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Mercanti e Navi Viventi

AVVISO DI SPOILER
 (I Mercanti di Borgomago)

Chiudere Assassin’s Quest e lasciarsi alle spalle le atmosfere medievaleggianti è quasi un trauma. Ship of Destiny si apre con serpenti di mare, pirati, mercanti e cose alle quali non siamo preparati. Ma l’universo è lo stesso: ci troviamo solo un po’ più a sud-ovest, l’eco dei draghi appena salutati alla fine della saga dei Farseer non tarderà a farsi sentire e alla penna di Robin basterà un solo nome per stregarci completamente. Quel nome è Velieri Viventi.

Ci troviamo davanti a una delle invenzioni letterarie più intriganti e ricche di sfumature di questa talentuosa autrice, un elemento che nasconde molti segreti e colpi di scena e la cui unicità si svela lentamente lungo l’intera trilogia, permettendoci di assaporare i sentimenti contrastanti che questi personaggi sviluppano verso gli altri elementi della complicata trama di questa storia.

Già da subito la contrapposizione tra i due Velieri Viventi protagonisti mette in luce una delle caratteristiche più affascinanti, il legame con la famiglia: da una parte abbiamo Vivacia, nave amata e desiderata, connessa ai Vestrit prima dall’amore di Althea e poi dai sentimenti, per quanto contradditori, di Wintrow; dall’altra il Paragon, risvegliato in maniera anomala, rifiutato dalla sua stessa famiglia.
Paragon è un personaggio la cui complessità si dipana lungo i tre libri, accompagnandoci costantemente con le sue paure e la sua pazzia, ma la cui storia, che conosciamo dai pensieri e dai ricordi di Althea, finisce per segnare pesantemente anche noi che leggiamo. Come restare impassibili davanti al suo disperato richiamo a Setre LaSuerte, alle lacrime versate nella solitudine del porto, strappato non solo ai familiari morti nella tempesta ma anche al conforto di colei che, evidentemente, considerava come madre?

E Robin è abilissima nel farceli amare entrambi fin da subito: quante volte abbiamo sentito Vivacia protendersi verso Althea o verso Wintrow, in cerca di approvazione? Quante volte abbiamo letto, nelle parole, nei capricci di Paragon, l’infantile paura di essere abbandonato?
Seguiamo il loro percorso, la loro crescita emotiva e individuale, con gli occhi preoccupati di un genitore, struggendoci per i loro errori e le loro paure.
Ed è proprio nei legami che questi Velieri Viventi stringono con le loro famiglie, siano esse famiglie originarie o acquisite, che ritroviamo le stesse dinamiche che accompagnano la crescita di un figlio e la sua ricerca di indipendenza.

Partiamo da Ophelia, il Veliero Vivente della famiglia Tenira.
Ci troviamo davanti a un Veliero Vivente esperto, navigato non solo nel senso marinaresco ma anche e soprattutto nei modi e nel carattere. Robin la descrive come trasandata, dissoluta, uno dei primi Velieri Viventi, un personaggio che ci viene presentato in modo ambiguo e del quale non sappiamo se fidarci.
Ophelia compare in Ship of Magic in un momento in cui Althea Vestrit ha bisogno di segretezza e protezione. Memorabile la scena del gioco d’azzardo, in cui la polena vince ad Althea, probabilmente barando, la verità sulla sua identità: dietro la maschera del mozzo Athel si nasconde Althea Vestrit, fuggita dalla sua stessa famiglia per il dolore di vedersi strappata l’amata nave Vivacia. È a Ophelia che la ragazza si apre, rivelando la sua storia e confidando nel suo silenzio, e altrettanto memorabile è la scena in cui Athel viene convocato dal capitano in seguito al presunto tradimento del segreto di Althea da parte della stessa Ophelia.
In preda alla paura di venire, ancora una volta, scacciata dalla nave, la ragazza scopre che grazie alla polena otterrà non solo un passaggio a casa ma anche la possibilità di ottenere una credenziale da primo ufficiale, la credenziale che potrebbe restituirle l’amata Vivacia.

