccichio lontano delle due lune gemelle di 12-12-31 e la costellazione di Cairo. -in effetti non lo so, di preciso. Immagino che proverò a vedere se qualcuno si ricorda di me, da quelle parti. Cercherò chi ne sa di più. E ritroverò I contrabbandieri. Di sicuro ripasseranno da quelle parti, o almeno spero. Dubito di poter recuperare I ricordi semplicemente arrivando lì. Ma quello che m'interessa è sapere come ho fatto a finire ferito in un campo di mercanti d'organi. E a perdere l'autorigenerazione.- lei annuì comprensiva. -bè, in ogni caso non ha senso preoccuparsene ora. Ci vorrà del tempo prima di arrivare. Chissà se tu non avrai già recuperato la memoria, allora.- |
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06-01-2010, 20:08,
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RE: storia fantascientifica WIP
Spoiler [leggi]
Immerso nei miei pensieri, non mi accorsi che eravamo arrivati al parcheggio finché non vedi torreggiare su di me il colossale faro di segnalazione spaziale, e poco sotto di esso, il portone di acciaio aperto e incrostato di ruggine. Sospettai che fosse impossibile da chiudere, ormai, rovinato da anni di tempeste glaciali. Camminammo dentro lentamente. Il parcheggio era simile a un grande hangar all’aperto: da entrambi i lati, colossali astronavi da trasporto industriale erano accuratamente allineate e ancorate al suolo con raggi traenti simili a quello che poco prima aveva salvato la vita se non mia, almeno di Jester. La sensazione di stare camminando fra questi giganteschi mostri spaziali era opprimente, ma in un certo senso anche gloriosa. Non potevo impedirmi di immaginare tantissime persone all’opera per costruire così tanta potenza e renderla utilizzabile, l’equipaggio al suo interno, così tante persone eppure, al confronto di ciò che potevano creare, non più grandi di formiche. le astronavi più grandi erano principalmente sul fondo dell’hangar, ruotate in modo da avere il maggior spazio di manovra in tutte le direzioni. Fuori dall’area del parcheggio vedevo due piste di atterraggio che terminavano con dei repulsori a flusso plasmatico, gli stessi usati dalle navi della polizia stellare per bloccare eventuali fuggitivi. Questi macchinari avrebbero emesso dei raggi di plasma che avrebbero inglobato la nave, permettendo di spostarla delicatamente nello spazio prenotato dal volo. Occasionalmente, fra le varie astronavi giganti, c’erano degli apparecchi più piccoli, ma eravamo ormai arrivati alla metà del parcheggio prima di cominciare a vedere modelli per equipaggi di meno di venti-trenta persone. -questo è un pianeta industriale, quindi è raro che arrivino equipaggi formati da poche persone, e comunque si fermano meno di un giorno, solo per fare rifornimento.- Jester aveva parlato come se potesse leggermi nel pensiero, ma non mi dispiacque. In un certo senso, questa prova di sincronia era positiva, siccome avremmo dovuto lavorare insieme per un po’ di tempo. L’hangar non aveva una forma lineare, ma piuttosto sembrava seguire una logica tutta particolare, sia per la forma che per la disposizione dei veicoli. Ad un certo punto ci ritrovammo a camminare tutto intorno a una gigantesca astronave da carico, per poi curvare un paio di volte a destra dietro dei velivoli da volo, che probabilmente appartenevano a turisti, o viaggiatori di piacere, data la forma inadatta al volo di velocità o alla resistenza. Dopo circa venti minuti di curve a destra e sinistra, e addirittura ad un certo punto sottoterra, dentro un sottopassaggio che sembrava vecchio di secoli, cominciavo seriamente a pensare che ci fossimo persi e che Jester stesse soltanto cercando di minimizzare la nostra situazione fingendo di sapere dove andare. Non era molto rassicurante. -trovata.- Ecco un'altra prova di perfetta sincronia mentale. Alzai lo sguardo verso un bizzarro veicolo parcheggiato davanti a noi. Aveva una graziosa forma lunga e affilata, che trasmetteva un senso di velocità ma allo stesso tempo di resistenza. Non era ancorato a terra, ma poggiava su due basi retrattili che somigliavano alle zampe di un qualche animale. Sul retro della nave, leggermente inclinata verso l’alto, c’era un vano di carico rettangolare che probabilmente conteneva la “merce” che avrei dovuto proteggere durante il viaggio. La forma quadrata e regolare del container dava un aspetto più sgraziato all’astronave, interrompendo bruscamente la forma areodinamica e graziosa. Probabilmente era stato aggiunto dopo la costruzione della nave. Nonostante questo, però, la nave aveva un che di attraente, come una razza spaziale che spinge alla cautela, ma con una bellezza misteriosa e pericolosa. Mi trasmetteva una sensazione di eccentricità e in un certo senso di simpatia, un po’ come la sua proprietaria, ma meno inquietante. Il veicolo era dipinto di viola, parzialmente scrostato sulle zone più soggette a urti e con dei bozzi e graffi in varie parti. Sulla fiancata, sopra la porta, c’era un graffito dipinto con particolare cura, ancora bello anche se un po’ sbiadito. Rappresentava la proprietaria del veicolo, che in quel momento si stava arrampicando sulla fiancata accanto al portellone laterale, passando e ripassando la carta di riconoscimento su un malandato occhio meccanico che, apparentemente, non ne voleva sapere di riconoscerla come legittima proprietaria della nave e lasciarla entrare. -siamo sicuri che questa sia la tua nave, Jester?