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RCD – Set.11
È stato magnifico incontrarti al Supanova. Come autrice di best-seller fantasy devi essere invitata a molte convention. Come riesci a destreggiarti fra i romanzi da portare a termine e la partecipazione a questi eventi?

Devo dire la verità? Di solito, rispondo semplicemente: «No, grazie, ho una scadenza da rispettare.»
Quest’anno non l’ho fatto. Sono andata al Supanova e l’ho adorato. Non avevo mai visto un festival di cultura pop trattare i suoi ospiti così bene e con tante attenzioni. Poi ho continuato con il Trolls&Legendes in Belgio, e con gli Imaginales di Epinal e gli Etonnants Voyageurs in Francia. Mi sono divertita tantissimo e ho incontrato molta gente, ma ora sono indietro con una scadenza. Perciò credo che ricomincerò a rispondere “no, grazie” alla maggior parte degli inviti, e a restare a casa a scrivere libri.



Hai cominciato a scrivere come Megan Lindholm e nonostante i tuoi libri Hobb siano molto popolari hai comunque continuato a scrivere con il tuo primo pseudonimo. Ti sei imbattuta in lettori che apprezzano solo i libri di Robin o quelli di Megan?

Assolutamente sì. I due pseudonimi sono legati a stili di scrittura molto diversi e differiscono anche nella scelta del soggetto. Perciò ricevo messaggi da parte di persone a cui è piaciuta una produzione e non l’altra, oppure leggo post on-line sull’argomento. E questi hanno rafforzato moltissimo la mia decisione di scrivere con due pseudonimi differenti. I lettori vogliono sapere in cosa si imbatteranno quando aprono un libro. D’altra parte, ho sentito anche lettori a cui è piaciuto il contrasto e che hanno apprezzato entrambe le serie di storie. L’esperienza migliore è stata con il mio traduttore francese, Arnaud Mousnier-Lompre. Le storie Lindholm lo hanno deliziato e mi ha detto che è stato come tradurre uno scrittore completamente diverso.



Con due pseudonimi e numerose trilogie/serie scritte con ciascuno di questi (Robin Hobb: I Lungavista, I Mercanti di Borgomago, L’uomo ambrato, Il figlio soldato, Le cronache delle Giungle della Pioggia; Megan Lindholm: la quadrilogia di Ki e Vandien, la duologia di Tillu e Kerlew, e altri romanzi autoconclusivi), come fai a tenere a mente tutti i mondi, i personaggi e i filoni narrativi? Hai una gigantesca bacheca di sughero con i diagrammi di flusso? Lavori su una sola serie per volta?

Oh, lo devo ammettere? Quando rileggo alcuni dei miei vecchi lavori, è come se li avesse scritti qualcun altro. Spesso mi imbatto in personaggi secondari che avevo del tutto dimenticato, o stravolgimenti di trama che non sembrano neppure miei. Penso che ogni libro lasci fuori tutto ciò che l’ha preceduto. Quando sono al lavoro su un romanzo lungo o su una serie, come adesso, ho dei glossari per i personaggi e per i luoghi, e persino delle tabelle cronologiche per i libri che abbracciano diversi anni.

La mia paura più grande è quella di contraddirmi su qualche punto chiave.



In un’intervista a Shades of Sentience, quando ti è stato chiesto come fai a creare personaggi secondari tanto credibili tu hai risposto: cerco di tenere a mente che nessuno è un personaggio secondario nella propria vita. Amo questo modo di pensare. Mi ha fatto ridere quando l’ho letto. Ritieni che i tuoi personaggi abbiano una vita propria?

Inevitabilmente. E talvolta un personaggio secondario, come il Matto, rifiuta di prendere posto nelle retrovie e balza in una posizione di primo piano. Poi ci sono personaggi minori, come Mani (N.d.T. Hands), la cui vita è stata stravolta da eventi talmente incontrollabili che mi sento ancora in colpa per il suo ultimo incontro con Fitz. Non che potessi fare qualcosa per cambiarlo. Ha reagito in quella maniera perché è Mani, e quello è il modo in cui Mani avrebbe reagito. E questo è l’aspetto migliore dei personaggi che prendono una vita propria. Da una parte facilitano la scrittura. Dall’altra, quando insistono nel fare qualcosa che è contrario alla trama... bene, è allora che scrivere si fa davvero interessante.



In un’intervista su Pat’s Hotlist hai raccontato di come parti con un certo proposito per il libro e quando hai finito di scriverlo ha virato in un’altra direzione. Posso dedurne che sei una che vola a vista piuttosto che una pianificatrice? Per i non-scrittori, chi vola a vista si mette semplicemente seduto a scrivere, mentre i pianificatori seguono uno schema.

Senza dubbio procedo attraverso la Storia volando a casaccio, gettando solo uno sguardo o due alla strumentazione e alle carte di tanto in tanto. In questa maniera raggiungo dei luoghi molto interessanti, e talvolta mi ritrovo in territori completamente sconosciuti, a chiedermi — proprio come potrebbe fare il lettore — dove sono diretta.