Ophelia è l’unica, tra le persone attorno ad Althea, a dimostrarle non solo comprensione ma anche sostegno e solidarietà: la vecchia nave le rivela un patto tra i Velieri Viventi, un patto stretto anni prima proprio a causa della triste sorte del Paragon. A questo patto avrebbe potuto appellarsi, per impedire che Vivacia venisse affidata a persone che non la comprendevano, ed essere spalleggiata da tutti i Velieri Viventi di Borgomago.
Questa rivelazione, giunta troppo tardi per salvare Vivacia, getta però una luce interessante sulla figura dei Velieri Viventi che, lungi dall’essere meri strumenti nelle mani dei loro capitani, dimostrano un’iniziativa e un senso d’identità ben definiti. La loro influenza sulle famiglie e la loro estrema minaccia di sciopero sarebbe state sufficienti a togliere Vivacia a Kyle?
Non lo sapremo mai, ma questa meravigliosa parentesi sull’alleanza tra i Velieri Viventi ci regala un’ulteriore sfaccettatura di queste creature che ancora non sono state delineate in tutto il loro splendore.

La personalità di Ophelia emerge anche e soprattutto in Mad Ship, nei suoi tentativi affatto velati di far finire Althea tra le braccia del suo Grag. Il cuore di Althea, come sappiamo, riecheggia fin troppo di dettagli legati a Brashen — per quanto lei stessa non se ne renda conto appieno — per prendere davvero in considerazione l’uomo, ma nonostante questo Ophelia non esita a ordinare a Grag di baciarla. Nell’immediata obbedienza del giovane possiamo leggere non tanto la sua debolezza quanto la fermezza della posizione della nave rispetto alla sua famiglia: questo ordine e l’influenza dimostrata sul capitano Tomie alla fine di Ship of Magic delineano l’identità di un veliero adulto non solo nel legno ma anche nell’anima (se così può essere definita, alla luce delle rivelazioni dell’ultimo libro della saga). L’equilibrio di questa nave si rispecchia nel carattere e nell’atteggiamento della sua famiglia, la stessa che ne ha formato il carattere al momento del suo risveglio: una nave viene plasmata dall’amore, dai ricordi e dall’esperienza della famiglia che le sta accanto, esattamente come succederebbe con un figlio.

È per questo che Paragon è una nave disturbata e difficile da gestire, non solo nella navigazione ma anche nelle conversazioni e nei legami: il suo risveglio, così anomalo e atipico, lo ha segnato profondamente. In lui non albergano le vite di tre uomini esperti, capitani di mare dalla forte identità come richiesto dalla tradizione dei Velieri Viventi, ma le vite del capitano Palwick, del figlio Uto, mercante avido e senza scrupoli, e del nipote, il mozzo Kerr.
Quest’ultima, in particolare, sembra aver segnato più delle altre il cuore di Paragon. Nelle sue lacrime, nel suo richiamo alla madre, nella disperazione inconsolabile leggiamo i sentimenti travolgenti di un bambino, un bambino che dalla sua famiglia verrà allontanato e abbandonato.
Fu certamente questo a renderlo una nave difficile da gestire, e il tempo passato lontano dalla sua famiglia lo allontanò anche psicologicamente, al punto che anche Cable, che cercò, fallendo, di riportarlo in mare, impiegò mesi prima di riuscire a stringere con lui un qualche legame.
Ed era un LaSuerte, sangue del suo sangue. Fino a che punto si sentiva tradito da loro?

Possiamo solo immaginare lo stato d’animo di Paragon durante gli anni in cui ebbe a che fare con Cable e Sedge: nonostante il legame che strinse con il primo (poi letteralmente naufragato assieme alla ciurma) leggiamo che il gemello lo guidava come se fosse stato una semplice nave. E come tale, probabilmente, si comportava, chiudendosi nel mutismo ostinato che più tardi impareremo a conoscere. Certo la sua famiglia non si fidava di lui né lui di loro, in un circolo vizioso che fu spezzato lontano da Borgomago, lontano da quella gente che lo considerava un traditore e un assassino.
Il segreto dietro la sparizione di Cable si perde negli intrecci della storia, mentre il destino del diciottesimo viaggio di Sedge ci viene spiegato con il procedere della narrazione: leggiamo di come Lucto LaSuerte, il figlio maggiore dell’avido mercante, rifiutò di tornare a Borgomago dopo la morte del padre. Appassionato e sognatore dove Sedge era freddo e calcolatore, Lucto scelse la propria strada lontano da dove il padre l’aveva tracciata per lui e ignorò la figlia di Mercanti al quale era promesso per sposare una ragazza proveniente da un mondo che gli era molto più congeniale di Borgomago, quello delle Isole dei Pirati. Così nacque Kennit, per amore, in un luogo dove Paragon non era più il malvagio Veliero Vivente che aveva assassinato la sua ciurma.