- chiesi, in maniera un po’ stupida. –trovami un altro Acquatico da queste parti con due tentacoli al posto delle orecchie con il fegato di girare su un’astronave viola e potremmo riparlarne. Nel frattempo, Sali quassù e dammi una mano con questo accidenti di meccanismo. Si è inceppato di nuovo.- non me lo feci ripetere due volte. Era un po’ che non mi allenavo, ma non trovai problemi nel saltare sull’ala del velivolo e strisciare fino al portellone, che Jester stava ormai per prendere a pugni per la frustrazione. Capii subito cosa era successo. Dal suo punto di vista, dritto davanti all’occhio dello scanner della nave era quasi invisibile, ma dalla mia angolatura laterale vedevo bene dei brutti tagli fatti probabilmente con un’arma rudimentale come un piede di porco. I tagli solcavano tutta l’area intorno e dietro all’occhio bionico, e un paio di cavi pendevano squarciati. Sapevo come riparare il danno, e probabilmente lo sapeva fare anche lei, ma avremmo avuto bisogno di qualcosa su cui appoggiarci, come minimo. Lei era aggrappata all’ala con una mano e alla parte bassa dello scafo della nave, quasi raggomitolata, mentre io ero sdraiato sull’ala, e non sarei comunque riuscito a raggiungere il meccanismo. Inoltre ci mancavano gli attrezzi adatti. -non per infastidirti, Jester, ma pare che abbiano cercato di scassinarti la nave. Tutto il retro dell’occhio è squarciato, e sono saltati dei cavi. Hai un kit di riparazioni base? Credo di potermela cavare con questo.- lei scosse la testa. – magari fosse solo questo il problema … anch’io so riparare una cosa del genere. Ma, purtroppo, tutti i miei arnesi sono dentro l’astronave. – me l’immaginavo, ma non dissi niente per un po’. -non ho mai visto un’astronave come questa in giro, quindi non so quanto potrò esserti utile, ma per caso c’è un altro modo per entrare? Un portellone per il carico/scarico, porta sul tettuccio o cose simili?- Lei chiuse gli occhi per un attimo, poi sembrò illuminarsi e saltò sul tetto con un agilità sorprendente. – ottima idea. – ripeté fra se e se. – ottima idea. Veramente un’ottima idea. – Sul tetto, nascosto da un’ala, c’era un piccolo dettaglio che non avevo visto prima: un cannone di difesa modello RK-124, il tipo usato nelle fabbriche per proteggere segreti industriali. Solitamente, era un tipo di cannone da terra, quindi mi sembrava strano vederlo montato su un’astronave. Cominciai a sospettare che l’intera bagnarola fosse stata costruita da Jester stessa. Dietro il cannone, c’era un portello per permettere a chi lo manovrava di uscire parzialmente dalla nave e afferrare i comandi, restando comunque con la maggior parte degli organi vitali coperti. Il portellone era circolare, circondato da una serie di agganci che sospettavo servissero a creare un campo protettivo intorno al cannone e a chi lo utilizzava durante eventuali combattimenti spaziali. Probabilmente l’abrei dovuto usare io. Anche quel portellone era protetto da un occhio d’identificazione, ma questo funzionava bene. Evidentemente chiunque avesse cercato di scassinare la nave non aveva avuto molto tempo a disposizione per cercare altri ingressi, oppure era semplicemente idiota. Il portone circolare scivolò all’interno e di lato con un sibilo, e Jester si calò dentro agilmente. La seguii con un po’ di cautela, incuriosito. L’interno della nave era meno bizzarro di quanto mi sarei immaginato, ma comunque originale rispetto alla media. Come l’esterno, erano presenti forme curve bruscamente interrotte da spigoli. Compresi che probabilmente si trattava di una scelta stilistica. Il pavimento della nave era liscio, coperto di un materiale lucido e bianco, come le pareti, che rifletteva parzialmente l’immagine di chi ci camminava sopra. Sul soffitto, lunghe strisce luminose e di riscaldamento, simili a quelle del cubo abitativo di prima davano luce e calore all’interno della nave. Il contrasto con il freddo gelido da cui eravamo appena sfuggiti era così piacevole da indurre una leggera sonnolenza. Sul lato a punta della nave, rivolto leggermente verso l’alto, c’era una pulsantiera di comando sorprendentemente complicata. Il sedile del copilota non c’era, e mi chiesi come facesse Jester a comandare una nave del genere completamente da sola, considerando anche che c’erano circa due metri di distanza da un lato all’altro della pulsantiera, e lei non aveva certo le braccia così lunghe. Proprio al centro della pulsantiera di comando c’era un altro occhio bionico per le scansioni di oggetti e per calibrare la rotta della nave. Poco dietro il sedile, raggiungibile con una leggera torsione, c’era una rastrelliera equipaggiata con un interessante gamma di armi di autodifesa, che andavano dai nunchaku a un cannone ad arco a lunga gittata. |