Abbiamo più o meno la stessa età. In un’intervista hai dichiarato di aver letto Fritz Leiber e di aver imparato dalle cose terribili che ha fatto ai suoi personaggi — è stato uno dei miei grandi ispiratori quando ho scoperto il fantasy per la prima volta. Come pensi che sia cambiato il genere dagli anni ’70?

Oh, il mio Fritz Leiber. Quanto ho amato i suoi personaggi e il suo stile, e quanto li amo tuttora.

Penso che il fantasy sia cambiato dagli anni ’70, ma finalmente gli è concesso il numero di pagine che servono per apprezzare a pieno trama, ambientazione e personaggi. Ancora mi stupisco del talento di quegli scrittori che sono stati capaci di raccontare ambientazioni così particolari e personaggi unici con un numero di parole tanto ristretto.

Oggigiorno ci sono molte meno restrizioni su quel che si può scrivere in termini di scene di sesso, di identità di genere, di razza, di violenza, e di qualsiasi altro vecchio tabù a cui si possa pensare. E questo non è sempre un bene, almeno secondo me. Solo perché puoi traumatizzare o brutalizzare il lettore ed essere pubblicato, ciò non vuol dire che dovresti farlo. Ma laddove le storie lo richiedano, laddove ci sia una ragione per farlo, d’un tratto otteniamo fantasy e fantascienza di grande spessore emotivo.



Sono stata spinta a cominciare questa serie di interviste perché sembra che in US e in UK ci sia l’idea che il genere fantasy sia un po’ un club maschile. Credi ci sia differenza nel modo in cui uomini e donne scrivono fantasy?

Penso ci siano sempre differenze fra due scrittori, che scrivano fantasy o fantascienza o romanzi cavallereschi o poesia, e la differenza è molto più grande di quanto si possa mai imputare al genere. Secondo me sì, ci sono differenze fra scrittori e scrittrici. Ma lo spettro della sessualità è talmente ampio da rendere impossibile ogni affermazione di carattere generale. “Gli uomini scrivono di sesso, le donne di amore romantico.” Questo è il genere di cose che sento, e penso sia solo una sciocchezza. Quali uomini, quali donne?

E davvero non comprendo l’idea che il fantasy sia dominato da scrittori di un sesso piuttosto che dell’altro. Se diamo un’occhiata agli scaffali delle librerie, direi quasi che in questo momento ci sono più autori di fantasy donne che uomini. Non credo che il sesso dell’autore sia mai stato fra i miei criteri di scelta di un libro, indipendentemente dal genere. Quando ero una lettrice più giovane, raramente ero in grado di dire il nome dell’autore di un libro che avevo letto. Non mi importava dell’autore, mi interessava soltanto la storia.



Proseguendo il discorso, il genere dello scrittore influisce sulle tue aspettative quando prendi in mano un libro?

Oh, penso di aver già risposto accidentalmente a questa domanda!

Se guardiamo alla storia del nostro genere letterario, vedremo che sì, ci sono state donne che hanno usato nomi maschili o le sole iniziali per nascondere il proprio sesso. E all’epoca era senza dubbio più difficile per una donna essere pubblicata nella fantascienza. Ma credo che questa barriera sia caduta da così tanto tempo ormai che non vale la pena di preoccuparsene ulteriormente.

Detto questo, aggiungo che quando ho scelto il mio pseudonimo Robin Hobb ho deliberatamente voluto un nome androgino. Sapevo che avrei scritto almeno i primi tre libri dal punto di vista di un ragazzo, così scelsi di abbassare la soglia di “sospensione dell’incredulità” usando un nome che lasciasse in dubbio il sesso dello scrittore. Ma se fossi stata al lavoro su una storia narrata dal POV di una donna ultra-femminile, probabilmente sarei stata tentata di scegliere un nome che riflettesse questa prospettiva.

Non vorrei mai che qualcuno scegliesse un mio libro per il solo fatto che sono una donna. Mi sentirei davvero insultata se questa fosse l’unica ragione per cui un lettore ha letto un mio romanzo.



Veniamo alla domanda divertente. Se potessi prenotare un viaggio con la macchina del tempo, in quale luogo e tempo andresti, e perché?

Andrei a casa. Vorrei essere lasciata alla fine degli anni ’60, vicino alla cassetta della posta in Davis Road, a dicembre, verso le 8 di sera, quando l’oscurità a Fairbanks, in Alaska, è assoluta. Vorrei scendere lungo il sentiero con gli stivali che stridono e scricchiolano sotto le betulle spoglie, curve per il peso della neve. Vorrei vedere filtrare le luci attraverso gli alberi e poi finalmente scorgere di nuovo quella casa di legno. E tutti i miei cani comincerebbero ad abbaiare e verrebbero di corsa attraverso la neve per sfidarmi. E poi mi riconoscerebbero, e verrei colpita al petto da 120 libbre di malamute e sarei ancora una volta con i miei migliori amici.


Rowena Cory Daniells | Meet Robin Hobb - 24.09.2011
traduzione di Barbara “The Fool
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