Fu questo a cambiare le cose?
Fu forse questo a gettare le basi per il rapporto che avrebbe legato indelebilmente Paragon a Kennit? Quest’ultimo fu il primo al quale il Veliero riuscì ad affezionarsi, l’unico con cui riuscì a creare quel legame fondamentale che lega un Veliero Vivente alla sua famiglia, un legame profondo e terribile che portò incredibile sventura a entrambi. La sua intensità sconvolse perfino Kennit, spingendolo a pensare che nessuno avrebbe dovuto né amare così profondamente né avere un cuore tanto fedele quanto quello del suo Paragon.

È incredibile vedere come l’incompletezza del Veliero abbia finito per riflettersi su Kennit stesso. In Ship Of Destiny scopriamo come il pirata Igrot avesse imbrogliato Lucto per impadronirsi del Veliero Vivente, che governava solo grazie alla presenza di Kennit a bordo. Forse in quel periodo Paragon vedeva sé stesso nel bambino? Solo, separato a forza dalla famiglia, gettato in un mondo ostile?
Igrot andava oltre l’ostilità, per puro divertimento: violentato nel corpo e nello spirito, Kennit fu spinto fin quasi alla morte per ben due volte. Era in Paragon che trovava rifugio, in un angolino nascosto della nave e nel suo conforto psicologico. Fu Paragon a sostenerlo e a recuperare la sua anima dalle ombre della morte dove Igrot l’aveva spinta, accogliendola in esso e spingendo il corpo a guarire. 

Così ricordi e identità dei due si mescolano a più riprese, facendo di entrambi due anime spezzate, eternamente incomplete ma, almeno, unite contro il resto del mondo. Almeno fino a quel momento.

La tortura di Igrot giunge al massimo della crudeltà nel mettere contro Paragon l’amore che prova per il ragazzo: la scena in cui Kennit è costretto ad accecare la sua amata nave con un’ascia è un picco d’orrore difficilmente eguagliabile. Leggiamo che allora il ragazzo decise che nessuno avrebbe dovuto amare come lo amava Paragon, né guardare qualcuno con occhi così pieni d’amore, né avere un cuore tanto fedele.
Fu questo, probabilmente, a portare Kennit a ribellarsi, avvelenando la nave con una scheggia del volto di Paragon e uccidendo finalmente Igrot. La vendetta lo sottrae alla prigionia ma non può sottrarlo al tremendo peso dei ricordi delle torture subite né al dolore della sua giovane vita già così intrisa di orrore, e il ragazzo desidera la morte.

Qui il legame tra i due assume connotazioni sinistre: per regalargli una vita nuova, libera da incubi e ricordi terribili, la nave assorbe il passato di Kennit, promettendo di trascinarlo con sé nella morte. Kennit si lascia dunque alle spalle il suo passato e inizia il suo viaggio per diventare Re dei Pirati, mentre Paragon, dapprima capovolto e semi-affondato, poi incatenato a Borgomago, cerca di cancellare tutto l’orrore che si porta dentro.

Fu tutto questo a fare di Kennit l’incredibile personaggio che anima la saga, un personaggio determinato che viaggia al limite tra l’umano e qualcosa di indefinibile. Leggendo lo abbiamo percepito fin da subito come freddo, calcolatore, a tratti menefreghista.
Come dargli torto, nel conoscere i retroscena della sua vita? Come aspettarsi altro da un personaggio la cui storia lo ha scavato, rendendolo qualcosa che è solo l’ombra di un uomo?
E lo stesso possiamo dire per Paragon: la sua personalità sinistra e ambigua getta una luce molto particolare sulla trilogia, almeno finché non riusciamo a ricostruirne la storia attraverso sprazzi di ricordi e rivelazioni sporadiche. 