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06-01-2010, 20:09,
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RE: storia fantascientifica WIP
Spoiler [leggi] Sul lato oppost, c’erano tre porte, due piccole e decorate, e una al centro, rettangolare. La porta era protetta da un codice, per raggiungere il vano carico. Mentre mi orientavo, Jester si era seduta sulla sedia del comandante, sospirando ad alta voce e scrocchiandosi tutte le ossa del corpo. – ottimo. Stiamo per decollare, Kotetsu, e ci vuole un po’ prima che si attivi il generatore gravitazionale, quindi farai meglio a infilarti nella tua stanza, quella a destra. Si ballerà un po’. Ti chiamo io quando puoi uscire.- annuii in silenzio. La porta della stanza si aprì prima che potessi sfiorarla, un particolare simpatico che mi ricordava della mia astronave. Avevo faticato molto per fare in modo che tutte le porte si aprissero automaticamente al mio passaggio, quando l’avevo appena comprata, per scoprire che in fondo non era una cosa molto comoda. Mi venne da ridere al ricordo. La camera aveva una graziosa forma circolare, con un soffitto molto basso. La maggior parte dello spazio era occupata da un letto anch’esso circolare, con delle coperte bianche. Una piccola apertura nel muro conteneva cibo liofilizzato di vario tipo. Lungo una parete si apriva una finestrella tonda, con lo stesso vetro rinforzato della cabina di comando da cui potevo vedere la fiancata della nave accanto a cui eravamo parcheggiati. Intorno al letto c’era un bordo di legno finto su cui erano appoggiati dei libri. Sul momento pensai di essermi accidentalmente infilato nella camera di Jester, poi mi resi conto che poteva esserci stato qualcun altro prima di me, e che la proprietaria della nave non aveva avuto il tempo di rimettere a posto i suoi averi prima di assumermi. Presi i libri, che spaziavano da una storia per bambini a un pesante manuale di psicologia. È raro vedere libri stampati nell’era spaziale. Ormai, la maggior parte delle persone usa proiettori di ologrammi per visualizzare testi. è comodo e più economico, ma a quanto pare esistevano ancora compagnie che offrivano versioni stampate delle loro pubblicazioni. Sopra il letto, parallelo al bordo di legno c’era un armadietto orizzontale curvo, che sporgeva verso l’esterno, ma non ebbi il tempo di metterci i libri, perché un violento strattone della nave mi avvertì che stavamo per decollare. Il movimento era stato tanto brusco da farmi desiderare di rinchiudermi nell’armadietto, ma mi resi conto di non averne il tempo, mentre il muso della nave si sollevava in verticale. Vidi la scritta con il nome accanto alla nostra ruotare lentamente, mentre per la seconda volta nella giornata la gravità mi afferrava e mi schiacciava contro la porta. Per fortuna non si aprì, altrimenti mi sarei ritrovato sballottato in giro per tutta l’astronave finché non ci fossimo stabilizzati. Mi raggomitolai nello spazio fra la base del letto e la porta, tenendomi aggrappato con braccia e gambe. Con un altro violento strattone i motori si accesero di botto, quasi assordandomi con il rombo. Ebbi l’impressione che la temperatura della nave fosse salita di qualche grado, e cominciai a sudare. Per distrarmi dai movimenti, cercai di immaginare Jester che saltava da una parte all’altra della pulsantiera di comando tenendosi aggrappata alla sedia con le gambe e mi venne da ridere. Poi ci fu uno strattone potentissimo e la nave si catapultò in alto con la velocità di un proiettile. Dal mio punto di vista, non potevo più vedere la finestra, ma immaginai come doveva essere la vista del pianeta ghiacciato che schizzava sotto la pancia della nave e il cielo stellato che si avvicinava sempre di più, mentre i motori aumentavano gradualmente la potenza e ci preparavamo al salto fuori dall’atmosfera. strinsi i denti e chiusi gli occhi, immaginando un urto potente quanto i primi tre messi assieme. Invece non sentii niente, mentre i motori cominciavano lentamente ad abbassare la pressione. Lo sentivo, perché da quello che avevo visto all’esterno, le due camere erano situate proprio davanti al vano dei motori, e in quel momento le vibrazioni erano trasmesse attraverso la parete, dritte alla pelle della mia schiena. -parla il comandante Jester all’unico altro abitante della nave. Puoi uscire, Kotetsu.