Questi due personaggi così simili percorrono le loro strade per molto tempo prima che riusciamo a ricollegarli l’uno all’altro, prima che il sospetto inizi ad abbinare piccoli dettagli qua e là, fino al momento in cui i due si riuniscono, in Ship of Destiny, per un faccia a faccia colmo di emozione.
Perfino con la sua mezza vita, con la sua anima spezzata, Kennit subisce l’ondata delle emozioni. Parte della sua anima è in quella nave e le loro identità tendono a riunirsi, tanto che nel parlare con Paragon dopo trent’anni l’uomo deve sforzarsi per tenerle separate.

Il dialogo, tuttavia, lascia l’amaro in bocca.
Paragon non ha più occhi per guardare Kennit con la stessa intensità di quando era bambino, ma il suo cuore leale brucia con identica forza, forza che viene trasmessa al pirata tramite le sue parole venate di dolore: come ha potuto Kennit cercare una nave che non fosse lui? Come ha potuto tradire la sua promessa e amare un altro Veliero Vivente?
È qui che Kennit tradisce davvero Paragon e noi che ne leggiamo il dolore, mentendogli e spingendolo di nuovo alla morte per proteggerlo. Solo il fuoco può uccidere un Veliero Vivente, e Paragon lo sceglie di sua spontanea volontà pur di dimostrare la sua lealtà a Kennit.
Ed è qui che il loro legame inizia a spezzarsi, qui che Paragon abbandona il suo atteggiamento da orfano, qui che smette di vivere in funzione di Kennit e diventa proprietà di sé stesso. Tant’è che sceglie di vivere, infrangendo per la seconda volta la promessa fatta al pirata e subendone le conseguenze.
Non è facile, nonostante tutto, ribellarsi al legame con Kennit, ma troppe cose agitano Paragon, una nave al cui interno non albergano solo frammenti del pirata ma anche l’anima di due draghi anziché uno.

Non possiamo fare a meno di inorridire, di fronte alla rivelazione sui Velieri Viventi, ma la narrazione non può più nasconderlo: abbiamo seguito le vicende dei serpenti non meno di quelle degli uomini e non possiamo ignorare il fatto che il Legno Magico delle Giungle delle Piogge altro non è che il bozzolo nel quale un serpente di mare si chiude per uscirne poi come drago.
Dietro a ogni Veliero Vivente si nasconde quindi la morte di un drago, la morte che chi ha tagliato quel Legno ha procurato alla povera creatura che dormiva all’interno del bozzolo.
L’identità di questi draghi comporta un ulteriore conflitto, all’interno di Paragon, nave creata dal legno di due bozzoli anziché uno solo. È con loro che si trova ad avere a che fare Ambra, nel terribile momento in cui deve convincere Paragon a vivere ancora. Ed è a loro che lei lo consegnerà, difendendone l’identità e promettendo loro occhi nuovi in cambio della salvezza di tutta la nave.

Ambra non è un Mercante.
Non è un membro della famiglia LaSuerte, non è originaria di Borgomago, non è un marinaio né un pirata. Ambra si muove all’interno della trilogia dei Velieri Viventi celando la sua identità, agendo in modo misterioso e tuttavia aperto con Althea, Brashen e Paragon.
Conosciamo il suo scopo [SPOILER - La furia dell’assassino] per aver letto e amato le parole del Matto nella trilogia dei Lungavista, ma la sua nuova identità di intagliatrice di legno magico resta una maschera per noi e per gli altri personaggi, rendendola in un certo senso simile a Paragon.
La storia del Paria potrà aver influenzato Althea e Brashen fin dalla loro infanzia, essendo originari di Borgomago, ma Ambra, come straniera, ne è immune, e sembra avere tutt’altro genere di atteggiamento verso la nave. Entrambi nascondono i loro segreti, entrambi sono circondati da qualcosa che li rende strani e diversi dai loro simili. Legati in questa loro diversità i due stringeranno, poco alla volta, un rapporto fatto di offerte di amicizia, di lunghi silenzi e altrettanto lunghe chiacchierate colme di riflessioni e ombre del passato.