- Il generatore di gravità che aveva menzionato prima Jester doveva essersi attivato, perché all’improvviso mi sentivo come se fossimo di nuovo a terra, in posizione orizzontale. Borbottai mentre la mia autorigenerazione riassorbiva un bernoccolo che mi ero fatto durante il decollo. Dopo tutto, non era stata male come partenza. Ne avevo avute di peggiori. Come guidatore, non ero niente male, ma ho sempre odiato con tutto me stesso trovarmi nella parte del passeggero al momento di un salto fuori dall’atmosfera. Di nuovo la porta si aprì automaticamente mentre uscivo dalla stanza. Mi ero dimenticato di rimettere a posto i libri, ma decisi di farlo dopo, limitandomi a raccoglierli e appoggiarli sul letto. Per fortuna, nonostante avessero rotolato sul pavimento durante tutta la partenza, erano ancora in buone condizioni. -come ti senti?- chiese Jester appena fui uscito dalla stanza. Io scossi la testa. Per riflesso spontaneo, i miei tentacoli ondeggiavano in tutte le direzioni. – diciamo che preferisco essere io quello che guida, almeno al momento di uscire dall’atmosfera. Piuttosto, come fai a pilotare con una pulsantiera così grande? Questo sembra un modello che ha bisogno di un copilota … - lei annuì. – di solito ce n’è bisogno, ma io non ho questo problema. Come puoi ben vedere. – i suoi tentacoli/orecchie si erano allungati a dismisura, diventando sottili, e strisciavano lungo la pulsantiera, premendo tasti e muovendo leve sia dal suo lato sia da quello del copilota. Rimasi a fissarli ammirato. Era come una specie di dea Kalì della guida. -fantastico. Riesci a controllarli tu questi tentacoli oppure si muovono di loro volontà? E come fai a sentire? Insomma, non dovrebbero esserci le orecchie da quelle parti? - lei ridacchiò alle mie domande. – mettiamola in questo modo: tu riesci a controllare quello che fanno quei tuoi tentacoli/capelli? – io scrollai le spalle. – bè, sì, ma non si allungano tanto.- lei annuì. – l’importante è che tu abbia capito. Sono come i tuoi, di tentacoli, ma più allungabili. Non chiedermi come faccio a sentire, perché non l’ho ancora capito neanche io. I medici me l’avranno spiegato centinaia di volte, ma sono più brava a capire macchinari e motori piuttosto che l’anatomia umanoide. – tendevo ad essere d’accordo con lei su questo punto di vista. Per me, non c’è bisogno di chiedersi perché qualcosa funziona, finché non ci sono problemi. Per questo, a differenza di molti filosofi e medici del mio pianeta non mi ero mai sforzato di comprendere la mia autorigenerazione. Dopo qualche tempo, Jester sospirò appoggiandosi all’indietro sullo schienale del sedile e lasciando andare i comandi. Con un suono umido, i tentacoli furono come riassorbiti, ritornando alle dimensioni di prima. – ho stabilizzato la rotta fino alla nostra prima tappa. Fra circa sette ore raggiungeremo una stazione spaziale per fare rifornimento di carburante, eseguire le riparazioni al portone e sgranchirci un po’ le gambe. Inoltre immagino che tu abbia bisogno di nuovi abiti, come minimo.– -già. Dovrei anche controllare un paio di cose alla banca interstellare.- Questa volta fu lei ad annuire, con aria distratta. Indossava ancora la maschera, quindi cominciò ad armeggiare di nuovo con i ganci. Mi avvicinai per aiutarla. – come mai porti questa maschera? – le chiesi mentre studiavo il funzionamento delle fibbie e cominciavo ad aprirle una per una. Ce n’erano molte, più del necessario, molto piccole, e una più grande sulla cima della testa, che si univano ai nastri elastici dietro la testa per tenerla ben salda. Lei non rispose subito. Con un attimo di ritardo, mi resi conto che probabilmente non aveva molta voglia di rispondermi, almeno non su quell’argomento in particolare. Mi affrettai a correggere la frase, non volevo sembrarle eccessivamente curioso. – ovviamente chiedo così per fare conversazione. Non sei obbligata a rispondermi.- lei non si sentì obbligata e rimase in silenzio, mentre finivo di togliere i ganci. Era un procedimento complicato, ma allo stesso tempo mi dava una sensazione di calma. Era il tipo di lavoro ripetitivo cui cominci ad affezionarti dopo un po’, perché dà il tempo di pensare. Un po’ come quando, nell’esercito, radevo la barba ai miei commilitoni per distrarmi dalla paura. -ti piace?- mi chiese l’Acquatica all’improvviso, senza sforzarsi di specificare a cosa si riferisse. Mi ci volle un po’ per vedere la mano guantata che indicava il vetro, dal cui si vedeva lo spazio infinito, costellato di stelle e pianeti, nebulose e comete. -molto. Veramente molto.- commentai, con voce involontariamente sognante. Le stelle e il cielo. Il motivo per cui avevo cominciato a viaggiare. O uno dei motivi, almeno. Così cominciò il mio viaggio, con la strana astronave viola di Jester che attraversava quel cielo a cui tanto ero affezionato e i suoi due abitanti, uno dietro l’altra a rimirare l’universo in silenzio quasi religioso. ![]() ![]() |
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07-01-2010, 04:55,
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RE: storia fantascientifica WIP
(06-01-2010, 20:09)Ravatta Ha scritto: il capitolo 3 è in fase di correzione e sarà presto pronto per essere postato Faccina di commento: ![]() Ho finito di leggere proprio adesso. Il fatto che l'abbia letto a quest'ora, senza prendere pause, con attenzione e nonostante lo stordimento da infreddatura la dice lunga su quanto funziona la tua storia. Hai lasciato sospese le domande del primo capitolo e ne hai aggiunte altre, il che non fa che aumentare il mio interesse e la mia curiosità. In questa seconda parte, oltre a Jester che mi piace sempre più, mi è diventato simpatico anche il protagonista... mi diverte molto la loro ironia! Complimenti soprattutto per le tue capacità descrittive: l'anatomia dei personaggi e la navicella spaziale sono tinteggiate veramente bene, sembra proprio di vederne i particolari con i propri occhi. Sei sorprendentemente brava. E complimenti anche per il titolo, seppur provvisorio. È intrigante anche quello. ![]() ![]() Occhi-di-notte Ha scritto: |
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19-01-2010, 23:34,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Awww, mi ero completamente persa il tuo messaggio! D:
Grazie mille per i commenti ![]() ![]() Dunque, ho bypassato temporaneamente la mancanza di connessione oggi, giusto il tempo di passare da queste parti, sospirare per la nostalgia (sigh... cosa posso farci? mi sono affezionata! ![]() e postare il capitolo 3 :3 3. Saint Amber, stazione spaziale Spoiler [leggi] L’astronave di Jester non aveva un orologio, ma il computer di bordo mi elencò gli orari di tutti i pianeti nel quadrante che stavamo attraversando quando gli chiesi che ore erano. Dato che sorbirci una lista di numeri compresi di decimali ogni volta che volevamo sapere l'orario almeno per fare dei pasti quasi regolari, io e il capitano della nave decidemmo di regolarci sull’orario del nostro pianeta di arrivo. È un problema comune quando si viaggia nello spazio: come si fa a sapere che ore sono? Nello spazio non ci sono fusi orari, quindi ogni astronave si arrangia da sé. La maggior parte usa il metodo che avevamo scelto noi, mentre altri cambiano orario secondo il pianeta cui sono più vicini o al luogo da cui partono. Alcuni non usano orologi quando viaggiano, e si regolano con il loro orario biologico per le attività quotidiane: altri ancora usa gli avvertimenti radio o con il computer di bordo. Personalmente preferisco avere sempre un orario di riferimento, più per comodità che per altro. Secondo i nostri calcoli iniziali, avremmo dovuto atterrare alla Città Grigia entro un po’ più di nove giorni, ma non avevamo previsto il danno alla nave, quindi fummo costretti ad aggiungere un altro giorno. Vidi Jester che si mordeva il labbro inferiore all’idea, presumibilmente pensando al mio pagamento e alle spese extra che una sosta di un giorno alla stazione spaziale comportava. Secondo l’orologio di bordo, nella Città Grigia era l’alba, ma per il mio orologio biologico, era giusto giusto ora di andare a dormire. Anche la mia compagna di viaggio era stanca, quindi, dopo così tanto tempo a cercare la rotta più rapida e a decidere I dettagli della mia assunzione, decidemmo di rimandare altre conversazioni al “giorno” successivo. Rientrato in quella che per un po’ di tempo sarebbe stata la mia stanza, riposi la mia borsa dentro uno degli scomparti dell’armadio circolare, prestando particolare cura all’occhio nella cella di sospensione che tanto aveva affascinato Jester. L’armadietto era quasi del tutto vuoto, ma in un angolo vidi una pila di vestiti puliti, bianchi. C’era una specie di camicia da notte che mi piacque da subito, ma ritenni fosse meglio chiedere prima a Jester per vedere se potevo metterla. Lei non aveva niente in contrario, quindi la adottai come mio nuovo abbigliamento notturno. Il bagno dell’astronave era piccolo ma confortevole. C’era una doccia veramente piacevole, e aveva l’acqua calda, anche se Jester mi avvertì che a certe ore del giorno per un difetto di programmazione tendeva a cambiare velocemente temperatura. Io fui abbastanza fortunato da evitarlo, ma mentre sistemavo i cuscini sul letto tondo, la sentii che si lamentava ad alta voce dell’acqua fredda e mi venne da ridere. Sistemato nelle coperte, al caldo dell’aria condizionata della nave, mi sentivo quasi al sicuro. Le ultime ore erano state un disastro sotto ogni punto di vista, ed ero molto sotto stress. In un solo giorno, mi ero risvegliato senza poteri, avevo ricevuto una coltellata in un occhio da un esponente di un'altra razza in via d’estinzione, ero stato assunto come sua guardia del corpo, avendo recuperato i poteri, e infine ero precipitato da una struttura alta più di duecento metri. Che altro poteva succedermi? Scoprii per caso che tramite un comando vocale, potevo