Ciò che rende così inquietante Paragon per quasi tutta la lunghezza dei tre libri è il suo potere: le dimensioni, la forza e il temperamento lo rendono una minaccia non indifferente giacché, a differenza degli altri Velieri Viventi, non c’è nessun erede in grado di controllarlo. Eppure Ambra, e più tardi Althea e Brashen, arrivano a fidarsi di lui al punto da salpare alla ricerca di Vivacia. E in qualche modo quelle persone, questa nuova ciurma, iniziano a diventare una specie di famiglia, per Paragon.

È interessante come i legami che si instaurano tra navi e personaggi passino anche e soprattutto dal contatto con il loro ‘legno’: il materiale di cui è composto un Veliero Vivente lo rende straordinariamente sensibile e ricettivo.
Quante volte abbiamo letto del collegamento tra Althea e Vivacia, prima ancora che la nave si svegliasse? Quante volte la ragazza ha cercato forza nel suo legame con la nave? E fin da subito Ambra sceglie il contatto fisico per mostrarsi a Paragon, per convincerlo della sua determinazione a diventargli amica.
Questa sensibilità è però un’arma a doppio taglio: un Veliero Vivente sente e registra qualsiasi cosa succeda a bordo, e se per Ophelia questo significa condividere i sogni di Althea su Brashen o le dichiarazioni d’amore di Grag Tenira, per Paragon significa essere testimone di ogni violenza perpetrata da Igrot su Kennit e sul resto dell’equipaggio, duplice vittima di ogni crudeltà attraverso il suo ‘legno’ e il legame con il ragazzo.
E ogni sangue versato sulle sue assi, il sangue di pirati e prigionieri, filtra dentro di lui.


I pirati uccidono e uccidono sui tuoi ponti, il sangue filtra, il legno è così pieno di vite che non trovi più la tua.
Paragon, Mad Ship

Non ci è nuova, questa difficoltà di mantenere un’identità definita e separata da tutto ciò che turbina all’interno di un Veliero Vivente: senza qualcuno della famiglia a bordo la voce del drago che ne abita lo scafo si fa più forte, e la nave inizia a ricordare di essere qualcun altro, qualcosa che non riesce a spiegarsi.
Non c’è da stupirsi quindi che Paragon fosse la nave lunatica e disturbata che conosciamo: privo delle tre vite di capitani che avrebbero mantenuto salda la sua identità, lontano da qualunque membro della sua famiglia, assillato per breve tempo dai serpenti di mare, abitato dalle anime di due draghi e colmo dei terribili ricordi di Kennit. E Igrot arrivò a spogliarlo perfino dei suoi diari di bordo, gli stessi diari che ritroviamo in Ship of Destiny in mano a Mamma.

Durante i primi due libri Paragon si è dimostrato una nave capricciosa e allo stesso tempo terrorizzata, chiaramente vittima delle varie privazioni della sua vita, ma in quest’ultimo libro molte delle sue lacune iniziano a colmarsi. È l’incontro con Kennit a smuovere tutto, sciogliendo il senso di colpa che accompagnava la nave per la sua incapacità di rimanere semi-sommerso a morire lontano da lui. Kennit gli chiederà un secondo sacrificio, in nome della sua fedeltà, un sacrificio egoista che però la nave accetta pur di dimostrare il suo amore.
E proprio impedendo questo sacrificio Ambra avrà la possibilità di fronteggiare i draghi di Paragon, riconciliandolo con essi ed equilibrandone così parzialmente l’anima. In questo frangente, ricordiamolo, la donna prometterà a Paragon degli occhi nuovi, la cui creazione darà modo alla nave di vestire un volto amato dall’artigiana. E Mamma, appunto, leggendo i diari di bordo a Paragon accanto ad Ambra, ne ricostruirà l’anima in modo altrettanto profondo.
Mamma è una figura che compare per pochissime pagine, rivelandosi però fondamentale ed estremamente magnetico. Più di una volta, raccontando gli orrori che Igrot inflisse alla sua famiglia, Paragon aveva parlato della donna come se fosse la propria madre, e pur non essendo di sangue LaSuerte la sua presenza a bordo è un indubbio conforto. E mentre piano piano tutti i pezzi della sua vita iniziano a tornare a posto, Paragon muove verso il confronto definitivo, quello con Kennit.
Accogliendone a bordo il corpo morente, assorbendone il sangue e cullando i suoi ultimi attimi di vita la nave tronca nell’unico modo possibile un legame profondo in maniera fin troppo dolorosa, e sarà la sua l’ultima voce che il pirata sentirà.