abbassare o alzare la luce nella stanza quanto volevo. La regolai in modo da averne abbastanza per poter leggere restando comunque in grado di vedere lo spazio fuori dall'oblò, lo spazio che sembrava quasi traboccare ed entrare nella stanza attraverso la finestra. Diedi un’occhiata ai libri che immaginavo appartenessero a chi aveva abitato quella camera prima di me. Erano circa dieci, e come avevo notato prima, trattavano gli argomenti più vari. C’era un libro di fiabe, un testo per imparare a guidare le astronavi, un manuale di riparazioni illustrato, due tomi di psicologia, un romanzo rosa che mi fece ridere per l’eccessiva banalità della trama, un trattato di genetica e due libri fantasy rilegati. Tutti erano chiaramente stati letti e riletti varie volte, quindi immaginai che la stanza fosse stata abitata per un bel po’ di tempo. Mi venne da chiedermi cosa fosse successo a chiunque avesse letto quei libri. Per divertimento, provai a immaginare varie persone diverse, con storie e caratteri particolari. Provai a visualizzare come si sarebbero potuti comportare con l’Acquatica che mi aveva assunto e non riuscii proprio a immaginarmi la scena. Immaginai varie storie possibili, tutte che finivano in modi terribilmente tragici. Preso dai miei pensieri, mi stavo per addormentare, quando sentii una voce che mi parlava. Sembrava venire da tutte le parti, eppure era poco più di un sussurro. - buona notte, Ko-tetsu.- - ‘notte, Jester.- borbottai diretto al buio dell’astronave. Fui svegliato qualche ora dopo da un fastidioso picchiettare sulla spalla. Aprii gli occhi lentamente, e mi ritrovai a osservare per la seconda volta in due giorni il petto nudo e i capezzoli blu di Jester, con ancora gli anelli e la catena addosso. -va tutto bene?- lei annuì inespressiva. Intuii che si dovesse essere appena svegliata anche lei. Indossava solo dei boxer maschili, e notai che i suoi piedi e polpacci erano decorati con dei tatuaggi tribali neri che sembravano arrampicarsi lungo la curva del muscolo. – stiamo per incontrare una turbolenza. Ti chiederei di restare qui come hai fatto ieri, ma potrei aver bisogno di te. Puoi agganciarti al retro del mio schienale, dove sono le cinture di sicurezza. È la postazione standard per le guardie.- sospirai, non molto allegro alla prospettiva di ritrovarmi a sbattere contro il suo schienale durante una turbolenza spaziale. Ma ero pagato per questo, quindi non mi lamentai. -ho il tempo di vestirmi?- Lei si inclinò all’indietro aggrappata alla porta per guardare il vetro della zona di guida. -ce la fai a vestirti in meno di due minuti?- chiese, infilandosi in fretta una canottiera bianca e dei pantaloni larghi da meccanica. La catena che univa gli anelli ai capezzoli risaltava in rilievo contro il tessuto. Mi affrettai a sfilarmi la camicia da notte e indossare pantaloni e stivali del giorno prima. Non ebbi il tempo di mettermi altro, comunque, perché la nave cominciò ad agitarsi in un movimento a forma di otto e Jester si precipitò nella zona di guida, ordinando senza molti complimenti di seguirla. A petto nudo, entrando di nuovo nella parte principale della nave, potei vedere subito di che tipo di turbolenza si trattasse: un banco di meteoriti, niente meno. Mi affrettai ad agganciarmi dietro il suo sedile mentre lei allungava braccia e tentacoli per coprire l’intero piano della pulsantiera di controllo e cominciava ad armeggiare con leve e pulsanti, occasionalmente abbaiando richieste al computer di bordo. Principalmente era per sapere se ci stessimo ancora tenendo nella rotta prestabilita per la stazione spaziale, ma non mi sfuggirono alcune richieste riguardo al fatto di essere seguiti. No, per ora il campo era sgombro, tranne ovviamente I meteoriti, secondo il computer. L’urto che avevo sentito prima era una meteora piccola che aveva sfiorato la parte esterna dell’ala. Mi proposi di rimproverare Jester per essersela presa comoda durante un’emergenza, ma i suoi occhi spalancati e i denti stretti che vedevano riflessi nel vetro mi dicevano che lei era più tesa di me per quel fatto. -Kotetsu, hai sentito qualcosa?- chiese ad alta voce, superando il suono degli ammassi rocciosi che ci passavano ai lati e quelli più piccoli che cozzavano contro lo scafo. – niente di particolare, per il momento!- urlai di rimando. Mi chiesi come mai si preoccupasse del rumore, ma poi mi ricordai un particolare risalente |
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19-01-2010, 23:36,
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RE: titolo provvisorio: "Starship Ironwing"
Spoiler [leggi] al mio periodo nell'esercito. Uno dei trucchi più comuni usati dai predoni spaziali, è nascondersi dentro un banco di asteroidi e sfruttare la turbolenza elettromagnetica per assalire eventuali navi da trasporto mentre i piloti sono occupati a evitare di rimanere schiacciati come sandwich fra le rocce. Ovviamente, i velivoli più spesso presi di mira sono i biposto con carico, proprio come il nostro. Mi resi conto che se non ci fossi stato io, qualunque fosse il carico prezioso che Jester trasportava, sarebbe stato una facile preda mentre lei era occupata ai comandi. D’impulso, cominciai a tenere d’occhio il portello d’accesso al cannone. -per la cronaca, Kotetsu, sei pienamente autorizzato a utilizzare le armi nella rastrelliera in caso di necessità, a patto che non mi faccia un foro nello scafo.- commentò ad alta voce l’Acquatica, di nuovo mostrandosi in grado di indovinare alla perfezione i miei pensieri. Non potei impedirmi di notare una discreta ansia nella sua voce, e non mi ci volle molto a collegare questo con la possibilità del suo carico rubato dai predoni. Ma perché era così protettiva con qualunque cosa stesse trasportando, al punto che il container non aveva un portone esterno, e perché non mi aveva permesso di vedere di cosa si trattasse? Perché sembrava che temesse di essere seguita? Per il momento non avrei avuto una risposta, ma potevo immaginare che qualunque cosa trasportasse, fossero gioielli o cadaveri, doveva essere abbastanza importante da giustificare la necessità di una guardia, e con una guardia virtualmente immortale come me, poteva stare tranquilla, almeno finché non ci fossimo separati. Mentre riflettevo, ci fu un altro urto, più violento del precedente. Con un sussulto, la gravità artificiale si spense. Mi ritrovai a penzolare, appeso solo grazie alle cinghie che portavo incrociate sul petto. Automaticamente, allungai il braccio per afferrare il fucile ad impulsi, l’arma più vicina a me sulla rastrelliera e lo imbracciai, mirando alternativamente alla porta laterale e il portello che dava sul cannone. Sentii Jester urlare una serie di bestemmie irripetibili, e i motori aumentarono la pressione. Non volevo saperlo di preciso, ma avevo la terribile sensazione che l’idea dei predoni nascosti nel banco di asteroidi fosse diventata realtà, e tremai al pensiero che Jester stesse probando una tecnica poco ortodossa ma indispensabile per allontanarsi dal campo di meteore. – Jester, cosa stai… - cominciai con voce nervosa, ignorando il dolore in mezzo alle gambe dove la cintura mi schiacciava con forza eccessiva. – zitto, Kotetsu! Sto tentando una manovra d’emergenza! Tieniti forte e spara a tutto quello che vedi che non ha i tentacoli al posto delle orecchie! – obbedii, e strinsi i denti continuando a puntare il fucile. L’arma che avevo scelto era un fucile a impulsi modello D54. Ha una carica lenta, e colpisce con potenza, quindi anche se fossero entrati in dieci, cosa di cui dubitavo data l’inclinazione verticale della nave, li avrei potuti stendere in un colpo solo. Sentii l'astronave che accelerava, ed ebbi la sensazione di trovarmi su una specie di ottovolante mortale. Il mio stomaco sembrava un verme che si contorceva sotto la pressione delle cinture di sicurezza, e le mie gambe penzolavano verso le tre porte che davano alle stanze e al vano carico. Per evitare le meteore ed uscire in fretta dal campo, Jester aveva spinto il motore al massimo e stava ruotando l’astronave in un movimento circolare, per cui mi ritrovai a testa in giù ancora appeso al sedile. All’improvviso sentii quello che Jester mi aveva chiesto prima: un sibilo veloce, seguito da un altro, preceduti da un suono sordo … -Jester, ci stanno sparando!- -lo so! Aggrappati al sedile, ne siamo quasi fuori! Adesso tento con la massima velocità!- Non era qualcosa che volevo sentire. Con uno strappo simile a quelli che avevo sentito alla partenza, la nave si lanciò alla massima velocità fuori dal banco di asteroidi, roteando come una trottola. Per un tempo che mi parve infinito, strinsi i denti con forza contro la rotazione. Avevo la sensazione che mi stessero per schizzare fuori gli occhi dalle orbite. Fu solo quando il movimento rallentò e tornammo in posizione orizzontale che mi resi conto di aver urlato per tutto il tempo. -ho bisogno di un bicchier d’acqua- borbottai, sentendomi la lingua come un polpettone troppo asciutto in bocca. Ascoltai distrattamente Jester che si appoggiava pesantemente allo schienale e immaginai che fosse stata china sui comandi per tutto il tempo. -ok, ce la siamo vista un pelino brutta, ma ora è passato tutto. Siamo fuori dal banco di asteroidi. Sganciati e vieni a dare un’occhiata qua fuori.