Non temere, ora ti tengo. Non ti lascio andare. Non ti faranno più male. Torna da me. Torna a casa.

Queste toccanti parole testimoniano quanto ancora il trauma segnasse entrambi, quanto ancora il bisogno di un luogo sicuro fosse forte nel profondo dell’uomo.
Ma è nelle ultime pagine di Ship of Destiny, attraverso Althea, che finalmente Paragon chiude tutte le ferite e rimette ogni cosa al suo posto, recuperando dalla mente della ragazza qualcosa che non le appartiene: il dolore di Kennit, quel dolore per la violenza subita da Igrot dal quale, in qualche modo, il pirata ha cercato di liberarsi violentando a sua volta Althea.
Paragon trasforma quel dolore bruciante in un ricordo che possa rimarginarsi, riunendo in questo modo dentro di sé ogni parte dei terribili ricordi che il pirata aveva ceduto per sopravvivere e ai quali finalmente, grazie alla sua identità ristabilita, all’equilibrio ritrovato e alla nuova famiglia che accompagna i suoi viaggi, Paragon è in grado di far fronte.
In questo modo, durante la saga, il Veliero passa dall’essere un bambino troppo cresciuto alla completezza dell’adulto, e ciò si legge soprattutto nelle sue azioni: se all’inizio ubbidiva di malavoglia a Brashen e Althea, comportandosi in modo dispettoso e imprevedibile, verso la fine della trilogia assume atteggiamenti protettivi e determinati, intraprendendo azioni complesse e autonome che lo definiscono come finalmente maturato.

È affascinante vedere come, alla fine, ognuno dei membri della sua nuova ciurma abbia contribuito alla guarigione delle varie ferite che lo affliggevano, fino a un lieto fine, piacevole ma non per questo poco sofferto, che arriverà perfino a includere il tesoro di Igrot, come premio per le tremende difficoltà da loro affrontate. Ed è sui suoi ponti che finalmente Brashen e Althea troveranno la felicità insieme, risolvendo per sempre il dilemma della ragazza tra il mare e il suo dovere di moglie e madre. Una punta di amarezza, tuttavia, tinge il lieto fine di Althea: l’amata Vivacia, il Veliero Vivente della sua famiglia, non è al suo comando.

Secondo lo schema con il quale abbiamo interpretato i Velieri Viventi fino ad ora, per il quale Ophelia rappresenta l’adulto e Paragon il bambino (almeno fino alla risoluzione della sua incompletezza), Vivacia incarna invece la figura e il percorso dell’adolescente.

A differenza degli altri due, che conosciamo parecchi anni dopo il loro risveglio, Vivacia ci viene presentata come semplice nave, e siamo accanto ad Althea nel momento in cui la morte del padre Ephron chiude il ciclo di tre capitani morti a bordo facendo risvegliare il Veliero Vivente.
L’emozione provata dalla ragazza, però, si tramuterà rapidamente in disappunto alla notizia che non sarà lei ad ereditarla, bensì la sorella Keffria, nonostante tutti si aspettassero il contrario. Non c’è personaggio, infatti, che non conosca la passione di Althea per il mare e il suo amore per la nave di suo padre. Lo sgomento è tale che la ragazza rinnega la sua famiglia e scappa di casa.

Vivacia passa dunque dall’amore che Ephron e Althea provavano per lei al freddo interesse del capitano Haven, che per riuscire a far navigare il Veliero Vivente strappa alla sua vocazione di sacerdote il figlio Wintrow, costringendolo a instaurare un legame con lei.
La nave, che già aveva instaurato questo legame con Althea, prima ancora di risvegliarsi, si trova ora alle prese con una persona che non solo non capisce né lei né il mare, ma che nei Velieri Viventi vede qualcosa che va contro l’amore di Sa, qualcosa che sfida la religione e sfocia nella magia.
Come se non bastasse la nave viene utilizzata per il commercio degli schiavi, una pratica poco diffusa a Borgomago ma che, sopra ogni cosa, mal si accorda con l’utilizzo di Velieri Viventi: come può un essere estremamente sensibile qual è Vivacia, peraltro appena risvegliata, sopportare il tormento e la morte di tanti esseri innocenti sui suoi ponti?