- la sua voce era roca e affaticata. Non era abituata a questo tipo di lavoro d'emergenza. Abbedii al suo comando, avendo cura di rimettere il fucile a impulsi sulla rastrelliera. Provai una grande sensazione di sollievo quando la cinghia si sganciò lasciandomi libera la pelle che si era incastrata contro la fibbia. Accanto a me, Jester aveva gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore. Provai l’istinto di asciugarla con il dorso della mano, ma forse avrebbe avuto delle controindicazioni considerando la scarica d’adrenalina che avevamo appena avuto. Alzai lo sguardo verso il vetro,che ora era leggermente graffiato in due o tre punti. Davanti a noi, sospesa nello spazio nero illuminato di stelle, c’era la stazione spaziale di Saint Amber di 210 Nord. 210 Nord è la rotta o “autostrada spaziale” che stavamo seguendo, che porta dritto verso il quadrante in cui è situato 10-4-6. il modo più semplice di descrivere una stazione spaziale è “un autogrill orbitante misto con un centro commerciale gigantesco”. Saint Amber non faceva eccezione, ma non somigliava neanche vagamente alle altre stazioni spaziali che avevo visto. Prima di tutto, luccicava quasi come una stella artificiale di illuminazione al neon. Aveva la forma di due piramidi unite alla base, con la parte superiore abitativa e la parte inferiore consistente in macchinari e propulsori che le permettevano di mantenere la gravità artificiale, di muoversi occasionalmente, e di tenere in funzione lo scudo spaziale per proteggere gli edifici da meteoriti e predoni. Inoltre ospitava le abitazioni delle persone che ci lavorano. Come un cristallo estratto da terra, il lato inferiore sembrava grigio e sporco, mentre il lato superiore era luminoso e lucido, ben tenuto e brulicante di gente come un formicaio spaziale. Entro un raggio di un paio di chilometri intorno la stazione, cartelli di segnalazione orbitanti pubblicizzavano nuovi negozi e indicavano l’ingresso al parcheggio. Jester era visibilmente esausta, ma pilotò comunque la nave fino a uno dei cosiddetti “parcheggiatori automatici”: macchine che seguono una rotta prestabilita, trainando le navi con un raggio al plasma verso i posti disponibili per il parcheggio. Bisogna pagare per usarli, ma Jester commentò ad occhi chiusi che era ben disposta a sborsare un piccolo extra per risparmiarsi tre ore di giri per trovare un parcheggio libero. Questo non le impedì di lamentarsi quando la macchina scalò il costo del parcheggio, 20 crediti, dal suo conto. - un furto- commentai. - un furto. Ma che ci possiamo fare, i turisti sono troppo pigri per sforzarsi di parcheggiare, anche se non sono appena sfuggiti da un agguato dei predoni.- le sue parole risvegliarono in me i miei pensieri di prima riguardo il nostro carico. -a proposito di questo, avrei un paio di domande da farti…- lei alzò la mano con un gesto vago. – dopo, Kotetsu, dopo.- mi zittì. La cosa mi infastidiva, ma capivo che per il momento avesse bisogno di un po’ di calma. Quando il bot parcheggiò l’astronave, si sganciò le cinture di sicurezza agganciate a croce sul petto e muovendosi come una sonnambula arrivò fino alla porta principale, costringendola con un pugno ad aprirsi. Saltammo sul pavimento nero asfaltato della stazione. Le pareti, a malapena visibili dalla nostra posizione, erano annerite dai fumi di scarico, per cui fui grato alla mia mascherina da chirurgo per filtrare almeno un pochino il gas. Notai anche che Jester, nonostante la stanchezza, era riuscita ad allacciare le innumerevoli fibbie della sua maschera mentre venivamo posteggiati. Nonostante il prezzo esorbitante, il bot parcheggiatore ci aveva trovato un ottimo posto. Ci vollero solamente dieci minuti di slalom fra le astronavi per raggiungere gli ascensori che portavano alla parte principale di Saint Amber, la luminosa e promettente piramide superiore. Gli ascensori avevano una capienza di venti persone alla volta, e ce n’erano circa dieci, disposti a cubo, che salivano e scendevano alternandosi. l'ascensore più all'interno portava alla cima della piramide, ma era accessibile solo una volta ogni mezz’ora per evitare un sovraffollamento. Mentre aspettavamo uno degli ascensori più esterni, che portavano al primo piano, chiesi a Jester come avremmo fatto a riparare l’astronave se la lasciavamo nel parcheggio. -il settore riparazioni si trova un livello sotto il parcheggio, ma bisogna salire a uno dei livelli superiori per affittare un box e gli attrezzi. È lì che stiamo andando.- io annuii, guardando in alto. Sia gli ascensori che il pavimento del primo livello erano trasparenti. Notai che Jester continuava a fissarmi di sottecchi , con il volto ben nascosto dalla maschera di cuoio. -sai, ti consiglio caldamente di comprare dei vestiti che nascondano il tuo aspetto mentre sei qui. Non dimenticare che eri stato venduto come esemplare raro a dei contrabbandieri di organi. Forse qualsiasi cosa ti è successa è stata perchè giravi così allo scoperto.- non ci impiegai molto per capire dove stava andando a parare, ma ignorai la frecciata. Mi piaceva girare a viso scoperto, e glielo dissi. -per me puoi fare quello che vuoi. Ma non ho una voglia di dover andare a recuperare l'anticipo che ti ho dato in un qualche squallido obitorio spaziale.- sospirai.[/ |
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