In questa situazione Vivacia cercherà invano conforto in Wintrow, il cui dilemma continuo tra l’obbedienza a un padre che non lo rispetta e la ribellione a una pratica che lui stesso condanna lo distoglie dalla nave. In più l’intenzione del ragazzo a tenersi a distanza da ciò che lui vede come incursione nella sua anima, ma che altro non è se non il disperato tentativo di Vivacia di tenersi stretta a qualcuno della famiglia, metterà a dura prova la giovane nave.

Ancora una volta il comportamento della famiglia a cui la nave appartiene ne influenza pesantemente il carattere, e quando Wintrow cede alla morale e aiuta, suo malgrado, gli schiavi a liberarsi, facendo precipitare la situazione e giungendo fino a portare a bordo della Vivacia il capitano Kennit, la lealtà della nave non è così salda come Wintrow vorrebbe.

Il capitano Kennit è ossessionato dal Veliero Vivente: consapevole della sua giovane età la corteggia, la manipola senza nessuno scrupolo, arrivando a servirsi anche di Etta per catturarne la lealtà. E Vivacia, complice l’inesperienza o l’impronta della famiglia Vestrit, lieve dove avrebbe dovuto essere marcata, cede a lusinghe e adulazioni per piegarsi completamente al volere del pirata. Poco le ci vuole, comunque, a incoraggiare una vita che combatta lo schiavismo, del quale è stata tristemente testimone sotto il capitano Kyle.

Non sarà l’unica, in ogni caso: il carisma di Kennit è tale che anche Wintrow vota a lui la propria lealtà, finendo per esserne manipolato quanto Vivacia. Nonostante l’indole calcolatrice del pirata, però, la sua influenza sui due è positiva: entrambi acquisiscono fiducia in sé stessi, riparando alle ferite che l’abbandono di Althea e la scarsa fiducia di Kyle avevano procurato loro.

E sarà proprio il ritorno di Althea sulla nave a mostrare quanto questo abbandono abbia segnato Vivacia. La ragazza sale a bordo convinta di trovarsi davanti una polena spaventata e indifesa, invece si trova a dover fare i conti con la strada che il Veliero Vivente ha percorso senza di lei.
Ora è una creatura indipendente, legata a persone che non sono della famiglia e determinata a seguirle lungo la loro strada. La delusione della ragazza è notevole e dolorosa, e Althea vede sbriciolarsi l’ultimo ricordo che la legava al padre: ora che neanche la sua nave riconosce più il legame con lei cosa potrà mai fare della sua vita?

Eppure è proprio nel momento di maggior disperazione, quando Althea, convinta di aver perso anche Paragon, e Ambra, e Brashen nell’incendio con il quale Kennit voleva distruggere il suo passato, vuole morire, che sente risvegliarsi il legame con Vivacia, pur sepolta sotto la volontà del drago Folgore che ha preso il sopravvento.
È allora che si rende conto che l’amore che la nave ha per lei non cesserà mai di esistere: al pari dell’amore di un figlio per il proprio genitore, esso non cessa quando il primo si allontana, scegliendo la propria strada.
L’ulteriore ribellione di Folgore su Kennit, che la voleva al proprio servizio e pronta a sguinzagliare i serpenti di mare che la seguono, segna un ulteriore affrancamento da chi, suo malgrado, l’ha formata e resa completa.
Al pari di un’adolescente, insomma, Vivacia percorre da sola la sua strada, combattendo contro ostacoli che non faranno altro che renderla più forte. Anche il suo atteggiamento riflette quello di un’adolescente: dapprima desiderosa di compiacere la sua famiglia, si rende pian piano conto di come sia più importante per la sua crescita personale inseguire i propri sentimenti e non piegarsi al volere di chi, come Kyle, la opprimeva senza preoccuparsi di ferirla.

E con la figura adolescente di Vivacia si conclude l’analisi dei complessi vincoli che legano i Velieri Viventi alle loro famiglie, vincoli che, ancora una volta, ci mostrano come incredibilmente umane queste meravigliose, eccezionali creature.


Iku
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